Sara Leghissa
in dialogo con Stefania Rinaldi
Stefania Rinaldi - All’interno del tuo percorso emerge con forza la questione della pratica come strumento di indagine e di lavoro. Come Strasse, avete sviluppato negli anni delle pratiche artistiche che mettevano in relazione il lavoro site specific nello spazio pubblico con il lavoro sul corpo, attraverso il filtro del linguaggio cinematografico. Come si sono sviluppate queste pratiche e quale connessione hanno generato con le comunità e con le persone che vivono nei luoghi dove avete lavorato?
Sara Leghissa - Nella mia personale esperienza artistica, le pratiche sono modalità di lavoro che nascono da e durante il processo di ricerca e ci dialogano. Sono espedienti per generare connessioni di senso, per fare domande, per mettere a fuoco questioni specifiche. Non ci si serve della pratica per arrivare a qualcosa di compiuto, ma per generare modalità di lavoro, discorsi e contenuti. Essendo quello di Strasse un lavoro site specific, strettamente connesso al contesto, le pratiche sono state anche strumenti per generare relazioni. Pensando ad House Music, un lavoro/ concerto in cui si cerca di raccontare un contesto attraverso la musica che ascoltano le persone che ci vivono, la richiesta di scegliere una canzone e ascoltarla insieme è una pratica di relazione. Col pretesto della musica si crea una relazione immediata e diretta tra persone, diverse per età, esperienze, storie personali. In questo caso la pratica è un veicolo per generare un incontro e iniziare una conversazione. In generale, il lavoro nello spazio pubblico parte da pratiche di osservazione e relazione con il contesto, quindi determina connessioni, anche silenziose, non-esplicite o segrete. Una pratica che abbiamo utilizzato in passato, ispirata ad un lavoro di Sophie Calle in cui l’artista aveva assunto un detective privato per farsi pedinare e fotografare nella propria vita privata, si basa sull’individuare qualcun_ (*) che sta passando per strada e seguirl_. Anche in questo caso, la pratica è un espediente che mi permette di prendere le misure rispetto al contesto in cui mi trovo, di esplorarlo grazie ad una guida speciale che sa dove sta andando, ma non che mi ci sta portando. Seguire un_ sconosciut_ è una pratica di attenzione e di cura rispetto alla persona che seguo, di immaginazione rispetto alla sua storia e alle sue intenzioni, di risiginificazione rispetto allo spazio che attraverso e di alterazione della percezione, poiché sto affidando a qualcun_ che non sono io la gestione del mio personale strumento di relazione con ciò che mi circonda, il tempo. In un nostro spettacolo, SOLO, si dava appuntamento al pubblico dentro una Stazione e gli si chiedeva, tramite un messaggio sms, di individuare una persona e seguirla. Per tutta la durata del lavoro, non veniva mai rivelato al pubblico se la persona che stava seguendo fosse un performer o un passante casuale.
Strasse House Music Terni Photo Maddalena Fragnito
SR - Qual è la tua esperienza personale all’interno del collettivo Strasse e cosa significa per te condividere il processo di ricerca artistica?
SL - Strasse nasce da una relazione prima di tutto umana, di amicizia e di amore, e dal desiderio di condividere con un altra persona, F. De Isabella, pensieri, desideri, pratiche. La mia esperienza artistica si è sempre generata attraverso la relazione con qualcun altr_. La condivisione è una forma di creazione e di allargamento, che mi ha permesso nel tempo di riscrivere il mio mondo interiore, guardare con altri occhi, spostare le priorità, confrontarmi con la difficoltà e le frustrazioni della comunicazione. La scelta di costruire spazi di ricerca, narrazione ed esposizione condivisi ha avuto di volta in volta ragioni mutevoli. C’è la bellezza del sentire insieme, il godimento di un’intuizione che si alimenta reciprocamente, la furia della scoperta ripartita. C’è anche la paura e l’insicurezza di mostrarmi per come sono, la paura della solitudine, la paura della solitudine nel fallimento, e quindi il bisogno di confondersi con l’altr_.
Condividere il processo di ricerca significa stare nel lavoro della relazione. Per me, questa è a tutti gli effetti un’intensa et faticosa storia d’amore, che si trova, si impazza, si consuma et si muore.
Strasse Drive_IN Barona Photo Marco Malizia
SR - Anche Nobodys Indiscipline Milano, piattaforma indipendente per lo scambio di pratiche nella Performing Art, di cui sei co-organizzatrice, è un’esperienza di curatela e organizzazione condivisa. Puoi raccontarcela da questo punto di vista?
SL - Nobodys Indiscipline, che organizzo a Milano con Annamaria Ajmone, è un grande esperimento in continua mutazione, che sta crescendo e ridefinendosi grazie alle presenze che lo animano. Come scriviamo nella email di invito: “Guardiamo a Nobodys Indiscipline come ad una macropratica in sé, un animale con un proprio corpo, ibrido e inclusivo, ricettivo e mutevole, la cui forma si è generata a partire dalle esperienze precedenti ed è mutata nel tempo, anche nel tempo del non incontro, quello tra un Nobodys e l'altro, in cui le esperienze si sono depositate, stratificate e informate a vicenda. Nel tempo di Nessuno, delle conversazioni accidentali e degli incontri casuali, delle vite personali o condivise in qualche altrove.
Nobodys Indiscipline è altr_ da me ed è anche me. La sua natura è molteplice, irriducibile alla trasparenza e alla leggibilità, se ne percepisce la densità, l'opacità, la difficoltà di narrazione, l'incontenibilità e l'indirezionabilità (parole che non esistono). Nobodys è fragile e compless_. Per questo vi chiediamo grande cura nel manipolare questo essere.”
Rispetto alla sua costruzione, il formato cambia di volta in volta, dentro alle informazioni acquisite Praticandolo. Consideriamo infatti l’intera faccenda una pratica, anche nella sua assenza, ovvero nel momento in cui non avviene. Nobodys si pratica nella ripetizione, nella discontinuità, nella relazione, nella distanza, nel bisogno di costruirlo con cura, nella paura di dimenticare pezzi, nella sua ingestibilità e irracontabilità. La questione della delega della responsabilità è centrale. Io e Anna lo facciamo accadere e cerchiamo di curarlo il più possibile, di creare le condizioni perché esista, ma poi la sua forma viene data dalle intenzioni e dai bisogni di chi partecipa.
Nobody's Indiscipline Milano, Photo Luca Chiaudano
SR - Che tipo di negoziazione e ridefinizione del proprio desiderio comporta l’appartenenza ad un collettivo in termini di autorialità e quali modalità di ricerca alternativa genera?
SL - Condividere la ricerca artistica per me ha significato per esempio mettere in crisi il tempo e la percezione che si ha del tempo. Se dovessi parlare di Strasse in termini di definizione dei suoi confini temporali, per esempio, mi troverei in grande difficoltà. Strasse è un’esperienza che nasce dal desiderio di attivare pratiche di resistenza, proposte per generare relazioni, smuovere sguardi, reagire a chiamate dall’esterno. Mano a mano Strasse ha acquisito strumenti di metodo, ha determinato e specificato un proprio linguaggio artistico. E’ stato anche un modo per scoprire un pò di più chi ero. Il fatto che l’autorialità fosse condivisa è stata la sua ricchezza e la sua fatica. Nel suo tempo dilatato e sparpagliato, ci sono stati momenti in cui la relazione era più affiatata, i desideri viaggiavano nella stessa direzione e quindi a sensazione si andava più rapid_, e altri in cui i desideri tiravano in direzioni diverse, creando strappi, vuoti, rallentamenti. La negoziazione che si attiva in questo tempo così complesso riguarda anche quella tra il bisogno individuale e i bisogno del sogno comune. Ognun_ fa coincidere al tempo del sogno un tempo che risponde alla percezione del proprio tempo interno, che è diverso da quello de_ altr_. Questa negoziazione, per me, più che il compromesso legato all’autorialità, è l’esperienza più importante rispetto al lavoro condiviso. La mia percezione del tempo è mediata continuamente, e si riconsidera, e si riconsidera, e si riconsidera.
Have you never been (il)legal Photo Simone Ridi.
SR - In particolare, abbiamo condiviso un percorso di indagine sul quartiere Soccorso di Prato. Il progetto, “Have you avere been (il)legal?”, consisteva nell’intervistare alcune persone che vi abitano, ponendo domande sulla propria esperienza personale in merito al tema legalità-illegalità e rilanciando nello spazio pubblico alcuni testi/manifesti, estratti delle risposte ottenute, attraverso un’azione illegale collettiva. Da dove ha avuto origine questa esperienza e qual è la sua dimensione performativa?
SL - La ricerca parte da alcune domande che mi sto facendo rispetto al tema della legge e a come pratichiamo l’illegalità nella nostra quotidianità. La ricerca parte dalla considerazione che la legge è un parametro fluido, il cui scavalcamento, in termini d’illegalità, è stato in certe occasioni la strada per aprire al diritto, e di cui sta abusando la politica, facendone grande bandiera insieme alla questione della sicurezza, per costruire una retorica della legalità, razzista e squadrista. La pratica illegale nello spazio pubblico ha sempre fatto parte della mia pratica artistica, prima, durante e oltre Strasse. A vent’anni seguivo i writers in giro per Milano. Grazie all’incontro con quel modo di rendersi visibili senza chiedere il permesso, vedevo la possibilità di rispondere ad un bisogno di comunicazione nel modo più efficace possibile, con i minimo delle risorse ma con il massimo della visibilità. La trovo una pratica inclusiva, che si rivolge a tutt_, arriva a tutt_, e che fa leva sulla possibilità soggettiva del pubblico di mettersi in relazione ad un’opera e interpretarne il significato. Il fatto che semplicemente avvenga, senza chiedere, senza giudici che decidono cosa si può e cosa si deve fare, la rende una pratica di resistenza, di riappropriazione dello spazio pubblico e di risignificazione e relazione tra il contesto e chi lo attraversa. Il bordo tra quello che si può e non si può fare, quando si fanno pratiche nello spazio pubblico, è sempre molto sottile. Strasse ha sempre lavorato su questo bordo: qualsiasi formato abbia il lavoro, è contemplata la possibilità di un intervento delle forze dell’ordine. Per esperienza, qualsiasi azione ripetuta in tempi non ordinari, anche se molto semplice e quotidiana, diventa sospetta, non inscrivibile nel codice, minacciosa. Volevo avvicinarmi ancora di più a questo bordo, analizzarlo, metterlo al centro della ricerca e indagarlo con uno strumento che è di per sé una pratica illegale: l’affissione abusiva di manifesti nello spazio pubblico.
Foto collage ritorno al futuro con magliette Nessuno/ Photo Sara Leghissa
SR - Il formato della festa fa parte della tua pratica artistica. In che modo?
SL - La festa come forma di autofinanziamento, come un modo per avere una parziale autonomia rispetto alle economie produttive. Un’altra pratica illegale dentro al mio percorso artistico. L’autofinanziamento attraverso il formato della festa è quasi sempre avvenuto in spazi occupati o in luoghi di non-controllo, dove potevamo essere liber_ e autonom_ rispetto alla proposta. La festa la facciamo come la desideriamo, come la immaginiamo, senza dover sottoporci alla richiesta o alla censura di qualcun_. La costruzione della festa è la parte più bella, quando la si immagina: si fanno gli inviti (bellissimo), si decide più o meno cosa far succedere e dove nel corso della serata, si butta nella costruzione moltissima energia creativa. Il momento della preparazione dello spazio, l’arrivo degli ospiti e l’inizio della festa per me sono i momenti più faticosi. La preparazione dello spazio contiene sempre degli imprevisti. L’arrivo degli ospiti è la preoccupazione continua che siano a proprio agio. L’inizio è una miccia che deve accendersi e fino a che non lo fa si resta li, bloccat_ e confus_, e se qualcun_ ti parla non si sente niente. Il mio più forte contributo durante la festa credo sia quello di muovere le energie, connettere le presenze, fluidificare corpi, culi e cuori e produrre vibrazioni. Quando inizio a sentire che sto facendo questo, allora sono in relazione alla serata, e contribuisco al suo scioglimento.
Combattimento, disegno di Chiara Fazi.
SR - A proposito di Combattimento, di cui sei interprete insieme ad Annamaria Ajmone per la regia di Muta Imago, puoi raccontare questa esperienza, anche rispetto alla danza?
SL - Combattimento nasce dal desiderio di Claudia Sorace e Riccardo Fazi (Muta Imago) di specificare e fare diventare un lavoro a sé, una sezione dell’opera di Monteverdi, Canti Guerrieri, già prodotta l’anno precedente per il Teatro degli Atti di Rimini, e per la quale io e Annamaria eravamo state interpreti. Abbiamo quindi lavorato insieme a Roma l’agosto scorso. Provavamo all’Angelo Mai, con orari che oscillavano tra la mattina presto e il tardo pomeriggio, perchè faceva caldissimo. Finite le prove, giravamo in macchina nella città vuota, andavamo al mare a Santa Severa e a mangiare alla Certosa, in un posto in una piazzetta dove d’estate mettono dei tavoli di plastica in strada e ti servono il pesce. Ci incontravamo con le/i superstit_ alla torrida estate romana, anzi, le/i rimast_. Lo stereotipo che si compie: la città che lentamente si svuota e, mentre le persone partono e si muovono verso il mare, o la montagna, o il paesello, o l’altra parte del mondo, tu resti. Bellissimo. Bellissimo scontrarsi tra le/i rimast_. Ogni giorno perdi qualcun_. E poi succedono cose incredibili. Il caldo. L’afa. La percezione estiva. Camminare romanticamente con Anna mano nella mano e farmi portare nei suoi posti del cuore di Roma. Bagnare ogni sera le piante del balcone di Riccardo e Claudia. Dare da mangiare al pesce rosso. Andare alle Fraschette a mangiare la porchetta. Fare gite infrasettimanali a Colle di Pace. Andare a Ostia a Ferragosto e ballare ad una festa di adolescenti. Guardarli limonare. Provare i costumi di scena in mezzo alla strada, a mezzogiorno, mentre Fiamma prende le misure dal furgone. Andare in bici al cinema la sera. Andare alla festa in terrazza da Antonio, fino a che la polizia non manda via tutt_ (Corona ha vinto il premio “Almost naked”, con tanto di coccarda). Andare in ospedale a trovare Richi. Festeggiare Ferragosto con un fumogeno in mano sotto la sua finestra. Grigliare sulla terrazza di Maria Elena. Parlare per tutta la sera con Asia Argento e non riconoscerla. L’arrivo de_ fidanzat_ e le gite al mare. Attraversare Roma vuota di notte. Siamo tutti Guiduccio. Il trasloco di MP fatto in mezz’ora. Chiedere a Richi di mettere una musica. Le sue magliette con i nomi dei gruppi musicali. Claudia che mi massaggia la testa. Claudia che ride perchè ha capito che non ho capito. La danza è questa.
Immagine scaricata da Internet
*La forma neutra che è indicata con un segno come questo _ alla fine delle parole è una forma che serve a non indicare e utilizzare una comunicazione che cerchi di escludere categorie di genere. (nda)