Il progetto di ampliamento del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato firmato dall’architetto Maurice Nio si inserisce in un territorio a vocazione industriale, economicamente fertile, ma ancora privo di segni architettonici di spicco. È concepito come estensione e raccordo della struttura museale esistente, realizzata dall’architetto Italo Gamberini nel 1988 con un profilo ispirato al paesaggio industriale che caratterizza l’area circostante.
“Sensing the Waves” è il nome che lo stesso Nio ha proposto per il progetto. Una dichiarazione di intenti e un programma. Il nuovo Centro Pecci di Prato mira a porsi come un’antenna, un sensore, un sistema in grado di intercettare (e di trasmettere) le forme di creatività e le produzioni artistiche presenti sul territorio.
“Rispetto al carattere rigido e meccanico della struttura preesistente —in parte ispirato all’architettura industriale di Prato—, il nuovo progetto”, racconta Nio, “propone un linguaggio intessuto di forme fluide e sognanti. Abbraccia e circonda l’edificio originario, sfiorandolo solo quando è necessario”. La soluzione di Nio, inoltre, mira a stabilire un rapporto di interazione fra il tessuto urbano e il museo: l’area verde intorno al Centro Pecci —già sede di una collezione open air— è stata riorganizzata e resa più accessibile, più visibile sia dai viali e dalle strade che circondano il complesso museale,
I nuovi ambienti del Centro Pecci sono distribuiti lungo il volume dal profilo anulare che abbraccia la struttura esistente, rifunzionalizzandola. L’intervento di Nio si salda alle due estremità del complesso originario. Si sviluppa su due livelli: quello inferiore ospita le funzioni ricettive e si apre verso la città attraverso una cortina vetrata che corre ininterrottamente da un’estremità all’altra dell’anello; quello superiore è destinato alle esposizioni e si offre all’esterno con un rivestimento metallico color bronzo.
Trasparenza e opacità, concavità e convessità, masse leggere e masse gravi interagiscono continuamente creando un’atmosfera di curiosità che esorta all’esplorazione degli spazi, a una passeggiata guidata dalle differenze e allo stesso tempo dalle complementarietà. In cima all’anello, in posizione laterale rispetto all’asse di simmetria del complesso museale, si erge l’“antenna”, simbolo della missione del nuovo programma culturale: captare emergenze creative e segnalare la loro presenza sul territorio. Dice Nio: “È un’antenna. Sonda gli umori culturali, alla ricerca di nuove correnti”.
Spazio espositivo della nuova ala progettata da Maurice Nio, primo piano.
Foto: Lineashow
[..] Il lavoro di Maurice Nio ha molto a che fare con la soggettività dell'interpretazione, oltre che con il tema della sensorialità, se non addirittura della sensitività, che il libro di cui oggi si parla(SupraSensitivity in Architecture), introducono.
Siamo davanti, con il lavoro di Maurice NIo a qualcosa che non ha molto a che fare con il carattere di permanenza, di univocità di senso, di stabilità percettiva che l'architettura classica fin oggi ci ha suggerito di conservare. Parlando di alcune architetture di Nio, La stazione degli autobus Bianca, il Sottopasso Rosso, il Museo Dorato, in realtà si può esprimere una sensazione condivisibile, poco discutibile fin tanto che queste opere non cambiano colore, come è successo alla stazione degli autobus che è diventata arancione. Ma queste opere hanno anche una capacità non solo di sedurre l'osservatore ed il visitatore, ma anche di suggerire a ciascuno dei singoli visitatori un ambiente percettivo.
Maurice Nio ha questa capacità di stimolare la percezione del visitatore ed ha un'idea di architettura che è così antidogmatica da rifuggire qualunque possibilità di incasellamento, non incasellamento teorico o filosofico come ogni lavoro di architettura in fin dei conti cerca di rifuggire. Ma lo rifugge perché è così vasta l'area degli elementi che lui mette in gioco, con il quale contamina il mestiere di architetto, e lo sovverte e lo distorce e ne fa della sua capacità di incorporare nella costruzione, così come nella rappresentazione delle sue opere - e sicuramente questo accade meglio nelle sue architetture ed opere costruite - di incorporare nella architettura una così tale pregnante sensorialità che poi questa sensorialità quando incontra il visitatore si sprigiona in una serie di possibili interpretazioni.
Affronto il tema da un punto di vista filosofico perché potrebbe apparire una interpretazione postmodernista. Non è solo questo. Sicuramente c'è molto di più. Però vorrei invitarvi ad osservare come nelle pagine del libro qui in mostra - il libro consiste in una serie di manipolazioni che lo stesso architetto ha invitato a realizzare da parte di architetti ed artisti suoi amici. Maurice Nio ha detto, prendete questi disegni, offrite la vostra interpretazione manipolandone l'immagine, manipolandone il senso, portando queste opere a diventare qualcosa d'altro, soprattutto qualcosa di vostro. Lo stesso atteggiamento che Maurice Nio ha usato nel momento in cui non ha potuto seguire come a volte succede ad un architetto, la direzione dei lavori e la cura artistica di un dettaglio di un opera.
Pensate l'ossessiva cura di alcuni maestri dell'architettura contemporanea, bravissimi, come Zaha Hadid ha fatto per il Museo di Roma - il Maxxi, che è un opera perfetta, nella quale la cura dei materiali, la scelta dei dettagli hanno influito molto sulle fasi di realizzazione, con ossessiva e determinata volontà. Maurice Nio non ha avuto questa possibilità qui a Prato, ma si è fatto forte di questa condizione per raccontare come questo museo non è solo il suo museo,, il museo dell'architetto che lo ha concepito e disegnato, ma è anche il museo dei vari ingegneri ed architetti della municipalità di Prato, o i vari consulenti che si sono avvalsi e che lui ha generosamente incorporato nel progetto anche per dimostrare che oggi l'architettura non può essere più ascrivibile ad un'unica persona. Questa è una finzione narrativa a cui non è più legittimo credere. Si può discutere della concezione, della capacità di sovraintendere ma quando si parla di autorialità bisogna scendere a compromessi con la realtà, che conta numerosi soggetti, e Nio conta tra i soggetti anche il pubblico. (Marco Brizzi)
SupraSensitivity in Architecture. Mostra dell'architetto Maurice Nio
"Animare un materiale o una parola, o un insieme di materiali o parole, non significa solo che ci lasci dentro l'anima, che lo metti sotto carica, ma che agiti l'insieme dei materiali e li metti in movimento. In realtà devi usare la tua anima - il tuo cuore, la tua passione la tua ‘grinta’ - come un bastoncino per mescolare, al fine di attivare la turbolenza dei materiali, il
mini-tornado di elementi emozionali, la reazione a catena di emoji architettoniche. Viene da qui il termine moto d'anima. Un buon edificio è un moto dell'anima ben riuscito. Anche un oggetto industriale può esserlo, così come una danza o un romanzo, un album o un film (un'opera d'arte ed in ordine diverso). Finanche un piano di sviluppo urbano può essere un insieme straordinario di moti d'animo, purché venga rispettato il tempo di agitazione, non troppo breve ma neanche troppo lungo.
All'inizio del processo di progettazione c'è sempre una frase, una foto, il frammento di un film, una folgorazione o qualcosa di futile nel luogo stesso - un trigger esterno all'architettura che soffia vita nelle cose: questo è il respiro. Segui poi la scelta dei materiali, la consistenza e la sensazione: questo è il corpo. Poi vengono i colori, i suoni, gli odori, a volte i sapori, la luce e i dettagli (taglienti, angolari, lisci, piatti): e questo è il carattere.
E solo più tardi, quando la lista dei requisiti ed il budget vengono aggiunti al processo, nascono le forme e gli spazi: questa è la dimensione. Questo processo in quattro fasi può compiersi in una sola volta, ma può essere anche ripetuto centinaia di volte. La forma in definitiva, è ciò che è. Inutile girarci intorno. La forma è ornamento. Seduce oppure no.
Un moto dell'anima ha effetto oppure no. Un progetto funziona oppure no. In genere la forma c'è già, da qualche parte, in quell'immensa biblioteca delle invenzioni di Borges, e bisogna solo trovare quella giusta, tirarla fuori. Animare o progettare qualcosa non ha nulla a che vedere con il processo accademico lineare da funzione a forma o, peggio ancora, con il processo razionale da concetto a icona. Sei lì - con la tua anima - solo ed unicamente per attivare le connessioni, per stimolare l'evoluzione delle cose. Tu, progettista, sei il creatore di un noto d’anima, ed esso dipende totalmente dalle tue limitazioni, dai tuoi errori, dalla tua incostanza, dall'irrazionalità profondamente radicata, insomma della tua imperfezione originaria. E’ questo è il principio di animazione." (Maurice Nio)
SupraSensitivity in Architecture
Mostra dell'architetto Maurice Nio
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