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SACI Gallery
Massimiliano Turco
"doppia cattura (double capture)"

 
Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, divenire, 2016


Massimiliano Turco
Doppia Cattura

A cura di Špela Zidar
SACI Gallery Firenze

Alla SACI Maidoff Gallery, Massimiliano Turco presenta la sua ricerca artistica incentrata principalmente sul segno e il gesto. L'artista utilizza gli scarti di marmo ritrovati nelle sue passeggiate nelle cave locali come supporto per i suoi disegni.

Applicando le “piccole scariche d’energia’ l'artista disegna con l’inchiostro sulla superficie irregolare del marmo – la superficie che dirige e crea la forma e l'intensità dei segni fatti dall'artista. In questo caso il supporto non è inteso come sussidiario, ma diventa il protagonista dell'opera, allo stesso livello del disegno – ‘un piano d’incontro’tra marmo e inchiostro.
L’intervento minimo, che l'artista applica sulla superficie marmorea con piccoli e energetici segni, viene rinforzato tramite la ripetizione. L’artista passa lunghe, estenuanti ore a disegnare sul marmo quasi ossessivamente. Il risultato è un mantra – un ritmo ripetitivo che però non gli permette mai di controllare completamente il risultato finale. I due materiali, il marmo e l'inchiostro, diventano come la Doppia Cattura di Deleuze “poiché ciò che ciascuno diviene cambia tanto quanto colui che diviene.”
La nuova serie di lavori di Massimiliano Divenire è sempre molto legata all’atto di segnare. L'artista srotola dei lunghi fogli di carta traslucida ‘au plein air’ nelle cave, permettendo agli agenti atmosferici di interagire liberamente con la carta – creando il disegno con abrasioni, crepe, trasferimenti e pieghe. Il lavoro così creato diventa una performance involontaria e la carta utilizzata inizia a prendere le sembianze del marmo e dell'ambiente circostante. Si verifica ancora una ‘doppia cattura’.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, flusso, 2013 - 2015


Intervista
di Špela Zidar a Massimiliano Turco

Špela Zidar - Nel tuo lavoro mi colpisce molto il gesto contenuto, ma estenuante nella sua ripetizione mantrica, quasi folle con il quale segni le superfici dei tuoi ‘Flussi’. Come era nato e come sei arrivato dal segno al gesto?

Massimiliano Turco - Credo di aver sempre inteso nel mio lavoro una complicità, una corrispondenza fra l’energia del gesto e la materializzazione del segno che ne consegue o, addirittura, a cui lo stesso gesto aderisce fuori da una gerarchia temporale. Soprattutto quando il gesto, nella realizzazione del segno, non si accompagna ad un accentuato valore stilistico, o utilitaristico. Nel mio caso, infatti, nella mancanza di un certo progetto precostituito, il segno che segue il gesto è semmai in-seguìto dal gesto che al contempo lo in-segue.
Prima di questo, però, precedentemente ai lavori più recenti di cui parliamo, tracciavo linee entro uno scenario, uno spazio piano come quello di una tela grezza o di un foglio di carta ma, dopo non molto, una certa spinta ritmica del segnare ha preso il sopravvento sul flusso del disegno lineare, sfociando così in un gesto più breve e in qualche modo febbrile fino a corrispondere, in tempi non troppo lunghi, con la scarica d’energia ripetuta di cui tu parli e che tu chiami ripetizione mantrica alludendo a certe pratiche a cui io però non ho mai aderito o frequentato direttamente. Forse, semplicemente, questo ritmo gestuale, serrato, di segni alternati è una sorta di modalità per attrarre il piano cartaceo o marmoreo verso una partecipazione alla realizzazione dell’opera su quello che è un nuovo piano di incontro. E’ anche questo il senso della “doppia cattura” (che da il nome alla mostra) o, forse ancor meglio, il senso di una metamorfosi.
Parli anche di una dimensione folle e io in questo senso non so come stiano pienamente le cose, però, posso pensare che l’aspetto psichico o, come meglio dire, celebrale è fortemente insito nel mio lavoro, sicuramente non in senso razionale, almeno mi pare.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, doppia cattura, 2019


SZ - Parli del supporto come un punto d'incontro tra i materiali diversi che usi, ed è il loro incontro che crea l'opera. Consideri anche il tuo corpo una parte del divenire dell'opera?

MT - Assolutamente sì, ma non in senso gerarchico. Il corpo come presenza fisica è uno degli elementi nella genesi dell’opera, che partecipa e si verifica sul piano condiviso deterritorializzante e autogenerante della “doppia cattura” che è una trincea attrattiva e ritmica tra - e - in tutti gli elementi, compreso appunto il corpo.
Il corpo partecipa in vari modi. Ad esempio partecipa coi suoi limiti, con le sue misure. Può sembrare una banalità, ma sono queste e poche altre le caratteristiche e le semplici specificità del corpo che partecipa. Si tratta, semmai, di identificare nella reiterazione di un gesto la possibilità di registrare le energie nervose che il corpo stesso contiene e che, nell’atto, contemporaneamente (s)carica implodendo nel segno. Già in un’altra occasione, parlando di questa questione, cercai di spiegarmi più o meno così, cioè che attraverso la ripetizione insistente di una sintesi pittorica e psicologica, quale è il segno, mi pare, pure nello sfinimento, di avvertire fisicamente una corrispondenza insopportabile, e al tempo attrattiva, tra l’energia dei segni e la carne del corpo.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, pontos, 2016


SZ - Mentre segni con delle piccole linee d'inchiostro le superfici di carta o di marmo, hai bisogno di tempi di riposo durante i quali crei le sculture di carta traslucida che chiami ‘Spasmo Rizomatico’.
Quanto consideri il tuo gesto performativo? Spasmo rizomatico è per te una scultura o potrebbe essere anche la documentazione di una performance?

MT - Posso aver usato anch’io la parola riposo, ipotizzando qualcosa su questo momento di cui tu parli, ma mi vorrei correggere perchè non credo sia quella una parola appropriata.
Naturalmente, anche lo Spasmo Rizomatico, del resto, come tutto il processo di reiterazione del segno su marmo e carta, assume e assorbe nella propria genesi l’evento del gesto. Ma cambia la struttura mentale e fisica rispetto alle lunghe sedute in Flusso e nella Zographia. Lo sfinimento, lo snervamento, la spossatezza, lo sfiancamento, che pure strutturano il senso di opere come quest’ultime, fanno parte di una condizione necessaria all’evento concatenato che entro Spasmo Rizomatico si concretizza su un altro piano di lavoro e anche qui, perciò, in una deterritorializzazione dell’atto. In pratica, lo spostamento aderisce ad un piano di movimento fermo e veloce, una scarica dilatata, uno strappo e uno stropicciamento manuale e celebrale, assecondati dal tracciato di una linea continua e interrotta nel suo stesso flusso. Spasmo Rizomatico non è una scultura e non è neppure un documento. Citando ancora Deleuze e Guattari forse posso dire che lo Spasmo Rizomatico consiste nell’ecceità del gesto e se questo gesto sia performativo allora lo è in questo senso, passando per un concetto prossimo a quello di immanenza, che comunque attraversa tutto il mio lavoro.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, spasmo rizomatico, 2019


SZ - Il risultato sono sempre i segni, ma meno controllati? Quanto ti lasci andare? Si tratta del bisogno di un’ulteriore perdita di controllo?

MT - Io credo che il mio lavoro non abbia a che fare con la questione “controllo / perdita di controllo”, semmai, è uno spostamento del corpo e un cambiamento minimo dei materiali.
Guarda, è solo che certe volte il corpo brucia e il pensiero pare pazzo, perciò, il corpo fa un movimento diverso assecondando una qualche fuoriuscita celebrale o, non lo so, psichica, una spinta desiderante che ti fa muovere da fermo. E così può nascere un’opera su-in-da cui reiterare l’azione o (per render meglio la non idea) l’atto. Ed è così che mi pare sia nato Spasmo Rizomatico. Ecco, ma non c’è nessuna perdita di controllo perchè non c’è mai controllo, voglio dire, non esite lavoro controllato, non c’è nessuna azione tecnica o stilistica e non esitono obiettivi formali precostituiti se non una “macchina desiderante” che contempli il gesto e tutto quello che ne risulta.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, divenire III, 2017


SZ - L'opera ‘Divenire III’ è stata esposta per la prima volta proprio in occasione della mostra alla SACI. Si tratta della terza edizione dell'opera su un rotolo di carta traslucida ‘en plein air’, quella più deteriorata. Cosa ti ha convinto ad esporla?

MT - Sì, va premesso che il deterioramento corrisponde ad un valore del Divenire, cioè alla possibilità di metamorfosi che è già inscritta nel processo realizzativo. In questo caso c’è un disordine che ha preso il sopravvento per via di alcune folate di vento molto forti che hanno preso parte al disegno. C’è questa fuoriuscita, una sorta di gobba del rotolo che rende il senso del gesto, la spinta della folata. En pein air, forse poco prima di una distruzione completa (che comunque in Divenire può verificarsi lasciando niente di fisico dell’opera, come certe volte è accaduto), come di solito faccio, ho arrotolato Divenire III prima di abbandonarlo in un angolo, deposto esausto. E’ questa fragilità, questo senso di un fisiologico abbandono, che quest’opera vuole evidenziare nella logica della mostra. D’altra parte, è anche nel lavoro di Zographia che si manifesta fragilità; nel potenziale segno-tempo-spazio che si evidenzia proprio nella sua assenza c’è quella possibilità di abbandono.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, 7 uroboros, 2019


SZ - Infatti è proprio l’azione performativa del tuo corpo, mentre cerchi di disegnare sulla carta stesa a terra in balia del vento e degli agenti atmosferici, mi hai raccontato che a volte durante il processo la carta e i colori vengono dissolti completamente e portati via dal vento così fisicamente non rimane niente delle opere. Rimane però l'energia ed il tempo, secondo me due fattori fondamentali del tuo lavoro. Hai mai pensato di presentare anche questo aspetto performativo del tuo lavoro?

MT - Se me lo chiedi, forse, è perchè questo aspetto dell’azione performativa l’hai già vista lì, dove guardi l’opera. Anche se a me piace parlare sempre più di atto che di azione.
Come dici tu, è come se l’opera custodisse l’evento che l’ha generato senza però celarlo.
L’opera è una necessaria registrazione atemporale di quell’energia di cui tu parli e che si verifica entro il piano, appunto, di un tempo altro, sicuramente non quello che regola lo spazio di un pensiero razionale.
Non riesco a pensare il mio lavoro, anzi, la genesi di un’opera, fuori da questa logica.
La genesi dell’opera d’arte, se si parla di opera d’arte, credo sia sempre prossima al dirupo, alla distruzione, e, ciò che rimarebbe, lo potremo e lo potremmo sempre individuare nel gesto performativo corrispondente. Altrimenti in cosa si differenzierebbe il gesto artistico e l’opera/risultante oltre al suo senso di simbolo?
Però ho difficoltà a trovare una risposta che contempli la possibilità di considerare l’opera ancora oltre e fuori la sua immanenza oggettuale o la sua immanante oggettualità, cioè, voglio dire, riscontrabile anche solo ed esclusivamente nell’atto performativo del corpo. O perlomeno ora non mi sento di fare una dichiarazione di questo tipo ancor prima che un atto del genere si verifichi (se si verificherà, o se si fosse già verificato), intendo, che si manifesti nella sua riconoscibilità di performance in un contesto che la riconosca tale, o dentro una documentazione necessaria che ne riporti l’esistenza o l’accadimento.
Credo ancora che riconoscere nella genesi dell’opera, guardandola lì, l’esistenza di un atto performativo che l’ha generata, non sia un fatto straordinario ma necessario, almeno per una mia logica.

Massimiliano TurcoMassimiliano Turco, Doppia Cattura, a cura di Spela Zidar , SACI Maidoff Gallery, Firenze, 2019


Massimiliano Turco
Nato a Prato nel 1980, studia all’Istituto Statale d’Arte di Pistoia e, successivamente, all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Dopo aver partecipato a numerose collettive in Toscana, nel 2015 viene selezionato dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci come giovane artista nell’ambito del progetto TU35. In contemporanea alla prima personale “Divenire”, a cura di Alessandra Tempesti, prende parte, nel 2015 e nel 2016, alle due mostre del Museo Casa Masaccio a San Giovanni Valdarno, “Ripensare il Medium, Il fantasma del disegno” e “Senza Titolo (La pittura come modello)” a cura di Cristiana Collu e Saretto Cincinelli. Nel 2018 le opere di Turco vengono esposte alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma nell’ambito della mostra Ilmondoinfine: vivere tra le rovine, a cura di Ilaria Bussoni. Sempre tra la fine del solito anno e l’inizio del 2019 espone al Museo Novecento di Firenze nella collettiva “Il disegno del disegno”a cura di Saretto Cincinelli in un progetto di Sergio Risaliti. Tra le ultime esperienze,“Doppia Cattura” è il titolo della mostra personale, a cura di Spela Zidar, che Massimiliano Turco presenta nel 2019 a Firenze per SACI Studio Arts College International Florence. La Direttrice della GNAM di Roma, Cristiana Collu, già nel 2016, nel contesto di un intervento all’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, citava il lavoro di Massimiliano Turco parlando di “un esempio interessante, un artista che disegna sul marmo generando una sovrapposizione del disegno nel disegno della natura, in un desiderio di compenetrazione”.


 

Massimiliano Turco- "doppia cattura (double capture)"
a cura di Špela Zidar
SACI Gallery, Via Sant’Antonino 11, Firenze
06/11/2019 al 07/12/2019
@ 2019 Artext

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