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Deutscher Pavillon
Maria Eichhorn
Relocating a Structure

 
Maria EichhornMaria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe



Relocating a Structure il progetto artistico di Maria Eichhorn per il Padiglione Germania alla Biennale di Venezia 2022 si articola in diversi elementi che, nel loro insieme, formano il contributo vero e proprio. L’artista ha inizialmente sviluppato l’idea di spostare il Padiglione Germania per il periodo di apertura della Biennale, per poi ricollocarlo, intatto, sul sito originario. La traslazione temporanea dell’edificio implica l’assenza del Padiglione Germania, lo spazio vuoto, l’ampliamento dell’area non edificata dei Giardini, originariamente concepiti come parco pubblico, come anche l’estensione del campo visuale e spaziale dei padiglioni limitrofi, creando così uno spazio di movimento, riflessione e confronto con le condizioni imposte all’arte nel contesto della Biennale con i suoi padiglioni nazionali.

Il Padiglione Germania rappresenta per gli artisti e le artiste una sfida a vari livelli, completamente diversi l’uno dall’altro. Ogni tentativo di decostruzione viene respinto. Il Padiglione Germania per me non è isolato, bensì parte di un insieme e coinvolto in un’interazione con i padiglioni e i contributi degli altri paesi, in un’ottica di sviluppo nazionale, territoriale, geopolitico, ecologico e di economia globale.
– Maria Eichhorn.

Maria Eichhorn Maria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


Le riflessioni sulla traslazione e ricollocazione del Padiglione Germania sono andate di pari passo con l’analisi della struttura specifica del Padiglione, sostanzialmente costituito da due costruzioni, quella del Padiglione Bavarese eretto nel 1909 e il successivo ampliamento nazista del 1938, che gli conferisce l’aspetto attuale. Qual è il corpo edificale originario e dove iniziano il rifacimento e l’ampliamento?
Maria Eichhorn ha fatto scavare le fondamenta dell’edificio ed eliminare strati di intonaco dalle pareti al fine di mettere in evidenza i punti di giunzione tra i due corpi edificali. Per ottenere un’idea immediata e ripercorribile degli interventi di rifacimento e ampliamento sono stati inoltre portati alla luce i contorni e le fughe delle aperture delle finestre e dei vani di passaggio del 1909. In questo modo è stato possibile rendere visibile ed esperibile l’edificio originario nascosto.
Le parti messe a nudo sono accompagnate da scritte a parete esplicative in lingua inglese, tedesca e italiana. I testi parietali sono stati disegnati utilizzando normografi per tracciare i sottili contorni a matita, riempiti poi con colore bianco applicato con pennello direttamente su parete.
Risultano così riconoscibili non soltanto le transizioni tra l’architettura originaria e le costruzioni annesse o i rifacimenti, ma anche i diversi volumi planimetrici. Mentre il Padiglione Bavarese teneva conto delle dimensioni umane nelle sue proporzioni, gli interventi di ampliamento degli spazi laterali e della sala principale e di rifacimento della facciata, eseguiti nel 1938, tendono a intimidire e a far apparire piccole le persone.
Altri elementi costitutivi del contributo artistico per il Padiglione Germania sono un’ampia pubblicazione e le visite guidate ai luoghi della Resistenza e della memoria di Venezia, che si svolgono due volte a settimana per tutto il periodo di apertura della Biennale. La pubblicazione raccoglie saggi e studi sulla Biennale e sul Padiglione Germania, insieme ad approfondimenti su questioni di carattere storico-artistico, filosofico, socio-urbanistico e politico. In edizione separata viene pubblicata una brochure dedicata alle visite guidate nei luoghi che ricordano la Resistenza antifascista, la deportazione e l’assassinio della popolazione ebraica durante l’occupazione tedesca negli anni tra il 1943 e il 1945. Per la realizzazione di questa componente del progetto artistico, Maria Eichhorn ha collaborato con l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser).

Il titolo del progetto artistico di Maria Eichhorn – Relocating a Structure – può essere interpretato in senso metaforico, perché lo “spostamento di strutture” in nuovi contesti non è riferito soltanto all’architettura e alla storia del Padiglione, ma rimanda anche a questioni fondamentali che riguardano l’esistenza umana e la responsabilità etica.
– Yilmaz Dziewior

Maria EichhornMaria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


Conversazione
Yilmaz Dziewior e Maria Eichorn

YD - Ricordi cos’hai pensato quando ti ho chiesto se riuscivi a immaginare di esporre nel Padiglione tedesco all’edizione successiva della Biennale di Venezia? Mi sei sembrata molto rilassata, però hai voluto sapere subito se avresti esposto da sola o con altri artisti.

