Loukia Alavanou
Oedipus in Search of Colonus
DALL’ANTICHITÀ A UTOPIA:
UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL TEMPO
A cura di Heinz Peter Schwerfel
«Stavo visitando una zona che non conoscevo a ovest di Atene, quando mi sono
persa e mi sono ritrovata nel ghetto Rom, che è uno dei posti più tosti in Grecia.
Questa comunità Rom si è trasferita qui negli anni 80 da Tebe, proprio come
Edipo, anch‘egli di Tebe. Alcuni avanzano persino la supposizione che il percorso
seguito da Edipo per recarsi da Tebe a Colono passasse proprio di qui, da
Nea Zoi,
che curiosamente in greco significa ‹
Nuova vita.›»
Loukia Alavanou
Al Padiglione della Grecia, l‘artista e regista Loukia Alavanou invita il suo pubblico in un viaggio nel tempo, che si snoda lungo i temi dell‘età che avanza e della morte, della dignità umana e della libertà universale, della visione artistica e della realtà sociale attuale. Il fulcro della sua installazione, Oedipus in Search of Colonus è un cortometraggio di 15 minuti girato con la realtà virtuale, che traspone nel presente un dramma di quasi 2.500 anni del famoso drammaturgo Sofocle, e guarda addirittura al futuro. Alavanou, i cui lavori precedenti utilizzavano spesso il collage di film, ora racconta per la prima volta con una narrativa lineare, utilizzando una combinazione audace di documentario, finzione, voli di droni, slapstick, clip video di ispirazione pop, farsa esplicita e una complessa tecnologia di realtà virtuale a 360 gradi.
La 42enne artista greca Loukia Alavanou è nota per i suoi video in stile collage. Ha studiato arte a Londra, Bruxelles e Gand
e ha ricevuto il prestigioso Premio DESTE in Grecia per i suoi
film, intrisi di elementi politici, femministi e psicoanalitici.
Curatore della mostra è Heinz Peter Scherfel, specialista tedesco
nell’arte dell‘immagine in movimento, che vive fra Colonia e
Parigi. È la prima volta che un curatore tedesco è responsabile del Padiglione greco.
Loukia Alavanou, On the Way to Colonus, VR360, Still, @Loukia Alavanou
Il passato:
ispirato all’ultima opera drammatica di
Sofocle,
Edipo a Colono, un coro invisibile
racconta la storia di Edipo, tristemente
noto per atti orribili da lui compiuti che
vanno dal parricidio all’incesto, e per questo viene
bandito dalla sua città, Tebe. Vecchio e
cieco e aiutato da Antigone, sua figlia e
sorellastra, Edipo giunge a Colono, luogo
sacro dedicato alle Furie. Questo luogo
proibito è dove sceglie di morire. Per la
prima volta va contro la volontà degli dèi,
che fino ad allora avevano dettato la sua
vita nefasta. Alla fine, vuole scegliere il
proprio destino.
Il presente:
Alavanou ha girato la sua versione del
dramma di Sofocle nella baraccopoli di
Nea Zoi ad Aspropyrgos, a ovest di Atene,
una zona vicina a quella che un tempo era
Colono, e dove oggi vive una numerosa
comunità Rom. Tutti i ruoli nel dramma
sono interpretati da Rom, con consapevole
esagerazione ed evidente divertimento,
compresa l’evidente farsa di poter
morire ed essere sepolti in libertà. I Rom
di Nea Zoi imitano così il proprio destino,
dalle liti armate tra di loro alla lotta contro
le autorità greche, che non consentono
loro di essere sepolti vicino al luogo dove
sono riusciti a mettere radici.
Il futuro:
a Venezia Alavanou costruisce un carosello immaginario, tipico del suo lavoro. Con una digressione attraverso l’antichità, si spinge
verso i conflitti presenti e le tecnologie futuristiche,
coniugando l’antico dramma di
Sofocle alle visioni utopiche dell‘architetto
greco Takis Zenetos (1926 – 1977). Nei suoi
bozzetti futuristici Zenetos ha progettato
un mondo in collegamento. Con le tettoie
architettoniche simili a nidi o capsule, sognava
un cablaggio onnipresente, in fibre di
rame o di vetro, che fungesse da cordone
ombelicale dell’adulto; desiderava creare
un’architettura vitale che incoraggiasse le
connessioni tra le persone.
Loukia Alavanou, On the Way to Colonus, VR360, Still, @Loukia Alavanou
A livello formale, anche
Oedipus in
Search of Colonus cerca di connettere le
persone tramite l’architettura, giocando
sul tema dell’isolamento, necessario
per la visione di film in realtà virtuale.
All’interno del Padiglione greco, Alavanou
costruisce quattro cupole emisferiche
di diverse dimensioni, secondo un
progetto dello studio di architettura
d’avanguardia di Atene AREA e del progettista
Dimitris Korres. Queste cupole
sono costituite da una struttura in alluminio
coperta all’interno da materiale fonoassorbente.
La loro forma gioca su quella
dell’antico Pantheon e anche delle cupole
geodetiche dell’ architetto americano
Buckminster Fuller, disegnando così un
arco concettuale che si estende dall’antichità
alla sfera futuristica di Takis Zenetos.
Anche i 15 posti a sedere per il pubblico
si ispirano a Zenetos, risultando in un
ibrido unico tra una comoda poltrona per
guardare la TV e una sedia da scrivania.
Realizzati appositamente da Dimitris
Korres, che non è solo progettista ma anche
ingegnere di invenzioni, questi sedili
garantiscono la massima libertà di movimento
per gli spettatori, consentendo
loro non solo di vedere ma anche di sperimentare
la gamma a 360 gradi del film in
realtà virtuale. L’esperienza non è quindi
solo virtuale ma anche fisica, e si svolge
in uno spazio definito dall’architettura
della cupola. Un altro elemento è il sofisticato
sound design ambisonico, costituito
principalmente da un paesaggio sonoro
registrato nella comunità Rom. Lo spazio
presenta anche fasci di luce che punteggiano
la semioscurità del padiglione, sottolineando
l’atmosfera drammatica in cui
i membri del pubblico vengono guidati ai
propri posti dal personale.
La nozione di comunicazione e comprensione
reciproca è qualcosa che Alavanou
introduce consapevolmente e casualmente
in relazione al mondo teatrale di
Sofocle, che già duemila anni fa ruotava
tematicamente attorno alla comprensione
e alla tolleranza degli abitanti di
un luogo sacro come Colono. Negli ultimi
anni il lavoro di Alavanou è accompagnato
da una visione sempre più politica dei
problemi sociali. Con un’evidente affinità
per la commedia e la cultura pop, l’artista
sonda brutalmente le ferite delle società
neoliberiste contemporanee – non solo
di quella greca – che diffidano di tutto ciò
che è straniero e cercano violentemente
di escluderlo. A volte le sue opere sono
piene di umorismo, come in
The Hunter (2013/14), che tratta il tema dell’oro e di
una miniera nazionale in Grecia venduta
a investitori privati a condizioni discutibili.
L’opera consiste in riprese realizzate
da lei stessa della miniera d’oro greca, abbinate
a immagini trovate di film, fra cui
un segmento in cui signori eleganti ed
eminenti, tutti doppiati dalla stessa Alavanou,
discutono su una maggiore tassazione
per i ricchi.
A volte i suoi lavori sono più violenti,
come in
Ducktator (2012), quando un’elegante
anziana sembra presentare una
parte di telegiornale tratto da un canale
greco risalente agli anni della dittatura,
gli anni '70. Tuttavia, i movimenti della
bocca della donna non sono sincronizzati
con l’audio. Come scopriamo dal testo
che accompagna le immagini, in realtà si
tratta della nonna di Alavanou, affetta da
Alzheimer, che parlando a macchinetta
rievoca i propri ricordi del periodo. Poi
canta con voce roca una canzone e all’improvviso
le viene mostrata una maschera
con una smorfia, del tipo che appare anche
nel film del dramma di Sofocle.
