DUE QUI / TO HEAR
PROGETTO
Due qui / To Hear è la forma più estesa di una pratica
collaborativa usata con frequenza da Bartolini, che
coinvolge una pluralità di figure di ambiti diversi all’interno
del suo lavoro. Le capacità e i linguaggi di musiciste
e musicisti (Caterina Barbieri, Gavin Bryars, Kali
Malone), scrittrici e scrittori (Nicoletta Costa, Tiziano
Scarpa) e tecnici (ingegneri, organari, artigiani), contribuiscono
a definire il progetto artistico e curatoriale
nella sua complessità come una polifonia di molte voci.
Attraverso opere scultoree, installative, sonore e performative,
in una varietà che è tipica della pratica
dell’artista, il progetto mira a creare una situazione
esperienziale. Chi visita il Padiglione Italia può fruire
di un doppio accesso – sia dalla Tesa che dal Giardino
– e attraversa tre aree modellate su diverse forme di
movimento e pausa, di esperienze acustiche e spazi
di incontro. Tutti gli interventi rispondono alle caratteristiche
fisiche degli spazi espositivi senza adottare
alcuna forma di display.
Come spesso avviene nell’opera di Bartolini, il progetto
è strutturato su alcuni principi contrastanti a formare
un percorso potenzialmente circolare. Se le due estremità
presentano grandi vuoti riempiti da sonorità per
loro natura molto diverse, lo spazio principale è occupato
quasi totalmente da una grande installazione
labirintica che si estende in larghezza e altezza (Due
qui, 2024). Se le opere alle due estremità si riferiscono
a forme diverse di staticità e di apparente non-azione
(Pensive Bodhisattva on A Flat e A veces ya no puedo
moverme, entrambe 2024), la Tesa più grande è trasformata,
invece, in uno spazio attraversabile in tempi
e direzioni diverse, quasi a incoraggiare una forma di
esplorazione e di ricerca.
In questo itinerario a due sensi il Bodhisattva che si
incontra nella Tesa e l’albero cui ci si riferisce nell’opera
nel giardino sono incarnazioni di un principio di
spiritualità e natura, rispettivamente. A dispetto della
loro apparente inazione, l’albero che è connesso
attraverso le radici o il Bodhisattva che sta seduto
a pensare, come anche la contemplazione di un elemento
naturale pulsante al centro della sala centrale
(Conveyance, 2024), incarnano forme di relazione
forse più profonde con il Mondo. Perché: “Nel tendere
l’orecchio, che è una forma d’inazione, tace l’Io, presupposto
di differenziazioni e delimitazioni. L’Io che
tende l’orecchio si immerge nel tutto, nell’illimitato,
nell’infinito” (Byung-Chul Han).
Luca Cerizza
Massimo Bartolini, Pensive Bodhisattva on A Flat, 2024, Photo © Andrea Avezzù
Su una lunga colonna appoggiata a terra siede la piccola
statua di un Pensive Bodhisattva, iconografia tipica
dell’arte buddhista. Il Bodhisattva è un uomo il quale,
avendo raggiunto l’illuminazione, vi rinuncia volontariamente
per indicare la via agli altri uomini. Figura
dell’inazione, il Bodhisattva sta fermo, non agisce ma
riflette. Quello che appare come un segno nello spazio,
una linea di demarcazione funziona, in verità, come una
canna d’organo la cui “bocca” si rivela al termine della
colonna stessa. Un ventilatore muove l’aria all’interno
della canna e crea un suono basso, un drone. Lo stesso
tempo sospeso suggerito dal Bodhisattva è rafforzato
da questo suono prolungato, che rimanda a un tempo circolare.
Le cromie delle due lunghe pareti di questa Tesa riprendono
i colori con i quali, nel contesto di una storia
che ritorna almeno a Isaac Newton, diversi scienziati
e musicisti hanno attribuito una cromia alle tonalità
musicali. In questo caso verde e viola rappresentano
rispettivamente la tonalità La e La bemolle secondo
l’attribuzione del compositore Alexander Scriabin nel
1911. A sua volta il La si riferisce alla tonalità dell’organo
presentato da Bartolini al Centro Pecci di Prato
(2022-23), mentre il La bemolle è la tonalità del lavoro
presentato in questa stanza.
Massimo Bartolini, Due qui, 2024, Photo © Andrea Avezzù
È il maggiore esempio concepito finora di una serie
di installazioni che Bartolini ha disegnato negli ultimi
anni, usando materiali per ponteggi e modificandoli in
modo da suonare come un organo, grazie alla collaborazione
di organari e tecnici specializzati. Come molte
altre opere di Bartolini, questa immensa creazione
macchinica lavora sulla trasformazione di materiali o
la loro riproposizione in forme inedite, quasi a produrre
un sentimento barocco della meraviglia. D’altronde,
secondo alcuni principi dell’estetica barocca, la sintesi
dell’eterogeneo (il thauma), è una prerogativa dell’ingegno,
e la meraviglia scaturisce dall’accostamento di
“lontananze”, secondo la logica del paradosso.
In questo caso, in un gioco di contrasti tipica di Bartolini,
un contesto di lavoro, di fatica (il ponteggio) è anche
motore di spiritualità, forse di elevazione tramite l’azione
della musica (l’organo). La struttura cambia funzione:
invece di essere propedeutica alla costruzione
di un edificio, serve alla veicolazione di un suono, di un
“edificio” musicale. Occupando la quasi totalità della
Tesa, questo ambiente attraversabile da più entrate e
uscite, vive più come esperienza che come immagine.
Questa struttura percorribile è disegnata seguendo la
pianta di un immaginario giardino barocco all’italiana.
La funzione che nei giardini è normalmente occupata
da una fontana, è qui assolta da una scultura circolare
(Conveyance, 2024) che funge anche da seduta intorno
alla quale possono incontrarsi più persone. Anzi,
questo centro, questo punto di incontro è la posizione
da cui si può meglio ascoltare, in forma stereofonica,
la composizione scritta appositamente per l’occasione
da due giovani musiciste tra le più riconosciute in
ambito elettronico e sperimentale: Caterina Barbieri
(1990, Italia) e Kali Malone (1994, Stati Uniti). Il loro
contributo è un’antifona in La bemolle in cui due linee
melodiche si intersecano e completano [Mute vette (A
Reflection That Shines From One Mind Upon Another)].
Le due brevi melodie sono suonate in loop, in modo
che la meccanica idealmente sostituisca l’esecuzione
dell’uomo nell’organo tradizionale. La musica è, infatti,
incisa su due rulli a motore come grandi carillon
che suonano all’unisono. Se è vero che questo spazio
sonoro ha un centro ideale, è altrettanto vero che il
suono di questa macchina musicale è percepibile in
modi sempre diversi a seconda dei tempi e direzioni di
percorrenza dello spettatore. È il nostro movimento a
“comporre” parzialmente una musica sempre nuova.
Massimo Bartolini, Conveyance, 2024, Photo © Andrea Avezzù
Mentre rimanda alla rigorosa geometria di una scultura
minimalista, l’opera è in verità “animata” da un
elemento naturale: quella di un’onda conica che sale
e scende di continuo. Chiamata in termini scientifici
“solitone”, è un’onda simile a quella che genera uno
“tsunami” ma replicata di continuo come in un esperimento
di laboratorio. Questa pulsazione senza sosta
è un fenomeno da osservare da soli o in compagnia
ma – trasformata in un movimento ipnotico – può diventare
uno strumento che agevola stati di meditazione.
Conveyance è veramente il cuore pulsante, il
punto di equilibrio, di pacificazione forse, di questo
grande spazio labirintico. Se, nonostante il continuo
movimento, l’onda è del tutto silente, tutto intorno a
lei è suono.
Massimo Bartolini, A veces ya no puedo moverme, 2024, Photo © Agostino Osio / AltoPiano
Nello spazio del Giardino delle Vergini risuona la musica
di un coro per tre voci, campane e vibrafono
composto dal musicista inglese Gavin Bryars (1943,
Gran Bretagna) insieme a suo figlio Yuri Bryars (1999,
Canada). Uno dei più importanti esponenti della musica
di ricerca e minimalista emersi alla fine degli anni ’60, e
già collaboratore di Bartolini per la sua grande mostra
personale al Centro Pecci di Prato (Hagoromo, 2022-
23), Bryars ha qui concepito una nuova composizione
ispirata a un testo del poeta argentino Roberto Juarroz
(1925-95, Argentina). In A veces ya no puedo moverme
(Certe volte non riesco più a muovermi) in cui un essere
umano si percepisce come un albero, o una forma
vegetale che è connessa al mondo attraverso radici,
in un rapporto osmotico con l’altro “come se tutte le
cose nascessero da me o come se io nascessi da tutte
le cose”. Un’immobilità che è relazione. Appesi ai rami
di tre alberi del giardino come per segnalare un luogo
d’incontro in modi simili alle scarpe appese per i lacci,
tre coppie di speaker portatili diffondono questi suoni
nello spazio aperto, suggerendo possibili relazioni tra
uomo e ambiente, dell’uomo come ambiente.
Massimo Bartolini, Audience for a Tree, 2024, Photo © Agostino Osio / Altopiano
Come evoluzione di alcune opere degli anni ’90-2000
in cui l’artista interrava sé stesso o dei collaboratori
per opere fotografiche o performative, alla ricerca
di un rapporto osmotico con l’elemento naturale,
Audience for a Tree (2024) è uno spazio temporaneo
creato da un cerchio di persone “piantate” intorno a
un albero del giardino. In un unico gesto di apparente
non-azione, lo proteggono e lo contemplano, diventando
architettura provvisoria e pubblico al tempo
stesso. Audience for a Tree si manifesta solo in alcuni
momenti della mostra, nei giorni di apertura e in occasione
del Public Program, lasciando traccia intorno
all’albero e nel terreno.
Massimo Bartolini, Due qui, 2024, Photo by: Andrea Avezzù Photo
Ascolto come incontro
Luca Cerizza
Giocando sull’assonanza tra “Two here” (due qui) e “To hear” (sentire/udire), in una
traduzione solo apparentemente scorretta, il titolo del progetto già suggerisce come
udire, e ancor meglio ascoltare, l’azione di “tendere l’orecchio” sia una forma di
attenzione verso l’altro. Incontro e ascolto, relazione e suono sono, d’altronde, due
elementi indissolubili qui come nella pratica ultratrentennale di Massimo Bartolini.
“Ascoltiamo per poter interpretare il nostro mondo e fare esperienza del significato”, ha
scritto, infatti, Pauline Oliveros 1. In
Due qui / To Hear
il paradigma acustico va inteso come esperienza fisica ma anche
come metafora, invito all’attenzione, all’ascolto dell’altro, sia esso un essere umano, un
elemento macchinico, una forma naturale. Se, per Bartolini, l’arte è un percorso di
conoscenza, il progetto suggerisce che il “prestare ascolto” possa essere uno
strumento per il miglioramento di se stessi all’interno della comunità del mondo.
Attraverso opere scultoree, installative, sonore e performative, in una varietà che è
tipica della pratica dell’artista, il progetto delinea una situazione esperienziale. In
dialogo diretto con gli ampi spazi del Padiglione – ai quali non è stata apportata
nessuna aggiunta strutturale né alcuna forma di “display” – il progetto è costruito
tramite un itinerario che lo spettatore può compiere in due diversi sensi di marcia, e
attraverso uno spazio tripartito. Se entrasse dalla Tesa 2 verrebbe accolto da una
statuetta in bronzo che rappresenta un Pensive Bodhisattva, iconografia tipica dell’arte
buddhista. Il Bodhisattva è un uomo il quale, avendo raggiunto l’illuminazione, vi
rinuncia volontariamente per indicare la via agli altri uomini. Figura dell’inazione, il
Bodhisattva sta fermo, non agisce ma riflette.
Non è un caso che questa figura sia “seduta” al principio di una lunga colonna di
venticinque metri poggiata a terra. Quello che appare come un segno nello spazio, una
linea di demarcazione funziona, in verità, come una grande canna d’organo. Al termine
della stanza si rivela la “bocca” della stessa canna: un ventilatore muove l’aria
all’interno della canna e crea un suono basso, un drone. Lo stesso tempo sospeso
suggerito dal Bodhisattva è rafforzato da questo suono prolungato, che rimanda a un
tempo circolare (Bodhisattva on A Flat, 2024)2. Le cromie delle due lunghe pareti di
questa Tesa riprendono i colori con i quali, nel contesto di una storia che ritorna almeno
a Isaac Newton, diversi scienziati e musicisti hanno attribuito una cromia alle tonalità
musicali. In questo caso verde e viola rappresentano rispettivamente la tonalità La e La
bemolle secondo l’attribuzione del compositore Alexander Scriabin nel 1911. A sua
volta il La si riferisce alla tonalità dell’organo di Bartolini al Centro Pecci (2022-23),
mentre il La bemolle è la tonalità del lavoro presentato in questa stanza.
Passando nello spazio principale della Tesa 1, lo spettatore entra ancora più
fisicamente in un altro suono “abitabile”. La grande sala è, infatti, quasi totalmente
occupata da una struttura di tubi innocenti percorribile in diverse direzioni3. Due qui
(2024) è il maggiore esempio concepito finora di una serie di installazioni che Bartolini
ha disegnato negli ultimi anni, usando tubi per ponteggi e modificandoli in modo da
suonare come un organo, grazie alla collaborazione di organari e tecnici specializzati.
Questa struttura percorribile è disegnata seguendo la pianta di un immaginario giardino
barocco all’italiana. La funzione che nei giardini è normalmente occupata da una
fontana, è qui assolta da una scultura circolare (Conveyance, 2024) che funge anche
da seduta intorno alla quale possono incontrarsi più persone. Mentre rimanda alla
rigorosa geometria di una scultura minimalista, l’opera è in verità “animata” da un
elemento naturale, da una forma di vita: al suo centro un’onda conica sale e scende di
continuo. Chiamata in termini scientifici “solitone”, è un’onda simile a quella che genera
uno “tsunami” ma replicata di continuo come in un esperimento di laboratorio. Questa
pulsazione senza sosta è un fenomeno da osservare da soli o in compagnia ma –
trasformata in un loop ipnotico – può diventare uno strumento che agevola stati di
meditazione.
Conveyance è veramente il cuore pulsante, il punto di equilibrio, di pacificazione forse,
di questo grande spazio labirintico. Se, nonostante il continuo movimento, l’onda è del
tutto silente, tutto intorno a lei è suono. Anzi, questo centro, questo punto di incontro è
la posizione da cui si può meglio ascoltare, in forma stereofonica, la composizione
scritta appositamente per l’occasione da due giovani musiciste tra le più riconosciute in
ambito elettronico e sperimentale: Caterina Barbieri (1990, Italia) e Kali Malone
(1994, Stati Uniti). Il loro contributo è un’antifona in La bemolle in cui due linee
melodiche si intersecano e completano [Mute vette (A Reflection That Shines From
One Mind Upon Another)]. Le due brevi melodie sono suonate in loop, in modo che la
meccanica idealmente sostituisca l’esecuzione dell’uomo nell’organo tradizionale. La
musica è, infatti, incisa su due rulli a motore come grandi carillon che suonano
all’unisono. Se è vero che questo spazio sonoro ha un centro ideale, è altrettanto vero
che il suono di questa macchina musicale è percepibile in modi sempre diversi a
seconda dei tempi e direzioni di percorrenza dello spettatore. È il nostro movimento a
“comporre” parzialmente una musica sempre nuova.
Come molte altre opere di Bartolini, questa immensa creazione macchinica lavora sulla
trasformazione di materiali o la loro riproposizione in forme inedite, quasi a produrre un
sentimento barocco della meraviglia, dove lo stupore non è strumento di seduzione ma
mezzo per ridefinire supposte consapevolezze. D’altronde, secondo alcuni principi
dell’estetica barocca, la sintesi dell’eterogeneo (il thauma) è una prerogativa
dell’ingegno, e la meraviglia scaturisce dall'accostamento di “lontananze”, secondo la
logica del paradosso 4.
In questo caso, in un gioco di contrasti tipica di Bartolini, un contesto di lavoro, di fatica
(il ponteggio) è anche motore di spiritualità, forse di elevazione tramite l’azione della
musica (l’organo). La struttura cambia funzione: invece di essere propedeutico alla
costruzione di un edificio, serve alla veicolazione di un suono, di un “edificio” musicale.
Occupando la quasi totalità della Tesa, questo ambiente attraversabile da più entrate e
uscite, vive più come esperienza che come immagine 5.
Usciti da questo spazio intricato come un bosco, lo spettatore può passare al contesto
più aperto del Giardino delle Vergini. Qui è accolto da una nuova suggestione acustica:
un coro per tre voci, campane e vibrafono composto dal musicista inglese Gavin
Bryars (1943, Gran Bretagna) insieme a suo figlio Yuri Bryars (1999, Canada). Uno dei
più importanti esponenti della musica di ricerca e minimalista emersi alla fine degli anni
’60, e già collaboratore di Bartolini per la sua grande mostra personale al Centro Pecci
di Prato (Hagoromo, 2022-23), Bryars ha qui concepito una nuova composizione
ispirata a un testo del poeta argentino Roberto Juarroz (1925-1995, Argentina). In A
veces ya no puedo moverme (Certe volte non riesco più a muovermi) un essere umano
si percepisce come un albero, o una forma vegetale che è connessa al mondo
attraverso radici, in un rapporto osmotico con l’altro “come se tutte le cose nascessero
da me o come se io nascessi da tutte le cose”. Un’immobilità che è relazione. Appesi ai
rami di tre alberi del giardino, tre coppie di speaker portatili diffondono questi suoni
nello spazio aperto, suggerendo possibili relazioni tra uomo e ambiente, dell’uomo
come ambiente.