ME - All’inizio ero incredula e senza parole, ma anche molto lusingata dalla tua proposta. Ricordo che abbiamo parlato a lungo del passato e del presente della Biennale, del suo significato agli occhi della società e di alcuni contributi specifici. Parlandone ho capito meglio la serietà e la responsabilità con cui gli artisti che mi hanno preceduto hanno affrontato questo compito. In ogni caso ero felice perché ci conosciamo da tanto tempo, perché abbiamo già lavorato insieme, perché formiamo una squadra fondata sulla fiducia.

YD - Visitando il Padiglione tedesco in passato mi sono chiesto spesso quale artista mi sarebbe piaciuto presentarvi. E da quella prospettiva ho provato spesso a immaginare di essere, un giorno, responsabile del Padiglione tedesco a Venezia in veste di curatore, anche se non è mai stata una riflessione molto approfondita. È stato così anche per te? Hai mai pensato alla possibilità di affrontare questo compito come artista?

ME - No, ho cominciato a ragionarci solo quando me l’hai proposto.

Maria Eichhorn Maria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


YD - Trovo assolutamente stupefacente che tu non abbia mai esposto prima al Padiglione tedesco, dato che ti sei misurata in più occasioni con varie tematiche legate alla storia della Germania. Mi vengono in mente soprattutto Restitutionspolitik / Politics of Restitution (2003) e In den Zelten… (2015), e naturalmente il Rose Valland Institut (2017) che hai fondato nel contesto di documenta 14. Tutti questi progetti riguardano proprietà irrisolte e assetti proprietari che spaziano dal 1933 a oggi, e quindi l’impatto duraturo del nazismo, che ancora oggi influenza il presente in senso ampio. L’architettura del Padiglione tedesco a Venezia può essere considerata anche un simbolo di quel periodo. Qual è la tua opinione in merito?

ME - Diversi artisti si sono misurati con l’architettura del Padiglione tedesco, e con la storia tedesca. Ci sono stati numerosi tentativi e proposte di riprogettare l’edificio stesso. A partire dal profondo rinnovamento avvenuto sotto il nazismo, il padiglione ha subìto molti cambiamenti, all’interno come all’esterno.
Nel 1957, per esempio, il fondatore di documenta Arnold Bode ebbe l’idea di riprogettare il padiglione per dargli un aspetto più democratico. Voleva rinnovare la facciata, spostare l’ingresso e far costruire un secondo livello interno, un’idea poi raccolta da contributi successivi. Quella della gestione dei resti architettonici del periodo nazista, o dell’architettura nazista tout court, è una tematica di costante attualità. Per quanto riguarda il Padiglione tedesco a Venezia, condivido la visione di Hans Haacke e di altri artisti: da una prospettiva storica il padiglione è un monumento, e andrebbe conservato com’è. La storia, che si trasmette anche attraverso l’architettura, non può essere semplicemente smantellata e nascosta come il Palast der Republik di Berlino, che è stato sostituito da un finto Schloss (castello).

Maria Eichhorn Maria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


YD - Quali sono i contributi al Padiglione tedesco che preferisci e perché?

ME - Mi sono rimasti impressi soprattutto i contributi di quegli artisti che si sono interfacciati con la struttura, per esempio Sigmar Polke, le cui opere reagivano all’umidità della laguna e che ha esposto il dipinto a raster intitolato Polizeischwein (“Maiale poliziotto”) sulla facciata del padiglione, proprio accanto alle parole “Bundesrepublik Deutschland”. Penso poi ad Hans Haacke, che ha rievocato la storia del padiglione facendone a pezzi il pavimento. La scelta del commissario Klaus Bußmann, che ha nominato Hans Haacke e Nam June Paik mettendo in discussione l’affiliazione nazionale, è stata molto lungimirante. Ho apprezzato Katharina Fritsch per la chiarezza del suo contributo. Isa Genzken, che ha nascosto la facciata dietro alle impalcature. Liam Gillick e il suo gatto parlante. L’attacco con i droni alla Deutsche Bank immaginato da Hito Steyerl, e infine Natascha Sadr Haghighian, che si è messa in gioco a livello performativo travestendosi e si è concentrata sui centri per l’asilo e il rimpatrio AnkER.

YD - Non è insolito che le tue opere racchiudano rimandi specifici al luogo espositivo per cui vengono realizzate. Considerandone storia e retroterra, cosa significa per te esporre al Padiglione tedesco?

ME - Il Padiglione tedesco è carico di significati simbolici e sfida gli artisti da varie prospettive. A ogni tentativo di decostruzione ci si trova di fronte a questa realtà, che però li rende anche divertenti. Pur non volendo trascurare questo aspetto, il Padiglione tedesco per me non è isolato, bensì parte di un insieme e coinvolto in un’interazione con i padiglioni e i contributi degli altri paesi in un’ottica di sviluppo nazionale, territoriale, geopolitico, ecologico e di economia globale.
Perché la Biennale fu fondata nel 1895? Quando sono stati costruiti i padiglioni dei vari paesi? Quali nazioni non sono mai state rappresentate e perché? La Biennale rispecchia ancora le politiche fra stati, come spesso si pensa, oppure la sua funzione rappresentativa è ormai attenuata da un’arena transnazionale del mercato dell’arte ampliata dal capitale?
E poi c’è il tema della proprietà: a chi appartengono i padiglioni? Venezia continua a seguire il modello dei padiglioni nazionali poiché inevitabilmente, al pari dei palazzi delle ambasciate, i padiglioni che sorgono nei Giardini sono di proprietà dei relativi paesi (a eccezione del Padiglione degli Stati Uniti, che appartiene alla Guggenheim Foundation). E, senza eccezioni o quasi, le partecipazioni nazionali prive di un padiglione ai Giardini imitano questa struttura dominante. È possibile produrre e recepire l’arte in modo più indipendente di quello offerto da questi costrutti di identità nazionale? Lo stato individuale, per citare Hannah Arendt, può essere considerato una struttura astratta composta da molteplici nazionalità, e questa visione aiuterebbe a far svanire il concetto di nazione.

Maria Eichhorn Maria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


YD - I contributi dei vari paesi alla Biennale di Venezia sono anche associati ad attribuzioni e aspettative legate alla rappresentazione nazionale e all’affiliazione culturale. Come pensi di gestire eventuali aspettative nei tuoi confronti?

ME - Non credo che l’arte sia soggetta allo stesso tipo di rappresentazione che caratterizza politica o religione, ambiti in cui figure con pretese di leadership e rappresentazione giocano un ruolo fondamentale. La maggior parte degli artisti che espongono in un padiglione della Biennale, compreso quello tedesco, considerano la partecipazione un semplice compito per portare avanti la loro produzione regolare (e mostrarla al pubblico), oppure per gettare luce su torti, contestare la politica, avviare forme di scambio solidale fra diversi gruppi sociali, prendere posizione e via dicendo. Nella mia visione, un artista non è rappresentativo di un determinato paese, bensì di una determinata attitudine, di un determinato modo di pensare e agire rispetto a una situazione specifica.
Per quanto riguarda l’affiliazione, mi considero un mix di identità e non-identità molteplici, e cerco di distinguermi da me stessa. Al centro dell’attenzione non devo esserci io, non deve esserci la mia personalità, bensì il mio lavoro. Realizzo le mie opere e poi torno sullo sfondo.

YD - Le biennali sono un formato espositivo particolare di cui tu hai già grande esperienza, grazie alla tua partecipazione a quelle di Istanbul (1995 e 2005), Yokohama (2001), Berlino (2004 e 2008), Łódź (2004), Siviglia (2006) e Guangzhou (2008). In passato – nel 1993, 2001 e 2015 – hai realizzato tre contributi per la Biennale di Venezia: ritieni che queste esperienze ti aiuteranno nell’edizione 2022?

ME - Assolutamente sì. Ma sono istruttive e utili anche le conversazioni con i colleghi e gli amici artisti che in passato hanno esposto nel Padiglione tedesco o in altri.

Maria Eichhorn Maria Eichhorn, Relocating a Structure. Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


YD - Le mostre di ampio respiro come le biennali sono sempre più sotto attacco, anche per via delle implicazioni ecologiche legate al numero eccessivo di viaggi necessari alla partecipazione. Né gli addetti ai lavori dell’arte né il turismo generato dall’arte contribuiscono necessariamente a migliorare l’impatto sul pianeta. Cosa pensi del rapporto fra ecologia e mostre di questa portata?

ME - È ironico, ma la Biennale di Venezia fu creata nel 1895 in reazione al declino economico della città, come strumento per promuovere l’economia e l’industria del turismo. E, fra parentesi, ancora oggi le nuove biennali spesso adottano questa strategia. Oggi, centoventisei anni dopo, dobbiamo affrontare le conseguenze di un’industria del turismo esagerata. La Biennale di Venezia, e l’industria culturale in senso ampio, contribuiscono al disastro ecologico. Accanto al dislocamento sociale e alla speculazione immobiliare, anche le crociere e il turismo di massa rappresentano enormi problemi per Venezia. Il comitato No grandi navi protesta ormai da anni contro le crociere e le enormi imbarcazioni di lusso, e gli attivisti del Venice Climate Camp organizzano campagne per chiedere ai turisti di non andare a Venezia.

YD - Credi che la pandemia, ancora estremamente presente nella nostra quotidianità, avrà un impatto sul tuo lavoro? E come si rifletterà sulla Biennale del 2022?

ME - Nessuno sa come andranno le cose nel 2022. Ma il Covid-19 circola da oltre un anno e ha causato conseguenze estreme in ogni ambito della nostra vita o quasi. Già solo per questo motivo la pandemia avrà un impatto a lungo termine, senza bisogno che se ne parli in modo diretto.

YD - Senza rivelare troppo in questa fase preliminare, come descriveresti in tre frasi il tuo contributo a Venezia 2022?

ME Provo a limitarmi a due: l’opera è accessibile. Può essere esperita sia a livello concettuale sia in loco, a livello fisico e in movimento.

 
Maria Eichhorn Maria Eichhorn, Padiglione Germania 2022, 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Foto di Jens Ziehe


Maria Eichhorn
Nata a Bamberga nel 1962 e vive a Berlino. Tra il 1984 e il 1990 ha studiato con Karl Horst Hödicke presso l’Università delle Belle arti di Berlino. Nel 1999 comincia a insegnare come professore ospite all’Istituto delle arti della California (CalArts) a Valencia, e dal 2003 è professore presso l’Università delle Arti di Zurigo. Maria Eichhorn è profondamente interessata al legame fra proprietà e possesso, e al rapporto che intercorre fra lavoro, valore e tempo.
In occasione di Skulptur. Projekte in Münster 1997 (“Scultura. Progetti a Münster 1997”), per analizzare il concetto di proprietà terriera Eichhorn ha acquistato un terreno nel centro della città. Dopo averlo venduto, ha devoluto i proventi a un’organizzazione che lotta contro la gentrificazione. Per la partecipazione a documenta 11 a Kassel ha fondato la Maria Eichhorn Aktiengesellschaft (“Società per azioni Maria Eichhorn”, 2002), il cui capitale azionario è stato ritirato dal ciclo monetario e le cui azioni sono poi state trasferite alla società stessa. La mostra Restitutionspolitik / Politics of Restitution (“Politiche di restituzione”, 2003), organizzata dalla Lenbachhaus di Monaco, ha segnato l’inizio della sua ricerca di opere d’arte sottratte a proprietari ebrei sotto il nazismo, tematica che ha continuato a esplorare in progetti successivi. Per il suo contributo alla mostra Wohnungsfrage (“La questione delle abitazioni”) presso la Haus der Kulturen der Welt a Berlino, ha realizzato l’opera intitolata In den Zelten 4 / 5 / 5a / 6 / 7 / 8 / 9 / 9a / 10, Kronprinzenufer 29 / 30, Beethovenstraße 1 / 2 / 3 (1832 bis 1959) > John-Foster-Dulles-Allee 10 (seit 1959), Berlin (2015) per stabilire l’assetto proprietario del terreno su cui sorgeva l’edificio. L’opera, tra i cui elementi costitutivi troviamo segni e scritte tracciati sul pavimento, estratti del registro catastale e testi correlati, rivela che la Kongresshalle (oggi la Haus der Kulturen der Welt) è stata parzialmente costruita su un terreno espropriato per il quale non è mai stato corrisposto un risarcimento. Per Building as Unowned Property (“Edificio privo di proprietario”, 2017–in corso), l’opera presentata a documenta 14, Eichhorn ha acquistato una proprietà ad Atene per trasformarla in un bene senza proprietari, mentre a Kassel ha fondato il Rose Valland Institut (2017–in corso) per documentare l’espropriazione subita dalla popolazione ebrea d’Europa e gli effetti di questo processo, che perdurano ancora oggi.
La mostra 5 weeks, 25 days, 175 hours (“5 settimane, 25 giorni, 175 ore”, 2016), organizzata dalla Chisenhale Gallery di Londra, consisteva nel concedere delle pause dal lavoro ai dipendenti della galleria, che è rimasta chiusa per tutta la durata della mostra. Quello stesso anno, l’artista si è fatta assumere dalla città di Colonia come assegnista di ricerca al Museum Ludwig e, con l’opera intitolata Arbeitsvertrag zwischen der Stadt Köln, vertreten durch die Oberbürgermeisterin, und Frau Maria Eichhorn (“Contratto d’assunzione stipulato tra la città di Colonia, rappresentata dal sindaco, e dalla signora Maria Eichhorn”, 2016), si è misurata in prima persona con il valore che la società attribuisce al lavoro artistico.

 

Maria Eichhorn
Relocating a Structure
A cura di Yilmaz Dziewior
Padiglione della Germania alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia
Site  Relocating a Structure
@ 2022 Artext

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