Loukia Alavanou, On the Way to Colonus, VR360, Still, @Loukia Alavanou
Intervista
con Loukia Alavanou
Darian Leader: Credo che lei l'abbia definita (Aspropyrgos) una specie di "terra desolata e tossica" dove molti Rom dell'Atene occidentale vivono attualmente. Come hai proposto agli abitanti di lavorare al film? Quasi tutto il cast è composto da famiglie di Nea Zoi.
Loukia Alavanou: Tutto il cast in realtà viene da quella comunità. Mi ci è voluto molto tempo per essere accettata. Ho incontrato parti diverse della comunità. In certe aree era impossibile filmare, c'era molto bullismo e sfruttamento da parte dei leader nei confronti degli altri membri della comunità.
Ho dovuto restringere il campo a una parte piccola della comunità, la più amichevole, che ha un leader donna ed è stata molto accogliente. Una specie di società matriarcale.
L'intero cast è in realtà una famiglia allargata; la maggior parte degli attori ha lo stesso cognome,
il che è anche interessante data la storia! Il modo in cui abbiamo lavorato è stato quello di fare
molti giochi di ruolo in preparazione al film. Dicevo ai partecipanti che la telecamera era
un poliziotto, un estraneo, un greco che viene dall'esterno, poi circondavamo la
telecamera così da interagire con essa, come se fosse il Coro. Abbiamo fatto molti di questi
giochi, era una sorta di processo organico nel fare casting mentre lo simulavamo.
DL: Quindi non eri solo tu, come regista, ad essere l'estraneo, ma la telecamera stessa era un corpo estraneo.
LA: Sì, era soprattutto la telecamera ad essere il corpo estraneo. E poiché la telecamera VR è a 360°, questo crea una sorta di presenza: non c'è "davanti alla telecamera" né "dietro la telecamera". È come lo scenario quasi circolare e onnicomprensivo di un antico teatro greco. Quando abbiamo fatto il gioco di ruolo, io ero parte del loro gruppo e la telecamera era l'estraneo. Questo mi ha ricordato un po' le troupes itineranti che avevamo in Grecia fino agli anni '50: queste "bouloukia", come venivano chiamate, giravano per vari villaggi greci e Edipo a Colono era uno dei punti fermi del loro repertorio. Lo rappresentavano, usando oggetti di scena che trovavano sul posto, in una sorta di improvvisazione e modi spontanei. Ho pensato che, forse, una delle ragioni per cui lo eseguivano in molti di quei villaggi, piuttosto che su grandi palcoscenici, era perché questo tipo di messa in scena riflette la storia dell'arrivo dello straniero.
Loukia Alavanou, On the Way to Colonus, VR360, Still, @Loukia Alavanou
DL: Puoi dire qualcosa sulla scelta di come iniziare il film?
LA: Volevo che la prima scena fosse un'apertura molto forte e una scena molto soggettiva.
Volevo che lo spettatore - che è "cieco" in un certo senso, con la cuffia VR sopra i suoi occhi - avesse il punto di vista di Edipo, fosse Edipo, prima che la storia inizi. Oltre al fatto che gli uccelli esistono in molte delle mie opere, come avete notato e sono menzionati molte volte, e in tempi diversi : sono spesso menzionati da Antigone, per esempio come "usignoli" - dove io immagino questo luogo pieno di usignoli - ma c'è anche un lato orribile in questi uccelli che uso. Non dimentichiamo che Colono era la terra delle Erinni, le Furie simili a uccelli. Inoltre, per me, questi uccelli impersonano i governanti, il fascismo, l'estremismo, il governatore di Tebe, Creonte, ma anche un lato di Edipo stesso. Si riferiscono anche al miasma in qualche modo, specialmente attraverso i pezzi di carne che compaiono nella prima scena.
DL: È una sequenza d'apertura inquietante. Come dici tu, perché in quel mondo virtuale
non abbiamo scelta di ciò che possiamo vedere e ciò che non possiamo vedere, siamo guidati, come Edipo è stato guidato da sua figlia nella narrazione. Puoi dire la ragione che ti ha fatto scegliere la VR come strumento per questo lavoro?
LA: Prima di tutto, sono molto interessata alla teatralità del mezzo. Se non mi
sbaglio, è stato Antonin Artaud a introdurre il termine "realtà virtuale" in relazione
al suo teatro della crudeltà. E penso che ci siano molti aspetti di quel tipo di crudeltà
nel mio modo di lavorare. La VR è uno spazio ideale per associare liberamente - uso sempre il montaggio
come libera associazione nel mio lavoro. E il fatto di mettere lo spettatore in un luogo così
isolato, ma allo stesso tempo comune - A Venezia sarà in uno spazio che è come un cinema VR - è questa tensione estremamente interessante per me. Ho fatto una sorta di scelta consapevole, perché c'è anche qualcosa di nostalgico nell'usare questo mezzo.
Anche se il narratore può usare il plurale "noi", c'è un altro livello di solitudine, di isolata soggettività.
Loukia Alavanou, Installation view, Courtesy: La Biennale di Venezia, Photo Jacopo Salvi
Sedia posturale di Takis Zenetos
Testo di Yorgos Tzirtzilakis
Nel 1967, l'architetto greco Takis Zenetos ha progettato il "Multi-Purpose Furniture ('Posture Chair'), che costituì il nucleo del suo visionario Electronic Urbanism del futuro. Questo mobile modulare riflette "alcuni presupposti per l'anno 2000", tra cui:
(a) la sostituzione di mobili ed elettrodomestici tradizionali con nuove tecnologie, così che "invece di scrivere, dettiamo ai microfoni" e "invece di leggere, ascoltiamo qualsiasi argomento ci interessi sintonizzandoci su un servizio di informazione centrale";
e (b) che "gli esseri umani, sia durante le ore di lavoro che nel loro tempo libero (cioè, una grande parte della loro giornata) saranno seduti o sdraiati". Per queste ragioni, Zenetos definisce questa
sedia "ortopedica" come "un secondo body-prop, integrato con tutte le capacità tecnologiche di estendere i mezzi di azione dell'uomo del 2000 (tele-contatti, tele-lavoro, tele-controlli, ecc). Le due fasi successive di costruzione si differenziano come segue:
'La regolazione meccanica delle varie parti della sedia e della sua postura è motorizzata, azionata da tasti di controllo". Nella sua versione avanzata, "sarà in grado di ricevere comandi direttamente dal cervello dell'operatore, con l'aiuto di un ricevitore elettrico ipersensibile. Questo è il cuore dell'uomo del futuro".
Cosa significa dunque questa 'posture chair' modulare, che già dal suo titolo a descrizione preannuncia la perdita dei confini attraverso il trittico olistico unificante '‘work-rest-sleep’? Prima di tutto, l'annullamento della distinzione tra uomo e macchina, organismo e meccanismo. E, in questo senso, si stabilisce il
futuro divenire macchina del corpo umano, che non è solo
un'imitazione o una rappresentazione della macchina, ma anche una
metamorfosi: una forma di alterità, un modo di diventare Altro.
Ma come immagina Zenetos l'"individuo" di Electronic Urbanism, questo nuovo soggetto che passa gran parte della giornata 'seduto o sdraiato' sul suo mobile modulare?
Rappresenta il corpo del futuro elettronico nudo come l'
Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci.
È difficile determinare il sesso di questo corpo nudo. Il corpo del futuro elettronico, seduto sulla sedia modulare, sembra essere neutrale, "né maschio né femmina". Privo di organi sessuali discreti, con una testa senza capelli (rasata) e circondato da componenti meccanici e pulsanti elettronici, il corpo nudo è raffigurato come una figura semireclinata senza sesso. Questa indeterminatezza di genere denota la nuova corporeità della normalizzazione elettronica, che Donna Haraway avrebbe incarnato, vent'anni dopo, nella domanda:
"Perché i nostri corpi dovrebbero finire dalla pelle?".
Loukia Alavanou, Installation view, Courtesy: La Biennale di Venezia, Photo Marco Cappelletti
Padiglione della Grecia alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia