Il mio nome è Rachel (che significa "pecora" in ebraico) e sono artista. Sono nata in un piccolo ovile nel sud della Francia e sono cresciuta in un'atmosfera hippie e selvaggia, a piedi scalzi in mezzo alle capre. I miei genitori, al tempo contrari ai codici dettati dalla società francese degli anni Sessanta, avevano deciso di ristrutturare un rudere, di produrre formaggio e di vivere in completa autosufficienza. Di origini borghesi e ben inseriti nel milieu industriale e artistico, hanno ricevuto un'educazione solida e culturalmente ricca. Mi sono quindi nutrita di due contesti sociali opposti. Dopo questa infanzia idilliaca dovevo confrontarmi con il ritmo della città e proseguire i miei studi. Terminato il liceo linguistico ho deciso di iscrivermi alla Facoltà di Lettere per ben tre anni. Un giorno, scettica su come proseguire, vedendo in televisione un reportage sulla fusione delle sculture ho avuto una rivelazione e ho deciso di specializzarmi nel mestiere di restauratrice di opere d'arte. Mi sono iscritta all'Ecole Nationale Supérieure de Restauration di Avignone, eravamo solo in cinque o sei ragazze per classe ma confinavamo con l'Ecole des Beaux-Arts dove altri studenti, al contrario di noi, erano per lo più maschi e si preoccupavano di creare. Due criteri importanti nella scelta dell’istituto dove avrei passato cinque anni della mia vita. Ho sempre sentito la necessità di essere in contatto diretto con le opere d'arte e avevo anch’io una naturale capacità a creare, ero quindi convinta. Nel 2001, ho ottenuto il diploma di restauratrice con una specializzazione in opere d'arte contemporanea e da quel giorno lavoro in questo settore a livello internazionale. Annoiata dalla Francia, quindici anni fa ho deciso di partire. Da sempre sedotta dall’idea di New York pensavo che quella sarebbe stata la mia meta, fino a quando, conosciuta la Toscana, ne ho subito irrimediablimente il fascino. Ho cosi deciso di tornare ad abitare in campagna e di aprire il mio studio di restauro a Vinci, che fungeva anche da centro di creazione ed esposizione. In seguito mi sono trasferita a Prato dove, presso lo studio Interno/8, ho dato seguito a queste attività fino alla fondazione dell'associazione culturale Artforms, ospitata nella stessa sede, di cui sono socio fondatore. In qualità di artista rispondo ad un linguaggio quantico e libero definito da un interesse per le analogie presenti fra i fatti rilevanti del mio proprio percorso di vita e quelli appartenenti al universo collettivo e per contradizione, utilizzando i concetti universali di dualismo e opposti ne provoco il deragliamento. Espongo le mie creazioni dal 2005.
OVERCOME
« La route qui monte et qui descend est une seule et la même» Héraclite d’Ephèse.
Nel 1990, un’anno in cui tracciavo molti angoli retti, su fogli , per terra o nell’aria, ho disegnato una scalinata tortuosa e difficile da percorrere. Solo in occasione dell’invito alla mostra che si concentrava sul tema ‘Io vedo, io guardo’ (1) l’ho ridisegnata per realizzarla in due esemplari, ma capovolti. I verbi vedere e guardare provengono dalla stessa fonte ma non hanno la stessa destinazione, come le scale, identiche ma allo stesso tempo contrarie. La mia scala deformata si è così trasformata in un oggetto a doppio taglio, che può anche essere letto come il risultato degli opposti di una stessa situazione.
Overcome, inoltre, è un’opera particolarmente adatta per essere esposta in mostre collettive, dove il suo carattere ascendente può fondersi con le opere di altri artisti convivendovi armoniosamente.
T.M.A.
« Notre santé et notre bonheur dépend de l’alternance simultanée d’activités ou d’objectifs réciproquement opposés ». Ernst Shumacher
Typical masculin actions è un’opera nata in seguito a uno dei miei lunghi periodi passati in campagna, dove l’abbandono di certi aspetti del carattere femminile si è gradualmente imposto. Così ho deciso di stigmatizzare questa esperienza ricamando, privatamente e in pubblico (durante una performance (2)), alcuni stereotipi maschili. L’opera è sottotitolata ‘realizzata durante 21 giorni in cui ho desiderato essere uomo’, un’allusione scherzosa alla mia identità e all’esplorazione di genere sviluppata intimamente durante questa fase. Stranamente mi sono resa conto che è un’opera particolarmente apprezzata dal pubblico maschile.
ŒUVRE PIEGE
« Nous avons fait le positif, maintenant reste à faire le négatif ». Franz Kafka
Tante volte, durante passeggiate nella natura, ho giocato con i semi che si incollano ai vestiti, una sorta di loro maniera di riprodursi. Ne ho raccolti molti e ho ricoperto tele intere. Poi ho capito che l’inventore del Velcro aveva avuto la mia stessa intuizione. Un gancio e una fibbia e l’unione è fatta. L’unione ma anche la distorsione, l’opportunismo della pianta immobile contro l’essere mobile che diviene impollinatore. Mi sono poi divertita a immaginare l’essere umano nella stessa posizione, scomoda fisicamente e mentalmente, ovvero sottomettendolo al suo ambiente. Lo spettatore, dunque, o resta intrappolato nell’opera oppure rimane contrariato dalla sua forte resistenza.
PASSWORD
« L’alternance des opposés crée la vie et lui donne une signification » Héraclite d’Ephèse.
Nel 2006, stanca della campagna, ho passato troppo tempo davanti al mio computer. Ho cominciato a riempire dei quaderni interi di nomi utente e password. Un giorno, i piccoli puntini neri mi sono usciti dagli occhi e mi sono apparsi in tre dimensioni. Quando mi hanno invitato ad una mostra sul tema dell’inconscio (3) ho dunque realizzato una scultura aumentandone la scala. Quest’opera è la rappresentazione del passaggio attuale dal mondo reale al mondo virtuale, il simbolo dell’unione armoniosa delle dimensioni opposte del reale. Inoltre, se avrà la fortuna di incrociare un generoso mecenate, potrà essere realizzata in pietra nera e disposta in un luogo pubblico, divenendo – con mia grande soddisfazione – una panchina per adulti e una cavallina per bambini.
RECYCLE SIN (En collaboration avec Julien Lavigne)
« Dans la vie tout le sel vient des contrastes ». (inconnu)
Nel 2011, io e un mio caro amico, dopo tanto tempo passato a influenzarci reciprocamente, ci siamo uniti in una performance. Abbiamo raccolto e stampato tutta la nostra rispettiva ricerca del altro attraverso ritratti fotografici di noi stessi e di progetti comuni. L’idea era quella di mostrarsi ma anche di autodistruggerci attraverso un’azione autocritica: strappare le immagini esposte e gettarle nei bidoni della spazzatura dal fondo rivestito con uno specchio. Come il nostro rapporto l’azione divenne un’ alchimia, dove gli ingredienti si mescolano al fine di creare una reazione e una trasformazione di elementi. Una volta terminata l’azione il pubblico venne invitato, grazie all’adesivo messo a sua disposizione a recuperare le immagini strappate, a crearne di nuove e attraverso il suo riflesso a riflettere sul proprio rapporto con la creatività.
RIORIM
« Dans le royaume de la nature les opposés ne font qu’un » Carl Gustav Jung.
Cinque anni fa mentre osservavo me stessa in uno specchio fissato al ramo di un albero, per l’ennesima volta ho visto doppio. Basta, volevo contrariare questo fatto. Ho quindi cercato di nascondere l’oggetto, volevo annientare il suo potere affascinante e quindi relazionarlo con un ambiente preciso. La natura mi ha dato soddisfazione e ne è scaturita una serie di fotografie. Ma per antinomia, questa serie di specchi posati sull’erba è anche la moltiplicazione impercettibile di un elemento naturale che equivale alla scoperta di questo ambiente. Ho quindi sviluppato quest’idea immaginando un’inquadratura che renda l’effetto degli specchi parte integrante dell’opera: si tratta di un effetto caleidoscopico che si materializza all’interno del quadro, reso possibile grazie a un’immagine e al suo doppio capovolto.
ORBRUT
« Plus il y a de contrastes dans leurs caractères, plus il a d’union dans leurs harmonies. »
Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre
Si tratta di un’installazione perenne, fino a quando vorrà durare o richiederà un mio intervento. Durante la visita al parco Basaglia, dove sono stata invitata nel 2016, ho scoperto e osservato attentamente questo immenso pino marittimo. Maestoso e certamente centenario, era stato sacrificato dall’uomo all’altezza di una vecchia ferita restata senza corteccia. Il suo carattere vegetale e inerte mi è sembrato molto simile a quello di un animale. Ho soddisfatto la mia visione contrastata dell’unione delle due entità grazie a pastiglie d’oro irrigidite e inchiodate sul tronco. Quest’opera si intitola Orbrut, un omaggio ai pazienti/artisti che soffrono di problemi mentali e risiedono al PAC 180. Un luogo che vi consiglio vivamente di visitare.
Rachel Morellet, Prato, 2016
Note
1) Io vedo, io guardo. Mostra itinerante a cura di Annalisa Cattani in sostegno al Centro di Ricerca Arte Contemporanea di Cremona (CRAC). 2016
2) Workshop Networking – integration and conflict. A cura di Giacomo Bazzani. Mac'N Museo Arte Contemporanea e Novecento. Villa Renatico Martini, Monsummano-Terme.
3) HSP – Hallucinatory Sleep Paralysis. A cura di Francesco Funghi and Sara Vannacci. Studio MDT, Prato.