Sonia Boyce, nata Londra, 1962, ha avuto un ruolo di
apripista nel creare uno spazio nella storia dell’arte alla
soggettività femminile nera nel Regno Unito. Impostasi grazie
alle sue provocatorie rappresentazioni di situazioni sociali di
grande intimità, in questa mostra esplora il modo in cui ascoltare
l’espressione vocale di libertà, immaginazione e giocosità possa
generare nuove possibilità per il futuro.
Sonia Boyce è una figura chiave del Black Arts Movement in
Gran Bretagna negli anni Ottanta, e in tutta la sua carriera ha
sempre perseguito la ricerca di nuovi mezzi espressivi. I suoi
primi disegni e collage riflettevano la sua esperienza in chiave
razziale e di genere nell’ambito della diaspora afro-caraibica
in Gran Bretagna. Dagli anni Novanta, Boyce ha cominciato a
coinvolgere una serie di collaboratori e ora il suo lavoro utilizza
fotografia, video e installazione.
La sua attenzione si concentra
sulla rappresentazione dell’identità, e sul piacere o sul disagio che
nascono quando le convenzioni sociali sono ribaltate da eventi
inattesi. Il suo interesse primario è osservare “il modo in cui
rispondiamo … come impariamo, ascoltiamo, come assistiamo
allo sviluppo dei rapporti con gli altri”.
Installation view, The Devotional Collection - 2022, British Pavilion, 2022
Per
Feeling Her way Boyce ha affermato “Ciò che desidero nel
farvi incontrare è indagare come possiate sentirvi liberi. Che
tipo di condizioni vi servono per sentirvi liberi di esprimere
voi stessi quando non siete limitati da ciò che gli altri pensano
che dovreste o potreste essere? Cosa significa sentirsi liberi … e
come potreste comportarvi?”
Feeling Her Way è una vibrante installazione incentrata sulle
performance vocali di cinque musiciste nere.
Attraverso una serie di video con filtro colore incontriamo
Errollyn Wallen, Jacqui Dankworth, Poppy Ajudha, Sofia
Jernberg e Tanita Tikaram. Le imperfezioni tecniche e i contrasti
stilistici nei suoni, nelle immagini e negli oggetti sono presentate
come espressioni della creatività e della vita reale. Una vistosa
carta da parati con motivi a incastro rappresenta elementi distinti
che si collegano attraverso azioni collaborative, creando un
legame tra le sale del padiglione. Oggetti geometrici dorati fanno
riferimento al minerale della pirite, forme cristalline uniche che
si producono in tutto il mondo. Eppure la pirite è chiamata “l’oro
degli stolti”, un’espressione di origine coloniale che la relega nel
campo di ciò che è “altro,” sollevando interrogativi sull’abitudine
di giudicare attraverso un confronto in chiave negativa. Nelle
gallerie laterali, le diverse cantanti sono state invitate a esprimersi
liberamente, esplorando gli aspetti peculiari delle loro voci. Una
raccolta di memorabilia di ambito musicale, parte della collezione
in continua espansione di Sonia Boyce, documenta il contributo
transnazionale delle musiciste nere britanniche.
La video installazione centrale documenta l’incontro delle
cantanti agli Abbey Road Studios, dove improvvisano insieme
per la prima volta. Errollyn Wallen guida spontaneamente le
diverse artiste ad immaginarsi sotto forma di oggetti e animali.
Scoprendo gioiosamente le rispettive voci. Un canto efficace
richiede sia immaginazione sia l’uso ottimale di ogni singolo
respiro, cosa particolarmente rilevante in questi ultimi tempi, in
cui sia respirare sia improvvisare insieme in condizioni incerte
hanno assunto un’importanza particolare.
British Pavilion featuring four performers - Errollyn Wallen, Tanita Tikaram, Poppy Ajudha, Jacqui Dankworth – 2022 – Image, Cristiano Corte
Feeling Her Way
Sala 1
La cornice teatrale creata da Sonia Boyce, composta da carta da parati con
motivi a incastro e da sedute dorate riflettenti, fa da sfondo a quattro video che
mostrano Ajudha, Dankworth, Tikaram e Wallen insieme nel famoso Studio
Two degli Abbey Road Studios di Londra.
Boyce ha proposto l’improvvisazione quale opportunità per la libera
espressione tra musicisti. La pluripremiata compositrice Errolyn Wallen, OBE
(Belize, 1958), guida le cantanti, che si impegnano ad ascoltarsi attivamente e a
reagire senza inibizioni, e in pochi minuti, passo dopo passo, con spontaneità,
le conduce oltre la sicurezza dei loro stili vocali perfezionati e levigati, in uno
spazio di umorismo, disagio, piacere e sperimentazione sfrenata. Siamo
testimoni diretti del modo in cui l’immaginazione – diventare un essere diverso
– si manifesta nei loro corpi e si esprime attraverso il respiro, che stabilisce
i parametri del brano acustico: un gioco di chiamata e risposta in cui le
vocalizzazioni delle cantanti si fanno sempre più libere e giocose.
British Pavilion featuring performer Jacqui Dankworth – 2022 – Image Credit – Cristiano Corte © British Council
Jacqui Sala 2
Jacqui Dankworth MBE (Regno Unito, 1963) è apprezzata per la sua vocalità
ricca di risonanze, che fonde jazz, folk e rhythm and blues. L’accuratezza
della sua intonazione, dizione e interpretazione lirica testimonia della sua
precedente carriera di attrice con la Royal Shakespeare Company.
Il poetico testo di ‘Reach Out’ (2021) ci fa capire come Dankworth abbia
interiorizzato i saggi consigli di sua madre, Cleo Laine, una delle migliori
cantanti jazz del mondo. Dankworth attribuisce il successo della madre alla sua
radiosa energia, perciò l’ha interrogata sul segreto della sua vitalità. Cleo Laine
ha risposto: “Devi immaginare che ci sia una luce … che sia sempre lì, e che tu ti
debba spingere a toccarla.”
Per il suo ultimo verso, Dankworth crea il suono di un rintocco di campana
da singole note stratificate attraverso il playback registrato della sua stessa
voce. Da una sala vicina, la voce di Sofia Jernberg risponde ai rintocchi in un
apparente duetto.
British Pavilion featuring performers Jacqui Dankworth and Sofia Jernberg – 2022 – Image Credit – Cristiano Corte © British Council
Sofia & Jacqui
Sala 3
Sofia Jernberg (nata in Etiopia nel 1983) è un’acclamata compositrice e solista
di jazz, musica classica e sound art. La sua straordinaria voce, caratterizzata da
una grande estensione, è perfettamente intonata, ma lei sceglie di sabotarla con
suoni astratti mentre il suo corpo diventa uno strumento musicale. Jernberg
combina con precisione suoni elettronici, versi animaleschi, canto di gola e
brani folk influenzati dai luoghi in cui ha vissuto – Nord Europa, Vietnam ed
Etiopia – tutti parte della sua idea di sé quale “essere internazionale”.
Su uno schermo, attraverso un filtro arancione luminoso, vediamo Jernberg
vocalizzare da sola fino a quando Dankworth interviene per un minuto con
una nota ripetuta. In questo breve duetto, entrambe le cantanti producono
suoni astratti mentre immaginano le loro voci emulare suoni non umani. La
vocalizzazione preregistrata della Dankworth è la sua imitazione di una singola
nota di una campana da chiesa, originariamente registrata come parte della sua
performance nella galleria adiacente.
British Pavilion featuring the Devotional Collection - 2022 - Image Credit – Cristiano Corte © British Council
Devotional
Sala 4
Feeling Her Way nasce dalla Devotional Collection di Sonia Boyce (iniziata
nel 1999). Archivio in continua crescita, la collezione documenta il contributo
culturale delle musiciste nere britanniche alla cultura internazionale. Spiega
Boyce: “oltre trecento artiste sono state nominate da membri del pubblico …
come forma di costruzione della conoscenza collettiva; la lista dei nomi inizia
dalla metà del XIX secolo”.
Da un capo all’altro della parete rivestita di carta da parati dorata viene
presentata una selezione di oggetti raccolti nel corso di sei mesi nel 2021.
Fotografie di cantanti illustrano le copertine di album da 12″, singoli da 7″,
cassette e CD, tutti nella loro confezione originale (comprese le etichette con
il prezzo scontato). Ogni esemplare è collocato su forme dorate che replicano
le geometrie organiche della pirite. I visitatori della mostra possono vedersi
riflessi sulla parete dorata, a formare un pubblico essenziale ma anonimo.
Boyce include i suoi ritratti serigrafati di Ajudha, Dankworth, Jernberg,
Tikaram e Wallen, rendendo omaggio alla loro collaborazione a questo progetto.
Per Boyce è fondamentale riconoscere che mentre le voci delle cantanti nere
britanniche formano la colonna sonora della vita emozionale di milioni di
persone, l’identità di queste donne, vive o morte che siano, è spesso ignorata.
British Pavilion featuring performer Poppy Ajudha - Image Credit– Cristiano Corte © British Council
Poppy
Sala 5
Poppy Ajudha (nata nel Regno Unito nel 1995) è da poco salita alla ribalta della
scena jazz underground del sud-est di Londra. Il suo suono è infuso di jazz,
soul e R&B, la sua musica è informata dal suo pensiero su politica, genere e
razza. La sua tecnica, costruita in gran parte come autodidatta, è connotata dal
caratteristico modo di sfumare l’inizio e la fine delle parole. Intriso di blues,
il suo brano a cappella “Demons” combina uno stile vocale supplicante con un
testo sottilmente intimo, richiamando la vulnerabilità presente in ognuno di noi.
Riflettendo su questa prima esperienza di canto a cappella, Ajudha ha
affermato di essersi concentrata più che mai sull’espressione emotiva delle
note. Dopo aver cantato nello Studio Two di Abbey Road, reso famoso dai
Beatles, ha osservato che “le pareti di quello studio hanno visto tanti artisti
incredibili, ispirati e innovativi cantare il loro lavoro più intimo ben prima che
arrivasse a significare qualcosa per gli altri”.
the British Pavilion featuring performer Tanita Tirkaram, 2022 - Image Credit – Cristiano Corte © British Council
Tanita
Sala 6
Tanita Tikaram (nata in Germania nel 1969) è una cantautrice pluripremiata
dallo stile pop-folk ricco di un’intensità trasmessa attraverso la sua voce bassa
e morbida. Feeling Her Way è la prima improvvisazione vocale di Tikaram, che
parla della sessione di gruppo come di un’esperienza “sorprendente, perché c’è
così tanta fiducia in quella situazione … voglia di unirsi e stare insieme. Forse
questo è lo scopo della musica, e di qualsiasi attività creativa: trovare in qualche
modo un terreno comune”.
Per il pezzo solo, Tanita Tikaram ha messo mano al pianoforte Steinway
degli Abbey Road Studios e ha creato spontaneamente una sequenza
di segmenti di canzoni originali. Come testimoni privilegiati di questa
straordinaria sessione di composizione libera, possiamo notare alcune note
eccentriche, che sottolineano il percorso della creazione di qualcosa di nuovo
in un flusso innovativo. In seguito, Tanita ha ricordato il senso di libertà
trovato nel processo di improvvisazione vocale, in cui “l’unico limite è la
tua immaginazione”.
Artist Sonia Boyce standing at the British Pavilion, 2022 – Image Credit – Cristiano Corte
Sonia Boyce
La Biennale Arte 2022 di Venezia
Hai accennato a come sia stata una sfida proiettarsi nello spazio della Biennale di Venezia. È dovuto a chi è stato scelto in passato? O forse su come le persone hanno messo in dubbio la tua nazionalità?
La maggior parte degli artisti che ho visto al Padiglione Britannico sono artisti che ammiro molto, che sono sulla scena internazionale già da tempo. E poiché non mi sono mai posta in questa modalità, non che non abbia realizzato mostre in tutto il mondo, semplicemente non ho indirizzato la mia carriera in quel senso.
[Fino a poco tempo], non sono stata così impegnata nelle questioni di nazionalità e appartenenza. Ma ho davvero iniziato a pensare all'anacronismo di avere padiglioni nazionali quando l'arte va contro quel genere di idee specie sulla nazionalità. È solo dopo l'invito che la gente torna a chiedermi della Gran Bretagna. Ci sono molti tipi di domande all'interno di questa questione. Penso che parte della domanda, così come mi viene posta, riguardi come essere Black e Britannico e cosa significa "portare una bandiera"?
Mentre crescevo, mi veniva chiesto: "Oh, da dove vieni?" e io dicevo "Sono nata a Londra". E la gente poi diceva: "Oh no, no, no, da dove vieni davvero?" "Beh, ti ho appena detto da dove vengo davvero." La verità è che sono nata a Londra e ho vissuto la stragrande maggioranza della mia vita nel Regno Unito, questo è un dato di fatto.
Hai parlato di una certa pressione avvertita nel creare qualcosa che rappresenti le diverse sfaccettature del fare Arte nel Regno Unito. Come gestisci questa pressione? In che modo in definitiva questo modella il tuo approccio?
È un'impossibilità, tanto per cominciare. Penso che questa sia una domanda sull'onere della responsabilità. Kobena Mercer ha scritto un grande saggio nel 1994 intitolato "Black Art and the Burden of Representation", su come ci sia una responsabilità riposta sulle spalle degli artisti neri nell'essere rappresentativi, e per loro di portare il peso di tutti gli artisti neri, di tutti i neri, senza il loro consenso.
Per me, ciò che importa è cosa faccio, in qualche modo; perché sono lì come un frammento di "tutti". Ciò significa anche che non devi soffermarti su nessun altro perché questa cifra li rappresenta "tutti". "Sono tutti uguali", in pratica. Le implicazioni sono davvero problematiche, in particolare nel contesto di questo ambito, che riguarda l'espressione individuale e la ricerca di nuove basi. Quello che facciamo come artisti è trovare nuovi spazi. Per poi venire costantemente trascinati in posti dove nemmeno importa quello che fai.
Pensando alla discussione sulla narrativa curatoriale per l'intera biennale, mi aspetto un contraccolpo: “tutte queste donne”; “tutti questi neri”; “non è mai accaduto?”; “quando potremo tornare alla normalità?”.
Sei stata onesta riguardo la tua trepidazione per la mostra di Venezia, dicendo in particolare che eri preoccupata che poteva essere un fallimento. Cosa significano successo e fallimento in questo contesto?
Il fallimento è all'interno di tutti i miei progetti perché c'è un rischio enorme per il lavoro che faccio. A volte l'opera cade a terra perché sto mostrando un'opera in corso di realizzazione, il che è leggermente diverso se fossi un pittore o uno scultore, dove potrei realizzare una serie di dipinti e tenere solo quelli che sulla parete funzionano davvero bene. La natura stessa della mia pratica è che si sta svolgendo davanti a me e io mi impegno nel farla funzionare nel miglior modo possibile. E poiché è sempre senza copione e tutto improvvisato, non so mai cosa emergerà o come tratterò il materiale che si presenta durante il processo.
...
Da un punto di vista personale, diresti che hai già raggiunto un certo successo per il semplice fatto di essere stata selezionata, nel senso che questo aiuterà il tuo impegno nel dare un pubblico più vasto a questa esperienza?
Ci sono artisti esposti a Venezia mostrati già molte volte. È la mia seconda volta che vengo invitata alla Biennale di Venezia. Artisti famosi continuano ad essere esposti non solo a Venezia ma in molti luoghi del mondo. È così che funziona il lavoro. Se pensiamo in termini di libri, quanti libri ci sono su Cézanne? O quanti libri ci sono su Picasso? Ora può darsi che Picasso abbia esposto a Venezia, ma questo non gli ha impedito di essere mostrato e celebrato più volte, come riscontro per l'interesse al suo lavoro.
Il successo nelle arti non è una cosa occasionale. È un crescente senso di interesse per un modo di procedere di un particolare artista, e quel valore accresce.
...
Hai passato molto tempo a lottare per il tuo riconoscimento all'interno di certe pratiche formaliste. Quali sono gli artisti con cui ti consideri in dialogo?
Gli artisti a cui torno sempre sono Lygia Clark, David Medalla, William Morris, Andy Warhol, Susan Hiller.
Si potrebbe dire che ho questi due modalità: una riguardo la forma e le discussioni sulla processualità sono parte del lavoro, quale forma e aspetto assume l'opera. E poi c'è il contenuto. C'è sempre questa danza tra materia e forma per me.
Perché credi che le persone continuino a "metterti da parte" o incasellarti in base a ciò che stavi facendo negli anni '80 durante il movimento British Black Arts, che, come hai detto, è durato solo circa 3 anni?
Perché è stata una esplosione inaspettata nel Regno Unito e ho avuto la fortuna di esserne parte in mostre e in dialogo con persone che molto rapidamente sono state riconosciute. Questa ondata di artisti del Black Arts Movement è arrivata e se n'è andata abbastanza rapidamente, e poi è diventata underground ed è riemersa, ma non necessariamente chiamandosi più Black Arts Movement. Così la gente non sa come sono passata da quello che facevo allora a quello che faccio adesso, perché quello che faccio adesso non rientra facilmente nei termini di Black Art nel modo in cui era presentata negli anni '80. Sono stata inserita in esposizioni in molti posti e in tutto il mondo e il lavoro ha preso piede in una direzione leggermente diversa, molto più allineata all'arte come pratica sociale. Ma non c'è un gruppo identificabile per l'arte come pratica sociale all'interno del quale io mi collochi, così la gente non sa bene dove collocarmi.
Non so cosa la gente si aspetta dalla Biennale di Venezia di quest'anno. Per me, basandomi sulla visione di Cecilia Alemani, ciò che percepisco è che si tratta di accendere la prospettiva che possiamo immaginare diversamente. Ma penso che la narrazione che le persone vorranno portare via è la considerazione che questo è il periodo femminista, quando in realtà il lavoro riguarda solo l'immaginazione.
Padiglione della Gran Bretagna alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia