Liberty/Libertà
Martin Puryear
Works in the Exhibition
Da più di cinquant’anni la produzione artistica di Martin Puryear è stimolata da un approccio costante: temi come
fedeltà, democrazia e libertà da tempo ispirano l’artista.
Il pubblico potrà scoprire che la ricerca artistica su un aspetto umano simbolico ma tangibile ovvero, la libertà si può esprimere al meglio in forma scultorea grazie a un linguaggio visivo estremamente originale e sicuro. La libertà, la sua negazione o strumentalizzazione e il suo legame con libertà personale, giustizia morale e responsabilità è un tema costante per Puryear e ne riflette l’intima comprensione del modo in cui una premessa fondante richiami simultaneamente una dottrina solidissima e una fragilità sconcertante. Proprio come Puryear costruisce la scultura per gradi dall’idea iniziale al disegno su carta, al modello tridimensionale fino all’opera finale—il raggiungimento della libertà procede dall’ideale filosofico all’elaborazione di un documento, all’esperienza vissuta e alla ratifica del contratto sociale.
Puryear ci guida attraverso la sua scultura. È un creatore di oggetti in legno, bronzo, vimini, ferro, catrame, rete, granito, sassi e altri materiali in un periodo in cui l’innovazione tecnologica è divenuta prassi per molti artisti. La scultura seleziona e chiarisce elementi che attraversano culture, continenti, ere e prospettive. L’analisi delle correnti interculturali è un processo dalle radici profonde, che caratterizza Puryear come artista
consapevole e influente. Il suo lavoro, che attraversa ed evita molti movimenti artistici del XX e XXI secolo, è famoso per la fiera indipendenza. L’audacia di Puryear sta nel fare i conti con la cultura materiale storica e contemporanea per estrapolare un senso dal modo in cui gli oggetti quotidiani si evolvono, sono manipolati o trasformati nel tempo. Il pubblico può quindi percepire quanto la sua scultura sfidi le aspettative e fino a che punto metta in discussione la storia, modifichi la consapevolezza, indaghi il concetto di libertà.
Pavilion of United States of America, Martin Puryear, Liberty / Libertà
Tabernacle, 2019
Acciaio, cedro rosso, cipresso americano, pino,
impiallacciatura di makoré, tela, tessuto di cotone
stampato, vetro, acciaio inossidabile
188 × 229 × 244 cm
La visiera e la corona d’acciaio di Tabernacle di Puryear danno origine a una sagoma basata sul chepì indossato durante la Guerra civile sia dalla fanteria unionista che da quella confederata. Come molte altre opere dell’artista, Tabernacle contiene un mondo dentro un altro: una forma di tela nera sospesa a un esoscheletro reticolare il cui interno è rivestito da una stoffa francese a fiori del primo Ottocento. I visitatori possono sbirciare il centro dell’opera attraverso il vetro di una finestra, i cui montanti formano il reticolo del mirino. All’interno della calotta sproporzionata del berretto l’artista ha costruito la replica di
legno in sezione di un mortaio da assedio della Guerra civile, con una sfera specchiata, simile a una palla di cannone, annidata nel fusto. Il pubblico è coinvolto: vede il proprio riflesso sulla superficie lucida della sfera. Tabernacle rappresenta la meditazione di Puryear sulla violenza a mano armata in America, così spesso consentita da un atteggiamento simile al fanatismo religioso. Che sia abbastanza ampio da ospitare una congregazione o costruito per contenere una singola icona, un tabernacolo è un luogo di culto.
Aso Oke, 2019
Bronzo
213 × 259 × 189 cm
La ricerca svolta da Puryear sul copricapo, oggetto d’uso quotidiano e insieme significante culturale il cui senso varia nel tempo e richiede una certa interpretazione da parte di chi lo indossa per chi lo vede, poi dall’artista al pubblico—si concretizza in questa scultura reticolare in bronzo che richiama la trama e l’ordito del tessuto. Puryear deriva la forma di questa scultura dal berretto aso oke, parte dell’odierno abito nazionale degli uomini nigeriani, che è indossato in tutta l’Africa occidentale. Questi berretti di tela si portano con la cupola rovesciata di lato a coprire l’orecchio di chi lo indossa, e dalla struttura ripiegata della scultura emerge il riferimento elegante di Puryear a questo stile vernacolare. La traduzione letterale di aso oke, termine in lingua Yoruba, è “tela superiore” o “tela preziosa”. La stoffa tessuta a mano è divenuta nei secoli un dispositivo economico, un oggetto estremamente significativo con una lunga storia di valenza spirituale, cerimoniale e sociale. Nella cultura Yoruba, i prestigiosi tessuti aso oke erano utilizzati per i doni cerimoniali tra capi guerrieri. Nei decenni da che le nazioni africane hanno ottenuto l’autonomia, l’aso oke è divenuto una dimostrazione tangibile di indipendenza.
Pavilion of United States of America, Martin Puryear, Liberty / Libertà
Cloister-Redoubt or Cloistered Doubt?, 2019
Tsuga americana, pino strobo, tulipifero,
cedro rosso
253 × 244 × 135 cm
In questa scultura composta da legni di varie essenze, la piccola forma di un riparo sta appollaiata su travi di legno disposte a raggiera, sotto una copertura che si innalza ad arco. L’insieme di questi elementi offre l’immagine di uno spazio protetto e inaccessibile, che l’artista definisce un “rifugio dalla ragione”. Puryear descrive l’implicita tensione esistente tra un ampio frontone organico e una costruzione chiusa a formare uno spazio buio ed isolato, e definisce questa scultura una meditazione sul mistero della fede religiosa, una fede concepita come un edificio meticolosamente costruito. L’opera riflette sul fervore religioso contemporaneo, prende in esame il rafforzarsi di un rifugio che esclude la differenza all’esterno, ed evoca l’interiorità di una forma reticolare che fa pensare a un luogo protetto ma anche a una prigione.
Pavilion of United States of America, Martin Puryear, Liberty / Libertà
A Column for Sally Hemings, 2019
Ghisa, tulipifero dipinto 203 × 40 × 40 cm
La scultura più recente di Puryear, concepita appositamente per la rotonda del padiglione degli Stati Uniti, riprende le quattro colonne doriche all’entrata dell’edificio. Il palo di ghisa con i ceppi conficcato sulla cima della colonna sembra spingere le scanalature in basso, verso il centro, sovvertendo l’originaria purezza della forma classica. La scultura di Puryear è dedicata a Sally Hemings, schiava afroamericana appartenuta a Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti e padre dei suoi figli. Il padiglione degli Stati Uniti risale al 1930; è un edificio dell’epoca della Depressione, in cui lo studio newyorchese Delano and Aldrich ha utilizzato un vocabolario neoclassico. Lo stile è influenzato da Andrea Palladio, il maestro rinascimentale che ispira anche il progetto di Monticello, la casa padronale che lo stesso Thomas Jefferson disegna per la sua piantagione
in Virginia. Palladio, che si rifà a fonti dell’antichità classica, ha eseguito opere magnifiche a Venezia (chiese di San Giorgio Maggiore e del Redentore) e nel Veneto.
Pavilion of United States of America, Martin Puryear, Liberty / Libertà
New Voortrekker, 2018
Frassino, cipresso americano, acero, specchio
183 × 236 × 56 cm
Il carretto e il carro coperto sono un tema ricorrente nella ricerca di Puryear, che ha da tempo compreso quanto un oggetto utile possa evocare la monotonia del lavoro o un rituale stagionale, l’oppressione o l’emancipazione.
Carretti e carri coperti sono anche mezzi di trasporto verso destinazioni sconosciute e possono portare il passeggero verso la libertà, individuale e assoluta. Esiste sempre una certa ambiguità nelle sculture-carro di Puryear, che secondo l’artista sono in assonanza con “l’idea di fuggire verso un futuro sconosciuto, di viaggiare verso la sicurezza, di portare con sé i propri sogni di progresso”. Nell’Ottocento gli americani viaggiarono verso
ovest su carri coperti, spinti dal concetto di Destino Manifesto o dal Naturalismo romantico, mentre in Sudafrica i Voortrekker partivano dalla colonia inglese del Capo verso l’interno del paese. L’equivalente contemporaneo del pioniere è il “survivalista” americano che prevede la fine apocalittica della civiltà a causa di guerre, collasso economico o conflitti sociali. Il carro è anche un simbolo dell’attuale vasta migrazione globale delle genti che
fuggono da persecuzione politica, siccità, conflitti e guerre.
Hibernian Testosterone, 2018
Alluminio dipinto, cipresso americano
145 × 358 × 113 cm
Con un certo caustico umorismo l’artista riproduce a grandezza naturale l’enorme cranio e il palco di corna del grande alce irlandese, una specie da tempo estinta di cervo gigante dalle corna esageratamente grandi, persino rispetto alla mole massiccia. Il “copricapo” difensivo dell’alce poteva superare i quattro metri di ampiezza, e si presume si sia sviluppato come richiamo sessuale e arma di combattimento, mentre ora è solo un significante non attivo di prestanza fisica virile. Anche se un tempo l’animale era diffuso in tutta Europa, il maggior numero di resti fossili è stato rinvenuto nelle torbiere dell’Irlanda (che gli antichi Romani chiamavano
Hibernia). I paleontologi hanno avanzato numerose ipotesi per spiegare come la più grande specie di cervide, apparsa in epoca preistorica, possa aver messo in atto la propria rovina evolutiva, tra cui lo stress metabolico
dovuto alla produzione del testosterone che alimentava ogni anno la crescita di questi palchi stupefacenti.
Pavilion of United States of America, Martin Puryear, Liberty / Libertà
Big Phrygian, 2010–14
Cedro rosso dipinto
147 × 102 × 193 cm
Glenstone Museum, Potomac, Maryland
In quest’opera Puryear si ispira alla forma dell’antico berretto frigio, che all’inizio del secondo secolo vediamo indossato dai prigionieri daci raffigurati sulla Colonna di Traiano a Roma e che i liberti dell’antica capitale indossavano per dimostrare il loro stato di uomini liberi. Durante la Rivoluzione francese il berretto diviene simbolo di libertà, e nel dipinto La Libertà che guida il popolo (1830) Eugène Delacroix lo pone sulla testa
della figura allegorica, Marianna. Al Museo Correr e alle Gallerie dell’Accademia, entrambi a Venezia, un marmo neoclassico di Antonio Canova, Paride, mostra la figura mitologica con il berretto frigio. Più tardi, gli schiavi neri dei Caraibi adotteranno questo berretto nella loro lotta per l’uguaglianza sotto il dominio francese.
Martin Puryear (nato nel 1941) è lo scultore americano la cui produzione artistica è famosa per la finezza e la forza della forma e per il suo intrinseco simbolismo. Ha rappresentato gli Stati Uniti alla Bienal de São Paulo del 1989, dove è stato insignito del Gran premio, e ha esposto nel 1992 a Documenta IX a Kassel, in Germania. Nel 2007 il Museum of Modern Art di New York ha organizzato una mostra retrospettiva delle opere di Puryear, poi trasferita al Modern Art Museum di Fort Worth, Texas, alla National Gallery of Art di Washington, D.C. e al San Francisco Museum of Modern Art. Una mostra dei suoi disegni, Martin Puryear: Multiple Dimensions, inaugurata alla Morgan Library & Museum di New York (2015), è stata poi trasferita all’Art Institute of Chicago e allo Smithsonian
American Art Museum di Washington, D.C. Nel 2016 Puryear ha ricevuto da Madison Square Park Conservancy l’incarico di eseguire un’importante installazione scultorea, Big Bling. Una sua mostra personale è stata presentata al Museum Voorlinden di Wassenaar, nei Paesi Bassi (2018). Puryear ha conseguito il B.A. presso la Catholic
University of America (1963) e un M.F.A. alla Yale University (1971); ha inoltre frequentato i corsi della Royal Swedish Academy of Art (1966–68). Ha ricevuto molti premi illustri, tra cui una borsa di studio della Louis Comfort Tiffany Foundation (1981) e il John D. and Catherine T. MacArthur Foundation Fellowship Award (1989) e la Skowhegan Medal for Sculpture (1990). È stato eletto membro della American Academy of Arts and Letters nel 1992, nel 1994 la Yale University gli ha conferito un dottorato ad honorem ed è stato insignito della National Medal of Arts nel 2011.
Padiglione Stati Uniti alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia