D. - Quale la ragione che ti ha condotto ai Lieder di Schubert, ad uno spettacolo costruito come un recital?
Romeo Castellucci - Non c'è mai una ragione intelligente perché non è mai ragionata. E' stato un incontro forse una scoperta, una riscoperta improvvisa che avviene in certi casi come un lampo.
Ero impegnato su di un altro lavoro "Four season restaurant" e stavo cercando delle canzoni di quel repertorio, di quell'epoca che avessero come protagonista la voce femminile, e quindi ho cercato i Lieder di Schubert. Ascoltando questa materia sono rimasto folgorato, trafitto al punto da pensare di doverne fare qualcosa, di dover in qualche modo reagire a questa emozione profondissima che mi aveva provocato questo ascolto.
Io li conoscevo già ma non so per quale motivo, forse perché sono cambiato - mi hanno trafitto in modo particolare. Quindi non c'è nessuna ragione intelligente. E' stata una scelta fatta in base a una sensazione ad una emozione.
Ho quindi raccolto una serie di Lieder scegliendo come titolo uno dei più celebri : Schwanengesang che significa "il canto del cigno" e sotto questo nome e questa voce una serie di canzoni che hanno una tematica coerente in Schubert che è quella dell' abbandono, della solitudine, del sentimento dello scacco.
In particolare risuona, dal mio punto di vista molto più forte quando la voce è femminile.
In un certo senso, partendo dal ruolo che stavo facendo "Four season restaurant" dove avevo concepito questo lavoro utilizzando una strategia di uscita, quindi come uscire...
La problematica non era concentrata su come entrare o come rimanere, ma come uscire.
E non c'è un musicista più giusto nella storia della musica che abbia mai concepito questo movimento in modo così vertiginoso verticale sublime, come abbia fatto Schubert.
Quindi "come uscire" da qualsiasi cosa anche dalla vita, dalla scena.
In questo caso si trattava di come uscire di scena, cosa lasciare.
Non perché. Ma come.
Quindi in Schubert c'era la tonalità emotiva sempre precisa. Io credo che Schubert sia riuscito a trovare, ed è un mistero la sua capacità creativa per la quantità di materia che ha accumulato in pochissimi anni... Io credo che Schubert abbia trovato per così dire un algoritmo perfetto, insuperabile in grado di toccare le corde profondissime dentro di noi. Per me risuona una forma sempre esatta, risuona e trova una tonalità completa per ciò che continuiamo a chiamare Spirito.
Ecco, sono preghiere, preghiere senza Dio.
Quindi ho immaginato un recital con la configurazione più classica, un pianoforte ed una cantante e poi questi canti uno dopo l'altro.
I testi sono proiettati perché i testi sono di capitale importanza, non sono una scusa.
I testi che Schubert ha scelto, che ha fatto scrivere e che ha utilizzato come testi preesistenti sono in realtà estremamente precisi. C'è un lavoro molto importante sulle parole che vengono pronunciate perché le parole creano una trama. Nei passaggi tra un Lieder ed un altro c'è una costruzione drammaturgica ( se così si può dire) per questo personaggio femminile che presumibilmente è sempre lo stesso.
Questi testi sono meravigliosi nella loro retorica, perché no! c'è un aspetto languido che potremmo facilmente rigettare per i gusti del contemporaneo. Ma io ho voluto rivendicare questo carattere un poco artificioso, proprio perché non lo è affatto.
Sono parole profonde e significative. Quindi in base a questo, non so, è stato come credere a quelle parole, questo il gioco. E colei che crede per prima è la cantante, l'interprete che sembra credere così tanto a ciò che canta che sembra avere una crisi. E' tutto qui.
C'è poi una attrice, Valérie Dréville molto conosciuta in Francia - e l'epilogo è affidato al suo intervento; è più uno squarcio che si apre e poi si rinchiude. Questa è la struttura estremamente semplice di questa serata.
D. - Nello spettacolo l'attrice appare con una maschera, ha un senso particolare?
R.C. E' vero compare come un flash della durata di una frazione di un secondo questa maschera demoniaca, ma è un demone, non il diavolo, un demone che muove questa attrice e muove ogni attore. E' facile immaginare che dietro ogni rappresentazione vi sia un demone che nulla ha a che fare con il demonio religioso. E' una creatura del profondo che si vergogna di essere vista ed è per questo che bisogna coprirla immediatamente.
Ma viene fuori non può trattenersi.
Per un momento è come alzare un velo. Ricordiamoci che Schubert attraverso la grazia ha ricoperto un abisso, un velo su un abisso profondissimo fatto di demoni, dei peggiori. Un poco come la scrittura di Walser fatta di grazia e gentilezza ma è un candore questo che nasconde caverne profondissime. Qualcosa di analogo accade con Schubert.
In questo caso l'attrice porta a compimento ciò che la tensione drammatica in quel momento promette, è come se strappasse per un momento solo per un attimo questo velo, quello della rappresentazione per poi chiuderlo immediatamente e chiedere scusa.
Non c'è nulla da spiegare, è istintivo...
Ovvero è tutto calcolato mentre è istintivo il riceverlo dello spettatore, sulla pelle, sulla sua faccia come un corpo che ti viene incontro. Ma non necessariamente esiste una soluzione, ciascuno di noi pensa come vuole..
Sono immagini comunque precise. C'è una cantante che tiene una serata.
E' come assistere ad una serata di musica nella forma più classica possibile : un Recital. Ma oltre a questo vediamo anche l'interprete, l'interprete affiora. Normalmente è uno strumento che lascia passare dei suoni delle emozioni dei sentimenti, ma in questo caso la persona affiora. E questa è un altra conseguenza di un ascolto profondo forse radicale dal punto di vista di Schubert.
La persona affiora, e questo affiorare di questa persona diviene problematico perché non si regge.
Ma non vorrei dire troppo di quanto poi è nella percezione dello spettatore. Come spettatore io non vorrei sapere queste cose.
D. - Com' è essere contemporanei in questo momento, cosa significa in relazione alle esperienze delle avanguardie in teatro che hanno visto la nascita della Societas Raffaello Sanzio?
R.C. In questi anni è cambiato molto il nostro modo di guardare le cose. Siamo circondati molto di più in mondo quasi esponenziale da immagini. Siamo immersi in un rumore bianco continuo di immagini di parole di musiche di suoni. Quindi anche da questa ricerca di una forza icastica che potrebbe imporre il proprio lavoro o quanto meno renderlo visibile su questo whait noise continuo e perenne.
Quindi le strategie sono certamente cambiate.
In altri momenti, agli inizi della Societas Raffaello Sanzio, un'epoca di grande confronto quando
nasceva un vero pensiero e anche la critica… E' stato forse un momento irripetibile. Ricordo che tra i giovani era più facile, forse c'era più appeal nell'organizzarsi in gruppi teatrali piuttosto che in gruppi musicali. Era veramente una cosa incredibile in quegli anni. C'erano tantissimi gruppi impossibile ricordarli tutti. Ma c'era un fermento veramente straordinario. E di questo fermento protagonisti sono stati anche i Magazzini.
Io devo molto alla loro esperienza. Poi le cose sono naturalmente cambiate.
Ora penso che questa necessità di lasciare un segno sia ancora più forte e per i giovani gruppi e giovani artisti lo sia ancora di più perché siamo ammalati di comunicazione. Non è sufficiente fare sapere che una cosa esiste, perché questa notizia è sommersa da milioni di altre notizie. E' una illusione affidarsi completamente alla comunicazione. Trovo che i giovani gruppi dovrebbero interrompere la comunicazione per rendersi più forti, per rendersi visibili, paradossalmente.
Quindi la radicalità che cosa è… Questo è un altro problema. Probabilmente non è più nelle immagini forti che sono appannaggio della pubblicità. Non possiamo fare finta che la pubblicità non esista. Non possiamo avere un atteggiamento sprezzante nei confronti della pubblicità. La pubblicità fa parte della nostra vita, della mia, della vostra. Quindi c'è una specie di similitudine per quanto pericolosa possa essere.
Qual è la sorgente dell’ immagine?
Io credo che in questa epoca si può pensare all' immagine come fondamento e quindi - che cosa è immagine e di conseguenza che cosa è guardare?
Credo che ancora di più questo gesto questo atto apparentemente così meccanico debba essere interrogato in modo radicale, questo potrebbe anche avvenire attraverso Schubert, perché no! qualcosa che potrebbe sembrare cianfrusaglia polverosa che viene dal passato. Non è affatto così.
In realtà passato futuro presente non hanno un grande valore dal mio punto di vista proprio perché molto spesso e lo dico come spettatore ciò che più mi impressiona è un taglio verticale che spazza via queste categorie cronologiche che sono piuttosto scolastiche e prevedibili.
Quindi un taglio verticale è per esempio : cosa vuol dire guardare?!
Ma anche cosa vuol dire essere visti da ciò che guardiamo. Trovo quindi che una possibilità di incidere, segnare… e questo è il destino dell'arte, non c'è ne un altro - l'arte deve segnare.
Segnare. Lasciare un segno, altrimenti è un’altra cosa, forse comunicazione, scade nella comunicazione, scade nell'illustrativo. L'arte per essere arte deve segnare.
Segnare che cosa è?
Segnare è un taglio, una cesura, uno strappo, una crisi. Quindi c'è qualcosa di apparentemente innaturale che in quel momento fa rimanere sconcertati.
Ma cosa è questo sconcerto? Forse è il fatto di non trovare parole davanti a qualcosa che deve essere ancora nominato, qualcosa che ti interroga profondamente sul tuo ruolo di spettatore. Cosa sto guardando? Perché guardo? Che cosa è il guardare?
In un certo senso andare a teatro è guardare e guardare. Deve risuonare la natura stessa del teatro, ad ogni evento teatrale e non mettere nulla per scontato. Non darlo come una abitudine.
Perché questa è una condanna, una condanna per l'artista, condannato a rimanere nell'ordine del decorativismo. Questa la mia opinione personale. Ma ci sono molte altre idee al riguardo.
SCHWANENGESANG D744. photo Christophe RAYNAUD de LAGE
D. - Ma anche la voce è fondamentale.
R.C. La voce è vero è stata una delle colonne spinali del mio e del nostro lavoro con una attenzione particolare che nasce credo nell'ambito del lavoro su Giulio Cesare di Shakespeare in cui si prendeva in considerazione, dato che il corpo centrale era la voce esattamente come corpo, quindi non solo come spirito, come flatus vocis - al contrario forse scandalo dell'origine della voce che è appunto carnale.
Direi che quello è stato una specie di esergo che ho continuato ad adoperare fino ai giorni nostri, fino ad adesso. Anche questo "Schwanengesang" ha a che fare certamente con quella impostazione.
Quindi riconoscere nella voce, nel corpo della voce un ruolo centrale. Lo spettacolo cominciava con un attore che adoperava un endoscopio che si infilava in una narice che andava giù fino alla gola - per mostrare, veniva proiettato nel fondo dello spazio, la gola, quindi le corde vocali, mentre queste pronunciavano le parole di Shakespeare.
Questo era un modo di rovesciare l'immagine tradizionale dell'attore. Quindi per prima cosa vedevamo l'interiorità, ma carnale dell'attore, era come avere un attore rovesciato come un calzino.
Questa era l'immagine, il biglietto da visita di questo spettacolo che aveva anche una certa durezza.
Poi veniva presa in considerazione l'operazione meccanica, tecnica, forse tecnologica del linguaggio.
L'origine scandalosamente carnale, si direbbe una carne sessuale delle corde vocali. Quindi lo scandalo dell’ origine della voce veniva strappato violentemente da un ambito più spirituale, trascinato nella polvere di un corpo, nella finitezza di un corpo. E poi c'era un attore fiorentino, Gianmarco Masini poeta con il quale sto ancora collaborando, che ha subito una laringectomia e quindi a lui spettava la parte di Marco Antonio che è la parte trionfante di questo dramma, del dramma shakespeariano.
Quando viene fatto questo famoso discorso, agone politico tra Bruto e Marco Antonio; conoscerete senz’altro questo dramma, uno dei più potenti dal mio punto di vista di Shakespeare, di teatro storico.
Questo discorso meraviglioso che vince sul discorso di Bruto, rovescia le sorti di Roma, rovescia le sorti della storia antica di quel momento proprio grazie alla bellezza di un discorso. Riesce a squadernare addirittura la storia con il discorso, calcolato, con una tecnica che si definiva asiana, asiatica, era più orientale Marco Antonio nell'esporre il suo discorso. La retorica di Bruto era più classica.
Ed è attraverso questo discorso che Marco Antonio va sulle ferite di Cesare, un uomo Gianmarco Masini arriva a farlo senza corde vocali dimostrando lo stoma, (indica la gola) che è una vera ferita - che soltanto una vera ferita poteva parlare delle ferite. In questo caso si chiudeva un cerchio.
Lo dò come esempio perché attraverso quel lavoro il ruolo della voce è sempre stato direi protagonista.
D. - Suono, rumore di fondo, scosse. Ma di recente ti sei avvicinato ad una forma più compiuta e storicizzata della musica come l'opera, il balletto.
R.C. E' vero che c'è stato questo lavoro e c'è ancora, devo dire, sul mondo del suono in tutta la sua complessità. Io non distinguerei in modo così netto questi due possibili emisferi. Secondo me tutto quanto ricade nella sfera acustica quindi sia il suono organizzato che deriva da un grande archivio che è quello della tradizione, un archivio immenso, ricchissimo; poi invece ci sono i suoni, i rumori che a loro volta sono comunque organizzati, non c'è niente di spontaneo o spontaneistico.
Il lavoro con i rumori in realtà diventa sempre più preciso nel momento in cui incontro Scott Gibson che è un compositore americano con il quale collaboro ormai da 15 anni.
E' un mio gemello spirituale, cosa rarissima, in ambito artistico, è molto raro incontrare qualcuno con il quale non esistono confini o con il quale non è necessario per esempio parlare.
E' una parte di me. Mi ritengo estremamente fortunato l’averlo incontrato.
Lui usa una tecnica elettroacustica, quindi usa i microfoni, non ci sono sintetizzatori ci sono solo microfoni; quindi raccoglie i suoni ed i rumori di tutti i fenomeni, visibili ed invisibili, udibili ed inudibili.
Ha utilizzato recentemente, per fare un esempio uno strumento medico in una Università di Glasgow in grado di percepire il suono dei flagelli dei batteri, quindi (un suono) infinitamente microscopico - affiora, diventa una materia, così come il fuoco o la carta il soffio ma anche la corrente del sangue.
Ogni fenomeno rientra in una drammaturgia molto precisa in realtà. I suoni sono trasfigurati ma si ha sempre la sensazione di essere presenti davanti ad una materia, davanti ad un corpo, una epidermide, nel senso che si sente la materia.
A dire la verità la musica classica è sempre stata presente ma in forma registrata. Mi ricordo che Wagner è sempre stato presente, in Giulio Cesare anche Schemberg o Britten.
Quindi quando mi è capitata l'occasione di affrontare questo mondo attraverso l'orchestra, attraverso i cantanti è stato per me non così problematico, nel senso che si trattava di cambiare tecnica, approccio diverso - ma il suono è sempre stato la corrente che trasporta le forme. Quindi che si tratti di un rumore ben organizzato, sempre i rumori erano temperati non erano mai qualcosa di spontaneo; non ho mai fatto lavori di spontaneismo, improvvisazione – ma tutto è estremamente calcolato, un lavoro geometrico.
Quindi anche con i rumori c'era una drammaturgia molto precisa. Nel caso della musica la drammaturgia la trovavo, questo è il limite.
La Sagra della Primavera per esempio ha un tema molto specifico che è quello dei riti, dei sacrifici...
In questo caso si ha un elemento in più. Nel caso di Parsifal, Neither di Morton Feldman o comunque le opere che ho fatto avevano dei temi molto specifici. Si tratta di cambiare orientamento ma il lavoro mi sento di dire che è lo stesso, con tecniche differenti.
SCHWANENGESANG D744. photo Christophe RAYNAUD de LAGE