Luca Bertolo: Quando quest'estate ti abbiamo invitato a fare un intervento al MAGra (1)
davamo per scontato che avresti esposto un quadro. Ci hai invece proposto un oggetto composto da una lampada che illumina una diapositiva. Alla fine ne hai realizzati due di questi strani visori, come li abbiamo subito chiamati. Le diapositive, scattate da te anni fa nel giardino curato da tua madre, avrebbero dovuto servirti, all’epoca, come riferimento per dei quadri. In quelle immagini - piccole e un po’ modificate - piante e fiori risultano leggibili solo con una certa difficoltà. Tutto questo mi fa venire in mente temi e parole come infanzia, Eden, replica, natura, fantasmagoria... Ma vorrei cominciare dalla luce: a differenza che in un quadro, di cui percepiamo i colori come luce riflessa, le tue immagini si mostrano per luce diretta...
Pierpaolo Campanini: Ebbene sì, non ho scelto di esporre un quadro, ma sai: si trattava di una cappella (2) e mi piaceva mettere una lucina votiva. Mi sembrava il caso di ricorrere alla memoria di qualcosa che è stato. Dunque ho puntato tutto su un ricordo, un riflesso nella mente.
In quelle diapositive in effetti non si vede granché: sono piccole e poco chiare, ma molte piante anche quando stanno sotto il sole brillante possiedono al loro interno un buio notturno.
Tuttavia sono d'accordo sul fatto che la luce che attraversa i visori è molto lontana dalla tipica luce di un dipinto. In generale il dipinto può vivere sotto molte luci diverse, perché è un corpo cangiante e non dovrebbe essere sottoposto a un'unica luce.
Ma questi piccoli oggetti sono manufatti auto costruiti e l'immagine è allusiva, si riferisce a un tempo precedente, poteva essere la base per un dipinto ma non lo è mai stata. In una delle diapositive, infatti, c'è un gruppo di piante con foglie modificate in blu. Non sono istantanee, bensì scatti ponderati. L'idea era forse quella di un rapporto ideale tra piante e stelle del cielo.
Delle cose che hai premesso, forse l'idea di un'immagine fantasmatica è quella che più mi ha attirato. Il caso poi ha voluto che trovassi dipinte sulla parete interna della cappella un gruppo di stelle dorate: il dipinto era già lì.
Pierpaolo Campanini 2018. MAGra Museo d’Arte di Granara.
L.B.: Le stelle emettono luce. Come le candele, i fili di tungsteno surriscaldati o i led. Anche gli angeli pare che brillino. Si dice anche che i ricordi siano luminosi, o certe idee. Infine, pare che al cimitero i morti, certe notti, producano un lucore colorato. Vedi un rapporto tra l'arte - il tuo fare arte - e la morte? E siamo davvero sicuri che l'unica qualifica della morte, dal punto di vista visivo, sia l'oscurità?
P.C.: Accidenti qui non mancano le immagini suggestive!
Ma faccio un passo indietro. Ho dipinto molto spesso delle piante. Mi paiono contenere un'idea di forma in grado di ricomporre, sorprendentemente, spezzoni di pensieri non sempre coerenti tra loro. Con questi piccoli visori ho avuto bisogno di ritornare agli arbusti seppure attraverso piccole immagini dall’apparenza offfuscata.
Stelle numerose come fili d'erba è un'analogia interessante che ho letto da qualche parte. Poi le parole di Dino Campana : Vegliai le stelle vivide. Vegliare la vividezza mi sembra bello e potente dal punto di vista plastico.
Io non coltivo nessi tra ciò che tento di fare e l'idea di morte, ma mi rendo conto che questi miei soggetti presuppongono un'idea di tempo inesorabile. Colgo la tua osservazione come un invito ad essere prudente.
Pierpaolo Campanini, Scultura tra le piante.
L.B.: In effetti la prudenza, tra le quattro virtù cardinali, è forse la più importante per un artista... Ora però vorrei tornare al tuo rapporto con la pittura. Come scrivevamo nel comunicato stampa, il tuo intervento ci è parso una sorta di backstage della tua pratica artistica. Per anni hai costruito degli strani oggetti - che solo con qualche difficoltà riesco a chiamare nature morte - copiandoli poi minuziosamente ad olio su tela. Nelle mostre presentavi i quadri, mai gli oggetti/soggetti; i quadri erano l'opera. Beh, fin dalla prima visita nel tuo studio, un paio d'anni fa, ho avuto il sospetto che quegli strani accrochage fatti con i materiali più vari - cordini, legnetti, scampoli di tessuto, pezzi di plastica, ritagli di cartoncino colorato, fili e nastri adesivi - assemblati minuziosamente, avessero una dignità nient'affatto secondaria rispetto ai quadri. Durante l'inaugurazione, hai parlato al pubblico di quelle tue costruzioni, riferendoti poi ai quadri come a delle loro "controfigure". Il termine mi ha colpito molto. È come se i tuoi quadri, blindati nella loro perfetta esecuzione, fossero degli stuntman che tu, da regista prudente, utilizzi per evitare che le tue opere si facciano male al momento, traumatico, di uscire dal tuo studio...
P.C: Hai ragione, ho usato il termine controfigura. Il dipinto era la faccia e l'ultima pelle e tuttavia già esso dava conto della presenza di quell'altro che era in qualche modo un suo doppio. Per questo non è mai stato veramente necessario esporre i modelli su cui si formavano i dipinti: esisteva un rapporto di gemellarità tra le due realtà a tal punto che nemmeno io avrei potuto dire quale dei due somigliava all'altro. Le forme ambivano a somigliare a un'idea preliminare, sebbene ancora incompiuta, di dipinto e il dipinto, compiendosi, facilmente si specchiava e si riconosceva nell'altra metà. Esporre il quadro significava dare conto di questo processo e dunque anche richiamare la presenza del doppio assente. Non vorrei che questo venisse percepito come uno stupido gioco. Il movente di questo atto faticoso è il desiderio di ricomporre una realtà frammentaria. Mi limito a ricordare un dialogo che ho avuto recentemente con te a proposito delle Stelle di Arturo Martini. Ricordi? Parlavamo di come lo sguardo delle figure rivolto alle stelle, in quella scultura, fosse il punto di forza della composizione. Lì si sente chiaramente la presenza di un guardare altrove delle figure: citate nel titolo, le stelle compaiono ai nostri occhi, come per miracolo, pur essendo assenti.
Pierpaolo Campanini, Lamiera e guanto 2.
L.B.: Jean Luc Nancy definisce l’immagine come presenza di un’assenza…
P.C.: In fondo, per me dipingere è un po’ come vivere ancora nella camera degli specchi, cercando una strada tra i riflessi delle cose che, come sottilissimi fili, tessono pazientemente un proprio ordito.
L.B. : Come nasce un quadro di Campanini?
P.C.: Trovo interessante quando due o più idee improvvisamente si legano per pochi istanti, generando, come per incanto, una visione. Si crea a quel punto una maggiore intensità, un aumento di energia che moltiplica il carattere tragico o comico dei soggetti. Ci sono molti esempi in natura di animali che simulano delle piante in giochi di sostituzione e di metamorfosi. Penso che in un dipinto sia determinante la presenza di forme capaci di reggere le fila di questo gioco piuttosto antico. Non tutti i soggetti sono buoni per un pittore: in alcuni più che in altri egli vive come in una casa con molte stanze, le percorre e le abita pienamente. Per questo la ricerca di un soggetto è per me così importante, per questo quando ne trovo uno che mi interessa lo rivisito fino al limite dell’usura.
1 Museo d’Arte di Granara. Il villaggio ecologico di Granara è situato sull’appennino, nel comune di
Valmozzola (PR).
2 La sede del MAGra è una piccola edicola votiva di campagna.
Pierpaolo Campanini,Torcia in metallo.
Granara Festival 2018
MAGra Museo d’Arte contemporanea di Granara
PIERPAOLO CAMPANINI AL MUSEO MAGRA | 1-5 AGOSTO 2018
- Siao lieti di annunciare che quest’anno sarà Pierpaolo Campanini l’artista ospite della nona
edizione di [1. Tale format espositivo allude alle superficie espositiva interna al museo, inferiore a
un metro quadrato, e a questa scala si rapporta perfettamente l’opera presentata.
Si tratta di uno
strano oggetto, piccolo, verticale, appoggiato su una mensola. A tutta prima non è evidente la sua
funzione, che è quella, potremmo dire, di visore. Certo, davanti a noi c’è una diapositiva, quasi
sospesa nel vuoto e retroilluminata, ma riesce difficile considerare il dispositivo solo in termini
funzionali. Teniamo pure il termine dispositivo: si tratta però, come nel caso di una scultura, di un
dispositivo estetico non meno che tecnico.
A Campanini piace il termine autocostruzione (come
peraltro agli abitanti del villaggio ecologico di Granara): “Non c’era in giro una torcia che mi
andasse a genio e ho dovuto costruirne una io!”.
Quel che ne risulta ricorda appunto certi oggetti
d’uso autocostruiti - un utensile, una meccanismo per aprire automaticamente la porta di un
pollaio, un portapacchi speciale per la moto - cioè oggetti non costruiti da artigiani specializzati, né
tantomeno fabbricati su larga scala. L’oggetto-visore di Campanini è un po’ strano, non di ogni
soluzione strutturale capiamo la logica, è dolcemente goffo ma preciso. Seppur discretamente, è
un oggetto che ambisce ad essere guardato non meno della diapositiva che si occupa di
illuminare. Ancor più di una stampa fotografica, una diapositiva ci ricorda quanto essa (e con lei il
mondo intero) dipenda dalla luce per esistere, cioè per essere vista. Va bene, ma cosa vediamo in questo piccolo schermo?
Fiori, in un giardino. Tutto in quest’opera risuona un po’ vintage, come i
ricordi della nostra adolescenza. “Alla fin fine si torna sempre alla memoria e al desiderio”, cito
ancora dalle rade parole che l’artista si lascia sfuggire.
Memoria, fiori, desiderio, solitudine… si ha
la sensazione che se scartabellassimo tra le poesie di Emily Dickinson, ne troveremmo senz’altro
qualcuna che sembra fatta apposta. Ma aggiungiamo ancora una cosa: Campanini è noto al
pubblico per i suoi quadri raffinati, meticolosamente eseguiti. E se i soggetti dei suoi dipinti recenti
sono piante del suo giardino, precedentemente, e per vari anni, sono stati invece dei bizzarrissimi
oggetti autocostruiti con materiali di recupero e infine copiati con cura maniacale ad olio su tela.
Non vorremmo prendere lucciole per lanterne, ma abbiamo la sensazione che questo intervento al
museo MAGra sia anche una sorta di piccolo backstage, un flash che l’artista ci regala sul suo
solitario, discretissimo e un po’ metafisico rapporto col mondo.
A cura di Alessandra Andrini, Luca Bertolo, Chiara Camoni.