Serena Fineschi
Dialogo
Artext - Quale riflessione del tempo in questi ultimi lavori -
It's Time, 2021 - nella storica Villa Rospigliosi di Prato?
Serena Fineschi - Una riflessione sul tempo che viviamo si rende necessaria per ogni artista che decide di abitare il proprio tempo. Non tutti gli artisti decidono di riflettere le dinamiche che riguardano il tempo contemporaneo ma credo che sia necessario essere lucidamente presenti e domandarsi come sia possibile -attraverso la propria opera-
creare l’esperienza reale per eccellenza che può generare un altro mondo immaginabile, plausibile. Si tratta di essere artisti del e nel proprio tempo, consapevoli delle criticità attuali e -senza retorica o romanticismo- comprendere che l’artista non può rimanere legato a dinamiche che lo proiettavano in uno status distante dalle cose del mondo. A prescindere dal livello di intimità nella quale hanno origine i propri lavori, credo che il suo ruolo sia cambiato profondamente e la sua responsabilità nei confronti della collettività sia sostanziale, oggi. In questo momento storico credo doveroso che l’artista ammetta, con la sua opera, la possibilità salvifica di coinvolgere e modificare il maggior numero di sguardi possibili superando un’obsoleta autoreferenzialità in favore di riflessioni e tematiche di interesse collettivo, certamente discostandosi dalle convenzioni correnti e dal pensiero comune. L’arte del proprio tempo sta nel proprio tempo, esattamente tra realtà e immaginazione, tra finzione e mondo reale, tra disturbo e quotidianità, tra poesia e parola, solo in questo modo può definirsi tale, attraversando e sopravvivendo al tempo.
È il momento in cui la nostra responsabilità sociale e politica, in quanto artisti, è altissima. Rischiamo che la società si semplifichi ai minimi termini, viviamo un momento estremamente delicato dove superficialità, banalità, mancanza di attenzione e inettitudine invadono ogni crepa del nostro vivere e l’arte contemporanea non riesce a ritagliarsi alcuno spazio come iniziatrice di crescita e di capacità critica, discostandosi con grande rapidità dagli interessi comuni.
Gli artisti svolgono più o meno consapevolmente un’opera concreta di lotta quotidiana -con il loro lavoro e le loro urgenze- evidenziando contraddizioni, creando cortocircuiti disturbanti e suggerendo modelli culturali alternativi. Sono dunque un patrimonio per la crescita sociale e politica delle società nelle quali viviamo.
It’s Time è inoltre una riflessione sul tempo individuale che indaga la possibilità di creare una fessura di senso tra il tempo convenzionale e il principio di tempo individuale, inteso come ritmo e necessità vitale di relazione con gli altri e con il mondo che abitiamo. Credo sia indispensabile tornare a misurarsi con le nostre debolezze, discutere le certezze acquisite, segnare nuovi percorsi di pensiero e dichiarare a gran voce il nostro amore per la vita, nonostante tutto.
(in alto) Viva questo mondo di merda (pink), 2021, lampade led rosa (Courtesy l’artista), It’s Time, Villa Rospigliosi, Prato (IT)
(a sinistra) Popular Car (About Decadence), Trash Series, 2021, Fiat Panda, cromatura oro, chewing-gum, saliva (Courtesy l’artista), It’s Time, Villa Rospigliosi, Prato (IT) Photo credits: Claudio Seghi Rospigliosi
A - La sostanza delle superfici ha trovato nello spazio del luogo motivi a cui aderire se non attuando una tecnologia di slittamento del senso, una curvatura dello spazio per far esistere il tuo lavoro. Puoi dire delle problematiche affrontate nella definizione degli ambienti?
SF - Nessuna difficoltà, le opere si celavano già tra l’architettura e il paesaggio. Gli interventi visibili a Villa Rospigliosi sono sempre stati presenti, il bagliore del crepuscolo mi ha solo indicato un varco affinché potessero svelarsi e assumere una dimensione fisica.
A - In questo lungo periodo di stasi hai avuto modo di verificare la tua appartenenza ad una generazione, ad un ambito? Quali gli interrogativi che ti sei posta - e fatalmente nel proiettarsi verso un domani dove l'arte ha ancora una missione?
SF - Il periodo che abbiamo trascorso non ha modificato le mie abitudini, ho continuato a lavorare quotidianamente, liberamente, quando ne ho avuto voglia e come credo ogni artista abbia la necessità e l’urgenza di fare. Certamente, ho riflettuto molto sulla possibilità di ristabilire un dialogo comune tra gli artisti. Penso da tempo che sia arrivato il momento di tracciare una linea da cui ripartire e muoversi verso una direzione di dialogo collettivo che riporti l’opera d’arte al centro della discussione contemporanea.
It’s time to come clean, 2021, gnomone meridiana, fusione in bronzo (Courtesy l’artista), It’s Time, Villa Rospigliosi, Prato (IT) Photo credits: Claudio Seghi Rospigliosi
A - Ricordi delle tue prime opere? La tua ossessione visiva ha avuto luoghi di affezione?
La significazione che vuoi da un lavoro si deve a una sorta di ispirazione, un confronto, la storia dell'Arte.
SF - Ricordo numerosi tentativi che probabilmente mi hanno portata a definire meglio le mie intenzioni, ma le mie prime opere sono sempre le ultime e le mie ossessioni -non solo visive- non sono altro che le mie debolezze che tento di esorcizzare con i miei lavori.
Non sono mossa da alcuna ispirazione, succede e basta. Certo, sono molti gli argomenti che mi interessano e sui quali rifletto e, senz’altro, l’amore per la pittura e la storia dell’arte, mi portano spesso ad un confronto con il passato che affronto e ridiscuto senza timore, concedendomi la possibilità di commettere errori.
A - Dai una possibilità all'Arte? O a te di giocarla…
SF - Ritengo di dare una possibilità alla mia vita. L’arte è una linea continua segnata da vita e morte. In troppi pensano che sia un gioco con cui farsi belli, ma la bellezza di cui abbiamo bisogno è quella dell’opera che ci spinge in un'altra dimensione, aprendo fessure nel mondo conosciuto che escludano decorazione, superficialità e intrattenimento.
Take your choice (landscape), 2021, elastici di gomma (Courtesy l’artista). It’s Time, Villa Rospigliosi, Prato (IT) Photo credits: Claudio Seghi Rospigliosi
A - Hai sognato di essere qualcos'altro da un'artista? Il tema di un lavoro precede, e poi sperimentalmente pensi come tradurre in segno significante?
SF - Da bambina desideravo così tanto avere una macelleria. Mia mamma mi mandava a comprare la carne nel negozio vicino casa e nell’attesa del mio turno, così piccola da non arrivare al bancone con la testa e lo sguardo all’insù, rimanevo estasiata dalle movenze dell’enorme macellaio, un uomo gigante (o così mi appariva allora), le cui grandi mani suonavano coltelli e carni con una grazia imprevista e così impetuosa da risultare seducente.
Lo stesso stupore, meraviglia, disturbo e dolore che mi colsero, probabilmente solo qualche anno dopo, la prima volta che vidi La
Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna alle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Mi sentivo così piccola, tutta ristretta nei miei occhi, rimpicciolita nelle pieghe dello sguardo con la testa rivolta in alto, così tanto in alto da strapparmi il collo.
Ricordiamo le cose piccole, non le cose grandi.
In realtà i miei lavori mi colgono di sorpresa, si palesano nella mia immaginazione, senza alcun tipo di riflessione premeditata. Sono -semplicemente- il risultato assimilato della mia quotidianità, del mio abitare ciò che mi circonda.
A - Qual è il tuo legame con il testo e la scrittura? È un'estensione del tuo modo di pensare Arte?
SF - Preferisco scrivere, anziché parlare. Parlare mi tormenta sempre un poco. La scrittura è una dimensione nella quale riesco a mantenermi concentrata per molto tempo, cosa che non mi accade con altre superfici del vivere, ma non la definirei un’estensione del mio lavoro, è più un ambiente intimo che risponde al piacere di isolarmi.
A - Non avere un genere, pittore, scultore, performer significa disporre di molte più materie? Il linguaggio iconico che sembra appartenere all'Estetica di un'Era pre-tecnologica in te trova in "
It's Time", una versione aggiornata e militante. Quale strategia hai attuato perché la dimensione concettuale fondamento del tuo lavoro non diventasse esclusiva?
SF - In realtà ho sempre pensato di fare pittura, di riflettere e agire con approccio pittorico e credo che anche “
It’s Time” sia una mostra di pittura.
Popular Car (About Decadence), Trash Series 2021, Fiat Panda, cromatura oro, chewing-gum, saliva (Courtesy l’artista). It’s Time, Villa Rospigliosi, Prato (IT) Photo credits: Claudio Seghi Rospigliosi
A - Ti interroghi su ciò che è veramente reale? Di trovarsi a vivere dentro e fuori verità stabili. Di avere a che fare con il vivente all'interno del lavoro ( ) e cercare di rendere l'arte (i suoi processi) reali per la vita..
SF - Ripeto, il ruolo dell’artista è profondamente cambiato e la sua responsabilità nei confronti della collettività è essenziale. Meraviglia, stupore e bellezza sono atti politici e oggi, più che mai, sono necessari alla nostra sopravvivenza. L’arte non è mai estranea alle cose del mondo. “
Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe”, sosteneva Camus.
A - Quello che stai cercando di fare è rendere fluido il formalismo...? di una struttura che unifica, di una "maniera" e quindi di riflesso, l'esecuzione e il soggetto come di una architettura sentimentale da sperimentare e da provare nelle dimensioni adatte del corpo e della parola?
SF - Nel mio lavoro il corpo è la dimensione pittorica e la misura che lo determina, è estensione carnale. Il corpo dona e riceve valicando i processi e i meccanismi tradizionali della performance, quasi un invito a vivere l’esperienza della carne, della mente e dell’epoca in cui viviamo, in piena consapevolezza della nostra evoluzione. Le trame formali del mio lavoro si distendono e comprimono di continuo, producendo fessure euforicamente tragiche che confidano nuove riflessioni e esperienze tangibili, intime e sociali. Un’architettura sentimentale in edificazione permanente fatta di corpo presente e memoria, dalla quale sporgersi e perdere l’equilibrio.
A - Pensi all'amore quando fai arte? In che modo ti permetti questa idea o che nel pensiero entri in gioco il sesso come un ingrediente da farne parte?
SF - Penso all’arte quando faccio l’amore, in realtà e credo che, nonostante i miei numerosi tentativi -tutti fallimentari- di possedere le mie opere, l’unione di due corpi e il possedersi reciprocamente sia un atto che valica il concetto generico di arte.
Ingannare l'Attesa (Rosso Tiziano), 2019, penna Bic Cristal su carta. Stanze, Marignana Arte, Venezia (IT) collezione privata
A - Da qualche tempo stai curando un progetto editoriale per città, una rivista murale chiamata FOGLIO D.ISTINTO. Puoi raccontarne?
SF -
Foglio D.Istinto è un progetto editoriale ideato e curato istintivamente da MODO asbl, associazione culturale con sede a Bruxelles, fondata insieme agli artisti Alessandro Scarabello e Laura Viale. È una rivista d’artista restituita in forma di manifesto e affissa negli spazi pubblicitari, letta quindi solo esclusivamente dai passanti, in maniera del tutto fortuita. Non prevede una versione digitale ma una forma di contenuto in cui la fruizione fisica sia in grado di guadagnare la nostra attenzione e ricondurci ad una dimensione tangibile, materiale, fondata sull’esistenza.
In un momento storico in cui l’interesse è quasi totalmente concentrato sui social media o sulle piattaforme digitali, abbiamo deciso semplicemente di ribaltare il punto di vista e tornare alla vita reale, dove l’istinto è necessario alla sopravvivenza ma – se depurato dalla fruizione passiva del web – anche alla creazione di contenuti dalle rinnovate prospettive, scardinando i sistemi prestabili. Di fatto, è l’identica attitudine concepita per
M’ODO (
I’m listening to myself), la stringa sonora che abbiamo presentato sul nostro profilo Instagram durante i mesi del primo lockdown, con la quale abbiamo ribaltato l’uso del social network dedicato esclusivamente alle immagini, trasferendolo sulla sola dimensione sonora, cambiandone dunque l’uso e il concetto. “
M’odo sfida non solo i fondamenti della contemporaneità, ma anche tutte quelle convinzioni e impostazioni configuratesi nel tempo e autoimpostesi che negano il fluire del cambiamento e la libertà di pensiero” (cit. “M’odo e l’incantesimo degli echi incatenati” di Erika Cammarata, Titolo N.21 Inverno/Primavera 2021).
Il primo numero di
Foglio D.Istinto, dal titolo “
Il Buio”, è uscito lo scorso marzo sui muri della città di Siena; a questo è seguito “
L’errore”, affisso a Roma nel mese di giugno. Sono in programma le uscite di altri due numeri della rivista nelle città di Torino e Bruxelles, senza alcuna periodicità stabilita.
A - Sono stati veicoli dell'attuale trascendenza e salvataggi di campi "mnemonici"... il progetto “
Grand Hotel”, e poi di “
CAVEAU”, del primo "
un luogo in movimento che ospita, raccoglie, accoglie e colleziona forme di passaggio provenienti dalle menti e dagli studi degli artisti e che compie viaggi in spazi istituzionali e indipendenti dal 2014"
SF - Li definirei più come luoghi di transito dove si concentra un’energia perpetua, isole impetuose in movimento, abitate dall’intensità delle idee e dal vigore contenuto nell’attimo precedente la creazione.
Affresco, Trash Series, 2018, chewing-gum, saliva, dettaglio. After the Party, Montoro12 Contemporary art, Bruxelles (B) Photo credits: Geert de Taeye
A - Puoi dirmi da dove ha preso inizio l'uso del
chewing-gum scultoreo additato a paradigma della società contemporanea?
SF - Il chewing-gum è materiale e strumento pittorico per me e non ho mai considerato l’ipotesi cosciente di una sua valenza scultorea nel mio lavoro, benché ne comprenda perfettamente il parallelismo materico. Sono anche consapevole che possa considerarsi scultura nell’attimo esatto, e solo in quel breve momento, in cui attraversa il mio corpo ma questa transizione è solo una breve permanenza in forma scultorea che si rinnova immediatamente in atto pittorico.
Quando frequentavo le scuole superiori, i banchi erano pieni di gomme da masticare, accumulate sotto ai piani erano come piccole isole appiccicose da toccare, distese di fiori rovesciati, petali appassiti, paesaggi contrari e stalattiti decadenti. Da queste confidenze nasce l’uso del chewing-gum come materiale da esplorare e trasformare attraverso il corpo. L’intimità e l’opera sono venute insieme al mondo.
Flowers and Spiders (Vanitas, Memento Mori), Trash series 2018, chewing-gum, saliva. Rendez-vous, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Musées Oldmaster Museum, Bruxelles (B), collezione privata Photo credits: Elena Foresto
A - Pensi che esista una consapevolezza che passa per la storia dell'Arte, dalla pittura al disegno. Trovi da commuoverti guardando opere del recente passato?
SF - Credo sia necessario -prima di riflettere e valutare discipline legate da concetti comuni- avere la consapevolezza di sapere dove ci troviamo, quale posto stiamo occupando nella vita che abitiamo ed essere consci delle nostre origini. L’assimilazione e l’accettazione totale di queste consapevolezze del tutto private -ma che influiscono attivamente nella distorsione o nell’autenticità della nostra vita sociale- probabilmente, possono negarci o donarci la possibilità di commuoverci di fronte ad un’opera d’arte di qualsiasi epoca.
A - Come sta cambiando il tuo lavoro? C'è più caos, invenzione, più pathos? Maggiore concentrazione -
da un’attitudine aliena alla vita ordinaria e all’intrattenimento?
SF - Non so come stia cambiando il mio lavoro, semplicemente si trasforma con me. È l’ordine (o il disordine) naturale delle cose.
A - Ti senti più libera ora di fare quello che vuoi? L'Arte è un modo per essere soggettivi, giudici, arbitri e critici, insieme? E in accordo, trovarvi un'emozione potente o un continuo svelamento?
SF - Non mi sono mai sentita libera, sono da sempre prigioniera di me stessa come ogni artista, probabilmente. L’arte non è altro che la mia condanna e la mia grazia insieme e come tale, attraversa ogni ambito, ogni concetto e emozione presenti nella mia vita.