Artext - Quale il lavoro di preparazione alla scena? di decostruzione di posture teatrali, di rottura degli schemi causali - di azione a vicinanza e distanza dai corpi?
Massimo Conti - Il contatto di un corpo sull'altro accende tutti i sensi nella loro relazione su infiniti piani.
OtellO per noi non è una tragedia da far vivere nell’energia ormai distrutta dell'uomo meccanico, dove la parola si incista solo in superficie per costruire la corazza dell'attore. Qui i corpi sono Bìos e Zoé e la parola il virus. Tutto lo spettacolo si impone in questa dichiarazione, in questo doppio binario che si attorciglia tra corpo e parola. La scelta dei e delle performer, oltre che per le loro capacità fisiche, non è stata fatta in nome di una omogeneità professionale ma privilegiando l'attitudine di ogni corpo a esporsi in relazione con gli altri. L'individuale e il collettivo diventano conseguenze continue di un offrirsi reciproco senza annullare un’idea di composizione che è scia di riferimento e non una strada da percorrere senza intralci. Ogni passaggio, ogni attimo disponibile diventa una verifica delle condizioni date e di come la presenza degli interpreti le rende sensibili e vibranti.
Quei corpi portano una biografia, per ognuno diversa, data da tutte le esperienze formative e di lavoro fatte sia fisiche che mentali, ed ognuno porta all'interno del gruppo la propria presenza, disciplina, la propria relazione con la cura del corpo, le proprie pratiche di concentrazione e contemplazione, da condividere e utilizzare nel percorso di creazione e relazione.
OtellO ha il suo perno girevole, come i cardini dell'universo shakespeariano, e nello stesso momento in cui si prova a porle fuori sesto ogni cosa si stramba trasformandosi immediatamente in rappresentazione, e il mondo crolla.
A - Puoi parlare del testo? del lavoro sul testo di Shakespeare, prosciugato e reso azione. Sull’identità radicale dei personaggi agiti in forma molteplice?
MC - Il testo di OtellO è un testo ricostruito pensandolo come un montaggio cinematografico. Inquadratura per inquadratura, sequenza per sequenza. In ordine cronologico, salvo qualche eccezione, viene ribadita la scelta di elaborare un testo autonomo nella sua forza drammaturgica. La dinamica del testo dovrebbe avere la forza di immagazzinare una visione precisa e fulminea rimanendo agganciata ai passaggi narrativi e nello stesso tempo apportare una dinamicità, un ritmo generato e sostenuto dalle voci emesse dai corpi.
Il testo dunque si srotola, scena su scena, atto su atto, sviluppandosi per drastici tagli che tendono a raccogliere in poche battute la “visione” di una scena a seguire, un cambio fulmineo, come un “insert”, che apre e chiude in modo immediato un passaggio da ricostruire nello stesso modo di un montaggio cinematografico.
La dissoluzione dei personaggi, nel momento in cui il testo scorre indifferentemente sui corpi, è l'altra traccia fondamentale di un’operazione che tende all'annullamento di ogni genere pensabile fisico, verbale, stilistico e sessuale, nella regolarità di un’assunzione priva di identificazione.
Nessuno dei performers può utilizzare il testo facendolo aderire alla gestualità fisica che deve restare indipendente nella sua dinamica e intensità. Quando poi ad un certo punto dello spettacolo i corpi vengono sottratti alla vista, coperti da un enorme fazzoletto argentato, viene resa manifesta la dualità della ricerca proposta. Separando dalla visione il corpo il testo si assume totalmente la visione della tragedia scritta, come in un radiodramma; ma il corpo coperto non è un corpo scomparso, è solo sottratto alla vista.
La parola, in quel momento, nel momento stesso in cui costruisce il mondo tragico, resta sola con tutto il suo potere di trasfigurare le relazioni e sprofondare nella preparazione alla conclusione tragica. Eppure i corpi costruiscono ancora come fossero delle tracce sotterranee, delle testimonianze di un'azione comunque possibile, comunque costruttrice. E la tragedia è tutta qui, in questa separazione tra parola e corpi laboriosi.
Kinkaleri, OtellO 2021, Teatro Fabbricone Prato. Foto Luca Del Pia
A - Sulle infinite citazioni - dell'essere trasgressivi (fare scandalo) rimanendo nel formato - Teatro (no happening no performance).
MC - Non parlerei di citazioni, forse panorami di riferimento di carattere storico e lessicale? Non siamo forse sempre, nonostante gli sforzi agganciati ad una tradizione? Fosse anche solo per ignorarla o renderla paesaggio comune senza necessità di distinzione, catalogazione o interpretazione? In fondo sarebbe inevitabile dopo tutto quello che è successo in questi millenni, dove il corpo e la sua morte non è stato che il continuo vibrare del soggetto, della società e della pratica artistica in ogni sua forma. Il corpo e la vita che esso contiene è l’unico riferimento che ha accompagnato e accompagna ogni relazione, pur nella sua dissoluzione. In questo periodo storico, ancor prima che la pandemia la immettesse nel nostro immaginario, si stava già insinuando un idea di perdita e di sostituzione dell’esperienza del vivente tramite la scrittura di un codice che potesse sostituirlo, surrogarlo ampliarlo ma anche sottometterlo. Ci eravamo dedicati perciò a un’idea di cura e di protezione di questo unico corpo fino ad oggi possibile, abbiamo solo accolto la necessità di rimettere l’umano al centro dell'interesse di una scena che si dichiara viva e presente insieme ad una comunità che accorre come se accorresse ad una necessaria rivelazione. “Il loro corpo (di coloro che sono in scena) è anche e ancora il mio corpo” (pensa il pubblico presente).
L’abbiamo pensato dunque come un riferimento necessario in questa tempesta di fine del novecento (sì, il novecento si è chiuso definitivamente qui e ora nel 2020) e dell'inizio del mistero, dell’avvento di una nuova era che sembra attratta solo dalle informazioni che i corpi possono emanare. Dati che diventano surrogati di una biologia che tende a raggruppare esperienze, incrociando soprattutto informazioni da trasformare in linguaggio (algoritmo) che semplifica e massimizza, sovrappone e e opacizza, spostando altrove l’idea di corpo con scricchiolii sinistri. Una nuova era che vede un superamento dell'umano verso il superumano o forse il disumano.
Kinkaleri, OtellO 2021, Teatro Fabbricone Prato. Foto Luca Del Pia
A - Il significante dello sguardo la ri-costruzione a frammenti di un evento (opera) che riferisce l'estetico piuttosto che sviluppi alla gnoseologia drammaturgica. Delle forme che contengono (intrattengono) - il cerchio iniziale, il quadrato grande del fazzoletto. Del dispositivo scenico. Finzione per illusione.
MC - Abbiamo sempre pensato alla scena come una dinamica tra chi guarda e chi è guardato. Anche nelle occasioni in cui ci siamo misurati con un testo drammatico appositamente scritto per la scena, lo abbiamo costantemente trasceso, nemmeno tradito, perché non si tratta di tradire nessuno ma di raccogliere le informazioni necessarie per trovare quel punto prezioso, in cui raccogliere tutto. Finzione per illusione e realtà dei corpi tesi a inserirsi e strisciare tra gli spazi non solo scenici. Questo doppio livello, realtà dei corpi, finzione/illusione della parola e di tutto il linguaggio in generale, della scena e non solo, inizialmente evocato è esattamente quel punto in cui si cerca di fissare le esperienze di chi agisce e di chi guarda. In questo senso tutte le grammatiche della scena, diventano elementi da spogliare fino ad arrivare a carne ed ossa, contatto e spinta, ritmo e musica, corpo e parola. Il tentativo è stato proprio quello di trasfigurare ogni elemento drammaturgico per lasciare lo spazio al corpo e alle sue innumerevoli occasioni di relazione in cui può rendersi manifesto, nell'incontro con altri corpi.