Così fa anche un nuovo intervento performativo di Bartolini sempre negli spazi del
giardino, fruibile in alcuni momenti specifici. Come evoluzione di alcune opere degli
anni ’90 e 2000 in cui l’artista interrava se stesso o dei collaboratori per opere
fotografiche o performative, alla ricerca di un rapporto osmotico con l’elemento
naturale, Audience For a Tree (2024) è uno spazio temporaneo creato da un cerchio di
persone “piantate” intorno a un albero del giardino. Lo proteggono e lo contemplano
allo stesso tempo, diventando un pubblico che custodisce 6.
Nelle prossimità di questo teatro temporaneo, in alcuni momenti dedicati e come parte
del Public Program che avrà luogo durante la Biennale Arte 2024, verranno performati
due testi, commissionati appositamente per il progetto alla scrittrice e illustratrice per
l’infanzia Nicoletta Costa (1953, Italia) e al romanziere e poeta Tiziano Scarpa (1963,
Italia). Seppur di natura radicalmente diversa nelle forme e nei contenuti, i testi
rimandano al contesto del giardino e alla presenza di un albero, in una assoluta
continuità con il rapporto verso la natura e il paesaggio che Bartolini intrattiene a partire
dalle primissime opere della fine degli anni ’80. Performate da Margherita D’Adamo e
dallo stesso Scarpa in luoghi diversi del giardino, queste azioni rimandano ad altre due
caratteristiche tipiche del lavoro di Bartolini: la matrice narrativa e l’atteggiamento
“curatoriale” della sua pratica artistica, che include l’invito e la partecipazione di altri
tecnici e artisti alla realizzazione delle opere. In tal senso il progetto per il Padiglione
Italia è il risultato più complesso e ambizioso della pratica collaborativa usata con
frequenza da Bartolini attraverso gli anni e che l’artista stesso definisce, con termine
musicale, “jam session”. In un lungo processo di dialogo e scambio attraverso diversi
atti di ospitalità, curatore e artista definiscono un network di relazioni e collaborazioni,
che danno vita a un progetto collettivo come Due qui / To Hear.
In conclusione, lo spettatore ha compiuto un itinerario a due sensi: dall’albero al
Bodhisattva o viceversa. Potremmo immaginare queste figure come le sentinelle di un
percorso circolare, al cui centro si attraversa uno spazio labirintico come percorso di
esplorazione e ricerca. Incarnazioni di un principio di natura e di spiritualità, sembrano
rappresentare momenti di immobilità. In verità è un’inazione solo apparente. L’albero
che è connesso attraverso le radici o il Bodhisattva che sta seduto a pensare,
incarnano forme di relazione forse più profonde con il Mondo, rapporti di comunicazione
più radicali. Perché: “Nel tendere l’orecchio, che è una forma d’inazione, tace l’Io,
presupposto di differenziazioni e delimitazioni. L’Io che tende l’orecchio si immerge nel
tutto, nell’illimitato, nell’infinito” 7.
Massimo Bartolini, Due qui, 2024, Photo © Agostino Osio / Altopiano
Note
1 Pauline Oliveros, Quantum Listening, Timeo, 2023, p. 37.
2 “…la vibrazione può essere riconosciuta […] come l’energia impiegata a sostegno di forme di
comunanza, persino di ospitalità.”, Brandon LaBelle, Giustizia acustica. Ascoltare ed essere ascoltati,
NERO, Roma 2023, p. 27.
3 Gli stessi materiali per ponteggi verranno smontati e riutilizzati per successivi cantieri a conclusione
della mostra.
4 Vedi: Federico Luisetti, “Le macchinazioni di Athanasius Kircher”, in Athanasius Kircher. L’idea di
scienza universale, a cura di F. Vercellone e A. Bertinetto, Mimesis, Milano 2007, p. 203.
5 “Stare con i suoni del mondo, con la sua sinfonia, fa percepire paesaggi sonori e ci leva dalla tirannia
della vista.”, Livia Chandra Candiani, Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione, Einaudi, Torino
2018, p. 102.
6 Bartolini ama citare Martin Heidegger quando, in Holzwege, sostiene che “custodire è come creare”.
7 Byung-Chul Han, Vita contemplativa o dell’inazione, nottetempo, Milano 2023, p. 117.
Padiglione Italia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia