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Padiglione Italia
Massimo Bartolini
Due qui / To Hear

 
Massimo BartoliniMassimo Bartolini, Pensive Bodhisattva on A Flat, 2024, Photo © Andrea Avezzù



DUE QUI / TO HEAR
PROGETTO

Due qui / To Hear è la forma più estesa di una pratica collaborativa usata con frequenza da Bartolini, che coinvolge una pluralità di figure di ambiti diversi all’interno del suo lavoro. Le capacità e i linguaggi di musiciste e musicisti (Caterina Barbieri, Gavin Bryars, Kali Malone), scrittrici e scrittori (Nicoletta Costa, Tiziano Scarpa) e tecnici (ingegneri, organari, artigiani), contribuiscono a definire il progetto artistico e curatoriale nella sua complessità come una polifonia di molte voci. Attraverso opere scultoree, installative, sonore e performative, in una varietà che è tipica della pratica dell’artista, il progetto mira a creare una situazione esperienziale. Chi visita il Padiglione Italia può fruire di un doppio accesso – sia dalla Tesa che dal Giardino – e attraversa tre aree modellate su diverse forme di movimento e pausa, di esperienze acustiche e spazi di incontro. Tutti gli interventi rispondono alle caratteristiche fisiche degli spazi espositivi senza adottare alcuna forma di display. Come spesso avviene nell’opera di Bartolini, il progetto è strutturato su alcuni principi contrastanti a formare un percorso potenzialmente circolare. Se le due estremità presentano grandi vuoti riempiti da sonorità per loro natura molto diverse, lo spazio principale è occupato quasi totalmente da una grande installazione labirintica che si estende in larghezza e altezza (Due qui, 2024). Se le opere alle due estremità si riferiscono a forme diverse di staticità e di apparente non-azione (Pensive Bodhisattva on A Flat e A veces ya no puedo moverme, entrambe 2024), la Tesa più grande è trasformata, invece, in uno spazio attraversabile in tempi e direzioni diverse, quasi a incoraggiare una forma di esplorazione e di ricerca.

In questo itinerario a due sensi il Bodhisattva che si incontra nella Tesa e l’albero cui ci si riferisce nell’opera nel giardino sono incarnazioni di un principio di spiritualità e natura, rispettivamente. A dispetto della loro apparente inazione, l’albero che è connesso attraverso le radici o il Bodhisattva che sta seduto a pensare, come anche la contemplazione di un elemento naturale pulsante al centro della sala centrale (Conveyance, 2024), incarnano forme di relazione forse più profonde con il Mondo. Perché: “Nel tendere l’orecchio, che è una forma d’inazione, tace l’Io, presupposto di differenziazioni e delimitazioni. L’Io che tende l’orecchio si immerge nel tutto, nell’illimitato, nell’infinito” (Byung-Chul Han).
Luca Cerizza

Massimo Bartolini Massimo Bartolini, Pensive Bodhisattva on A Flat, 2024, Photo © Andrea Avezzù


Su una lunga colonna appoggiata a terra siede la piccola statua di un Pensive Bodhisattva, iconografia tipica dell’arte buddhista. Il Bodhisattva è un uomo il quale, avendo raggiunto l’illuminazione, vi rinuncia volontariamente per indicare la via agli altri uomini. Figura dell’inazione, il Bodhisattva sta fermo, non agisce ma riflette. Quello che appare come un segno nello spazio, una linea di demarcazione funziona, in verità, come una canna d’organo la cui “bocca” si rivela al termine della colonna stessa. Un ventilatore muove l’aria all’interno della canna e crea un suono basso, un drone. Lo stesso tempo sospeso suggerito dal Bodhisattva è rafforzato da questo suono prolungato, che rimanda a un tempo circolare. Le cromie delle due lunghe pareti di questa Tesa riprendono i colori con i quali, nel contesto di una storia che ritorna almeno a Isaac Newton, diversi scienziati e musicisti hanno attribuito una cromia alle tonalità musicali. In questo caso verde e viola rappresentano rispettivamente la tonalità La e La bemolle secondo l’attribuzione del compositore Alexander Scriabin nel 1911. A sua volta il La si riferisce alla tonalità dell’organo presentato da Bartolini al Centro Pecci di Prato (2022-23), mentre il La bemolle è la tonalità del lavoro presentato in questa stanza.

Massimo BartoliniMassimo Bartolini, Due qui, 2024, Photo © Andrea Avezzù


È il maggiore esempio concepito finora di una serie di installazioni che Bartolini ha disegnato negli ultimi anni, usando materiali per ponteggi e modificandoli in modo da suonare come un organo, grazie alla collaborazione di organari e tecnici specializzati. Come molte altre opere di Bartolini, questa immensa creazione macchinica lavora sulla trasformazione di materiali o la loro riproposizione in forme inedite, quasi a produrre un sentimento barocco della meraviglia. D’altronde, secondo alcuni principi dell’estetica barocca, la sintesi dell’eterogeneo (il thauma), è una prerogativa dell’ingegno, e la meraviglia scaturisce dall’accostamento di “lontananze”, secondo la logica del paradosso. In questo caso, in un gioco di contrasti tipica di Bartolini, un contesto di lavoro, di fatica (il ponteggio) è anche motore di spiritualità, forse di elevazione tramite l’azione della musica (l’organo). La struttura cambia funzione: invece di essere propedeutica alla costruzione di un edificio, serve alla veicolazione di un suono, di un “edificio” musicale. Occupando la quasi totalità della Tesa, questo ambiente attraversabile da più entrate e uscite, vive più come esperienza che come immagine. Questa struttura percorribile è disegnata seguendo la pianta di un immaginario giardino barocco all’italiana. La funzione che nei giardini è normalmente occupata da una fontana, è qui assolta da una scultura circolare (Conveyance, 2024) che funge anche da seduta intorno alla quale possono incontrarsi più persone. Anzi, questo centro, questo punto di incontro è la posizione da cui si può meglio ascoltare, in forma stereofonica, la composizione scritta appositamente per l’occasione da due giovani musiciste tra le più riconosciute in ambito elettronico e sperimentale: Caterina Barbieri (1990, Italia) e Kali Malone (1994, Stati Uniti). Il loro contributo è un’antifona in La bemolle in cui due linee melodiche si intersecano e completano [Mute vette (A Reflection That Shines From One Mind Upon Another)]. Le due brevi melodie sono suonate in loop, in modo che la meccanica idealmente sostituisca l’esecuzione dell’uomo nell’organo tradizionale. La musica è, infatti, incisa su due rulli a motore come grandi carillon che suonano all’unisono. Se è vero che questo spazio sonoro ha un centro ideale, è altrettanto vero che il suono di questa macchina musicale è percepibile in modi sempre diversi a seconda dei tempi e direzioni di percorrenza dello spettatore. È il nostro movimento a “comporre” parzialmente una musica sempre nuova.

Massimo Bartolini Massimo Bartolini, Conveyance, 2024, Photo © Andrea Avezzù


Mentre rimanda alla rigorosa geometria di una scultura minimalista, l’opera è in verità “animata” da un elemento naturale: quella di un’onda conica che sale e scende di continuo. Chiamata in termini scientifici “solitone”, è un’onda simile a quella che genera uno “tsunami” ma replicata di continuo come in un esperimento di laboratorio. Questa pulsazione senza sosta è un fenomeno da osservare da soli o in compagnia ma – trasformata in un movimento ipnotico – può diventare uno strumento che agevola stati di meditazione. Conveyance è veramente il cuore pulsante, il punto di equilibrio, di pacificazione forse, di questo grande spazio labirintico. Se, nonostante il continuo movimento, l’onda è del tutto silente, tutto intorno a lei è suono.

Massimo Bartolini Massimo Bartolini, A veces ya no puedo moverme, 2024, Photo © Agostino Osio / AltoPiano


Nello spazio del Giardino delle Vergini risuona la musica di un coro per tre voci, campane e vibrafono composto dal musicista inglese Gavin Bryars (1943, Gran Bretagna) insieme a suo figlio Yuri Bryars (1999, Canada). Uno dei più importanti esponenti della musica di ricerca e minimalista emersi alla fine degli anni ’60, e già collaboratore di Bartolini per la sua grande mostra personale al Centro Pecci di Prato (Hagoromo, 2022- 23), Bryars ha qui concepito una nuova composizione ispirata a un testo del poeta argentino Roberto Juarroz (1925-95, Argentina). In A veces ya no puedo moverme (Certe volte non riesco più a muovermi) in cui un essere umano si percepisce come un albero, o una forma vegetale che è connessa al mondo attraverso radici, in un rapporto osmotico con l’altro “come se tutte le cose nascessero da me o come se io nascessi da tutte le cose”. Un’immobilità che è relazione. Appesi ai rami di tre alberi del giardino come per segnalare un luogo d’incontro in modi simili alle scarpe appese per i lacci, tre coppie di speaker portatili diffondono questi suoni nello spazio aperto, suggerendo possibili relazioni tra uomo e ambiente, dell’uomo come ambiente.

Massimo Bartolini Massimo Bartolini, Audience for a Tree, 2024, Photo © Agostino Osio / Altopiano


Come evoluzione di alcune opere degli anni ’90-2000 in cui l’artista interrava sé stesso o dei collaboratori per opere fotografiche o performative, alla ricerca di un rapporto osmotico con l’elemento naturale, Audience for a Tree (2024) è uno spazio temporaneo creato da un cerchio di persone “piantate” intorno a un albero del giardino. In un unico gesto di apparente non-azione, lo proteggono e lo contemplano, diventando architettura provvisoria e pubblico al tempo stesso. Audience for a Tree si manifesta solo in alcuni momenti della mostra, nei giorni di apertura e in occasione del Public Program, lasciando traccia intorno all’albero e nel terreno.

Massimo BartoliniMassimo Bartolini, Due qui, 2024, Photo by: Andrea Avezzù Photo


Ascolto come incontro
Luca Cerizza


Giocando sull’assonanza tra “Two here” (due qui) e “To hear” (sentire/udire), in una traduzione solo apparentemente scorretta, il titolo del progetto già suggerisce come udire, e ancor meglio ascoltare, l’azione di “tendere l’orecchio” sia una forma di attenzione verso l’altro. Incontro e ascolto, relazione e suono sono, d’altronde, due elementi indissolubili qui come nella pratica ultratrentennale di Massimo Bartolini. “Ascoltiamo per poter interpretare il nostro mondo e fare esperienza del significato”, ha scritto, infatti, Pauline Oliveros 1. In Due qui / To Hear il paradigma acustico va inteso come esperienza fisica ma anche come metafora, invito all’attenzione, all’ascolto dell’altro, sia esso un essere umano, un elemento macchinico, una forma naturale. Se, per Bartolini, l’arte è un percorso di conoscenza, il progetto suggerisce che il “prestare ascolto” possa essere uno strumento per il miglioramento di se stessi all’interno della comunità del mondo.

Attraverso opere scultoree, installative, sonore e performative, in una varietà che è tipica della pratica dell’artista, il progetto delinea una situazione esperienziale. In dialogo diretto con gli ampi spazi del Padiglione – ai quali non è stata apportata nessuna aggiunta strutturale né alcuna forma di “display” – il progetto è costruito tramite un itinerario che lo spettatore può compiere in due diversi sensi di marcia, e attraverso uno spazio tripartito. Se entrasse dalla Tesa 2 verrebbe accolto da una statuetta in bronzo che rappresenta un Pensive Bodhisattva, iconografia tipica dell’arte buddhista. Il Bodhisattva è un uomo il quale, avendo raggiunto l’illuminazione, vi rinuncia volontariamente per indicare la via agli altri uomini. Figura dell’inazione, il Bodhisattva sta fermo, non agisce ma riflette. Non è un caso che questa figura sia “seduta” al principio di una lunga colonna di venticinque metri poggiata a terra. Quello che appare come un segno nello spazio, una linea di demarcazione funziona, in verità, come una grande canna d’organo. Al termine della stanza si rivela la “bocca” della stessa canna: un ventilatore muove l’aria all’interno della canna e crea un suono basso, un drone. Lo stesso tempo sospeso suggerito dal Bodhisattva è rafforzato da questo suono prolungato, che rimanda a un tempo circolare (Bodhisattva on A Flat, 2024)2. Le cromie delle due lunghe pareti di questa Tesa riprendono i colori con i quali, nel contesto di una storia che ritorna almeno a Isaac Newton, diversi scienziati e musicisti hanno attribuito una cromia alle tonalità musicali. In questo caso verde e viola rappresentano rispettivamente la tonalità La e La bemolle secondo l’attribuzione del compositore Alexander Scriabin nel 1911. A sua volta il La si riferisce alla tonalità dell’organo di Bartolini al Centro Pecci (2022-23), mentre il La bemolle è la tonalità del lavoro presentato in questa stanza.

Passando nello spazio principale della Tesa 1, lo spettatore entra ancora più fisicamente in un altro suono “abitabile”. La grande sala è, infatti, quasi totalmente occupata da una struttura di tubi innocenti percorribile in diverse direzioni3. Due qui (2024) è il maggiore esempio concepito finora di una serie di installazioni che Bartolini ha disegnato negli ultimi anni, usando tubi per ponteggi e modificandoli in modo da suonare come un organo, grazie alla collaborazione di organari e tecnici specializzati. Questa struttura percorribile è disegnata seguendo la pianta di un immaginario giardino barocco all’italiana. La funzione che nei giardini è normalmente occupata da una fontana, è qui assolta da una scultura circolare (Conveyance, 2024) che funge anche da seduta intorno alla quale possono incontrarsi più persone. Mentre rimanda alla rigorosa geometria di una scultura minimalista, l’opera è in verità “animata” da un elemento naturale, da una forma di vita: al suo centro un’onda conica sale e scende di continuo. Chiamata in termini scientifici “solitone”, è un’onda simile a quella che genera uno “tsunami” ma replicata di continuo come in un esperimento di laboratorio. Questa pulsazione senza sosta è un fenomeno da osservare da soli o in compagnia ma – trasformata in un loop ipnotico – può diventare uno strumento che agevola stati di meditazione.
Conveyance è veramente il cuore pulsante, il punto di equilibrio, di pacificazione forse, di questo grande spazio labirintico. Se, nonostante il continuo movimento, l’onda è del tutto silente, tutto intorno a lei è suono. Anzi, questo centro, questo punto di incontro è la posizione da cui si può meglio ascoltare, in forma stereofonica, la composizione scritta appositamente per l’occasione da due giovani musiciste tra le più riconosciute in ambito elettronico e sperimentale: Caterina Barbieri (1990, Italia) e Kali Malone (1994, Stati Uniti). Il loro contributo è un’antifona in La bemolle in cui due linee melodiche si intersecano e completano [Mute vette (A Reflection That Shines From One Mind Upon Another)]. Le due brevi melodie sono suonate in loop, in modo che la meccanica idealmente sostituisca l’esecuzione dell’uomo nell’organo tradizionale. La musica è, infatti, incisa su due rulli a motore come grandi carillon che suonano all’unisono. Se è vero che questo spazio sonoro ha un centro ideale, è altrettanto vero che il suono di questa macchina musicale è percepibile in modi sempre diversi a seconda dei tempi e direzioni di percorrenza dello spettatore. È il nostro movimento a “comporre” parzialmente una musica sempre nuova.
Come molte altre opere di Bartolini, questa immensa creazione macchinica lavora sulla trasformazione di materiali o la loro riproposizione in forme inedite, quasi a produrre un sentimento barocco della meraviglia, dove lo stupore non è strumento di seduzione ma mezzo per ridefinire supposte consapevolezze. D’altronde, secondo alcuni principi dell’estetica barocca, la sintesi dell’eterogeneo (il thauma) è una prerogativa dell’ingegno, e la meraviglia scaturisce dall'accostamento di “lontananze”, secondo la logica del paradosso 4.

In questo caso, in un gioco di contrasti tipica di Bartolini, un contesto di lavoro, di fatica (il ponteggio) è anche motore di spiritualità, forse di elevazione tramite l’azione della musica (l’organo). La struttura cambia funzione: invece di essere propedeutico alla costruzione di un edificio, serve alla veicolazione di un suono, di un “edificio” musicale. Occupando la quasi totalità della Tesa, questo ambiente attraversabile da più entrate e uscite, vive più come esperienza che come immagine 5.

Usciti da questo spazio intricato come un bosco, lo spettatore può passare al contesto più aperto del Giardino delle Vergini. Qui è accolto da una nuova suggestione acustica: un coro per tre voci, campane e vibrafono composto dal musicista inglese Gavin Bryars (1943, Gran Bretagna) insieme a suo figlio Yuri Bryars (1999, Canada). Uno dei più importanti esponenti della musica di ricerca e minimalista emersi alla fine degli anni ’60, e già collaboratore di Bartolini per la sua grande mostra personale al Centro Pecci di Prato (Hagoromo, 2022-23), Bryars ha qui concepito una nuova composizione ispirata a un testo del poeta argentino Roberto Juarroz (1925-1995, Argentina). In A veces ya no puedo moverme (Certe volte non riesco più a muovermi) un essere umano si percepisce come un albero, o una forma vegetale che è connessa al mondo attraverso radici, in un rapporto osmotico con l’altro “come se tutte le cose nascessero da me o come se io nascessi da tutte le cose”. Un’immobilità che è relazione. Appesi ai rami di tre alberi del giardino, tre coppie di speaker portatili diffondono questi suoni nello spazio aperto, suggerendo possibili relazioni tra uomo e ambiente, dell’uomo come ambiente.

Così fa anche un nuovo intervento performativo di Bartolini sempre negli spazi del giardino, fruibile in alcuni momenti specifici. Come evoluzione di alcune opere degli anni ’90 e 2000 in cui l’artista interrava se stesso o dei collaboratori per opere fotografiche o performative, alla ricerca di un rapporto osmotico con l’elemento naturale, Audience For a Tree (2024) è uno spazio temporaneo creato da un cerchio di persone “piantate” intorno a un albero del giardino. Lo proteggono e lo contemplano allo stesso tempo, diventando un pubblico che custodisce 6. Nelle prossimità di questo teatro temporaneo, in alcuni momenti dedicati e come parte del Public Program che avrà luogo durante la Biennale Arte 2024, verranno performati due testi, commissionati appositamente per il progetto alla scrittrice e illustratrice per l’infanzia Nicoletta Costa (1953, Italia) e al romanziere e poeta Tiziano Scarpa (1963, Italia). Seppur di natura radicalmente diversa nelle forme e nei contenuti, i testi rimandano al contesto del giardino e alla presenza di un albero, in una assoluta continuità con il rapporto verso la natura e il paesaggio che Bartolini intrattiene a partire dalle primissime opere della fine degli anni ’80. Performate da Margherita D’Adamo e dallo stesso Scarpa in luoghi diversi del giardino, queste azioni rimandano ad altre due caratteristiche tipiche del lavoro di Bartolini: la matrice narrativa e l’atteggiamento “curatoriale” della sua pratica artistica, che include l’invito e la partecipazione di altri tecnici e artisti alla realizzazione delle opere. In tal senso il progetto per il Padiglione Italia è il risultato più complesso e ambizioso della pratica collaborativa usata con frequenza da Bartolini attraverso gli anni e che l’artista stesso definisce, con termine musicale, “jam session”. In un lungo processo di dialogo e scambio attraverso diversi atti di ospitalità, curatore e artista definiscono un network di relazioni e collaborazioni, che danno vita a un progetto collettivo come Due qui / To Hear.

In conclusione, lo spettatore ha compiuto un itinerario a due sensi: dall’albero al Bodhisattva o viceversa. Potremmo immaginare queste figure come le sentinelle di un percorso circolare, al cui centro si attraversa uno spazio labirintico come percorso di esplorazione e ricerca. Incarnazioni di un principio di natura e di spiritualità, sembrano rappresentare momenti di immobilità. In verità è un’inazione solo apparente. L’albero che è connesso attraverso le radici o il Bodhisattva che sta seduto a pensare, incarnano forme di relazione forse più profonde con il Mondo, rapporti di comunicazione più radicali. Perché: “Nel tendere l’orecchio, che è una forma d’inazione, tace l’Io, presupposto di differenziazioni e delimitazioni. L’Io che tende l’orecchio si immerge nel tutto, nell’illimitato, nell’infinito” 7.

Massimo Bartolini Massimo Bartolini, Due qui, 2024, Photo © Agostino Osio / Altopiano


Note
1 Pauline Oliveros, Quantum Listening, Timeo, 2023, p. 37.
2 “…la vibrazione può essere riconosciuta […] come l’energia impiegata a sostegno di forme di comunanza, persino di ospitalità.”, Brandon LaBelle, Giustizia acustica. Ascoltare ed essere ascoltati, NERO, Roma 2023, p. 27.
3 Gli stessi materiali per ponteggi verranno smontati e riutilizzati per successivi cantieri a conclusione della mostra.
4 Vedi: Federico Luisetti, “Le macchinazioni di Athanasius Kircher”, in Athanasius Kircher. L’idea di scienza universale, a cura di F. Vercellone e A. Bertinetto, Mimesis, Milano 2007, p. 203.
5 “Stare con i suoni del mondo, con la sua sinfonia, fa percepire paesaggi sonori e ci leva dalla tirannia della vista.”, Livia Chandra Candiani, Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione, Einaudi, Torino 2018, p. 102.
6 Bartolini ama citare Martin Heidegger quando, in Holzwege, sostiene che “custodire è come creare”.
7 Byung-Chul Han, Vita contemplativa o dell’inazione, nottetempo, Milano 2023, p. 117.

 

Massimo Bartolini
Due qui / To Hear
Curatore: Luca Cerizza
Padiglione Italia alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia
@ 2024 Artext

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