Kinkaleri, OtellO 2021, Teatro Fabbricone Prato. Foto Luca Del Pia
A - Della partitura - L'azione coreografica a di-mostrare la realtà del possibile (già ineluttabile). La traccia di relazioni, da Shakespeare, che la restituzione rende più simile a un incantesimo - da cui sfuggire?
MC - Un incantesimo? Più che sfuggire, direi ignorare. Oppure si tratta di dimenticare di essere uomo, donna, personaggio, costumi e trucchi. Sono tutti nelle menti di ognuno di noi e a ognuno viene elargita, destinata, offerta la propria affezione. Ma nessuno chieda a noi di produrre una versione aggiornata di Otello. Nel nostro percorso artistico abbiamo sempre, costantemente, pensato al pubblico come la parte mancante della scena, quella necessaria a rendere una visione realmente avvenuta. Per questo ogni nostra apparizione ha cercato nel pubblico un complemento generoso nel lasciarsi attraversare dai nostri trattamenti sghembi o fuori fuoco, facendo affidamento ad una complicità occasionale da non rendere vana con l’apparecchiare la scena per aprire a delle intensità che ribadiscano la necessaria presenza di entrambi: in una relazione. Ogni elemento della scena, lo spazio, la grammatica, le forme e i segni, hanno per noi una valenza sempre aperta, sempre disponibile, sempre discutibile.
Kinkaleri, OtellO 2021, Teatro Fabbricone Prato. Foto Luca Del Pia
A - Cosa è rimasto di Ghosts from Romeo e Juliet (2007) Kinkaleri?
MC - E' rimasto il fatto che sono due spettacoli che non hanno altro da offrire che se stessi, come un sacrificio. Lo spreco messo in campo/in atto dai fantasmi, così si presentavano scena i due interpreti, un lenzuolo sudario che celava le identità per concentrarsi sulle loro intensità e dinamiche, poteva ottenere un risultato solo nel momento in cui quello spreco era reale, dal primo all'ultimo secondo. La barzelletta finale del “fantasma formaggino” conosciuta da tutti fin dalla propria infanzia, era la dichiarazione gioiosa che tutto quanto era un gioco serio da portare fino alla idiozia, che ognuno può essere in grado di riconoscere a se stesso. Si trattava in quel caso di sfuggire alla rappresentazione di un testo per dedicarsi alle intensità di una giovinezza e di una condizione, dove l’assoluta mancanza di progetto e di ragione spingeva, letteralmente, i corpi ad agire. In uno spreco fisico senza condizioni o premure. Lo spreco gioioso della giovinezza che sfida sempre la morte, perché le è più vicina. Anche qui, in OtellO esiste un elemento che deve essere reale, pena la dissoluzione di tutta la scena. La relazione tra i corpi deve essere autentica, diversamente ogni cosa scricchiola, diventa grottesca tanto da risultare un espediente per la soluzione di un problema di rappresentazione.
Si tratta di raccogliere ogni forza necessaria per oltrepassare il limite del linguaggio che tende a comunicare, rappresentare, occupare lo spazio del vivente per lasciare posto alla lingua che illustra, e che in questo caso, agisce come un virus. Una ricerca che avevamo intrapreso durante tutta l’esplorazione della libertà espressiva della Beat Generation, o più semplicemente con quei compagni di strada di una cultura sotterranea, del progetto All!, che cercava la libertà direttamente nei corpi, dichiarando guerra al linguaggio nelle sue forme di potere.
Oggi più che mai.
Kinkaleri, OtellO 2021, Teatro Fabbricone Prato. Foto Luca Del Pia
Performer – Chiara Lucisano, Caterina Montanari, Daniele Palmeri, Michele Scappa