La Biennale di Venezia
18. Mostra Internazionale di Architettura
Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri
“Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri” (1) è il titolo del Padiglione Italia alla 18. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della cultura e curato da Fosbury Architecture (Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino e Claudia Mainardi).
“Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri” porta al centro del Padiglione Italia un processo collaborativo ad ampio spettro,
un progetto inclusivo che coinvolge figure di eccellenza e comunìtà locali, mettendo in scena le migliori ricerche portate avanti
da architetti italiani under 40 in relazione a specifiche necessità territoriali.
Per la prima volta, infatti, il Padiglione Italia è stato interpretato dai curatori come l’occasione per realizzare nuovi progetti: un
attivatore di azioni concrete a beneficio di territori e comunit̀ à locali, oltre l’idea che una mostra debba essere solo
“esibizione”. Per questa ragione una parte consistente dei fondi pubblici destinati al Padiglione è stata utilizzata per innescare
nuovi processi o potenziare progetti esistenti aggiungendovi un nuovo capitolo.
Fosbury Architecture ha individuato e invitato a collaborare nove pratiche spaziali, progettisti chiamati a sviluppare nove
progetti pionieri per il Padiglione Italia: nove pratiche di architettura – architetti o gruppi italiani under 40 rappresentativi di
ricerche originali, attivi in Italia e all’estero – selezionate in base all’attitudine con cui operano, i territori in cui intervengono, i mezzi che utilizzano, le questioni che sollevano e le risposte che suggeriscono, e che rappresentano un elenco, seppure
incompleto, di professionisti italiani che lavorano lungo il perimetro di ciò che è considerato oggi architettura.
Per rendere i nove progetti dei prodotti transdisciplinari genuini, i curatori hanno affiancato a ciascun progettista un advisor,
proveniente da altri campi della creativìtà: artisti visivi e performer, esperti di alimentazione e di intelligenza artificiale, scrittori e registi.
Sono state poi individuate nove stazioni, siti rappresentativi di condizioni di fragilit̀ à o trasformazione del nostro Paese, dove
ciascun gruppo transdisciplinare è stato chiamato a intervenire. Infine, ciascun gruppo di progettazione ha collaborato e
collaborer̀ à con una serie di incubatori – attori locali come musei, associazioni, festival culturali – con l’obiettivo di radicare
ciascun progetto nel territorio di riferimento.
In questo modo i nove progetti legati al Padiglione Italia vanno a configurare le tappe di un’inedita geografia, diventando mete
simboliche di un rinnovato Viaggio in Italia.
Padiglione Italia, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Courtesy of © Fosbury Architecture
Il lavoro di ciascun gruppo risponde a una serie di temi urgenti per il contesto italiano e la disciplina in generale: domande
aperte, riconducibili allo scenario di transizione – non solo ecologica – che ci troviamo ad affrontare in questi anni; sfide
‘impossibili’ se prese a livello globale ma che affrontate nei contesti locali sono in grado di produrre riscontri immediati e
tangibili.
A Taranto la convivenza con il disastro viene raccontata sui tetti della città dal collettivo Post Disaster in dialogo con Silvia
Calderoni e Ilenia Caleo.
Nella Baia di Ieranto, oasi naturalistica del FAI nei pressi di Napoli, gli architetti BB – Alessandro Bava e Fabrizio Ballabio –
con Terraforma Festival mettono in scena la riconciliazione con l’ambiente.
A Trieste la coesistenza multiculturale viene analizzata lungo il confine italo-sloveno da Giuditta Vendrame con Ana
Shametaj.
A Ripa Teatina, in provincia di Chieti, gli HPO con Claudia Dura- stanti coinvolgono la comunìtà nel recupero del patrimonio
incompiuto.
Nella terraferma veneziana, tra Mestre e Marghera, i Parasite 2.0 con Elia Fornari affrontano il tema dell’inclusione sociale
lavorando sulla democratizzazione delle attivìtà ricreative.
A Cabras, in Sardegna, il gruppo Lemonot lavora con Roberto Flore sulla transizione alimentare.
A Librino, quartiere di Catania, Studio Ossidiana collabora con Adelita Husni Bey a un progetto di rigenerazione delle
periferie.
A Belmonte Calabro, a rappresentare le aree interne italiane, il collettivo Orizzontale con Bruno Zamborlin si interroga sul
superamento del divario digitale.
Infine, nella piana fra Prato e Pistoia, i progettisti (ab)Normal e CAPTCHA in collaborazione con Emilio Vavarella investigano i
limiti della tutela del paesaggio e della sua riproducibilìtà.
Per estenderne la prospettiva temporale e convertire il consumo di risorse in un investimento, la mostra si articola in tre
momenti. Il primo è stato “Spaziale presenta”: l’osservatorio che ha monitorato l’attivazione degli interventi site-specific. Il
secondo è “Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri”: che incarna nelle Tese delle Vergini la sintesi formale e teorica dei
processi innescati altrove. Il terzo è “Spaziale”: un archivio che documenterà le attività locali, il public program ufficiale e che
diventerà poi piattaforma permanente.
Taranto, DSL Studio, Piercarlo Quecchia, Padiglione Italia, La Biennale di Venezia Courtesy of © Fosbury Architecture
Ognunə appartiene a tutt3 l3 altr3(2)
Fosbury Architecture
Quasi per definizione una mostra d’architettura serve a sollevare questioni strategiche, i progettisti invitati contribuiscono a
rafforzarne la tesi e il curatore a storicizzare il fenomeno. Non ci sottrarremo a questo compito; ma non ci preme tanto di rendere
universale un’intuizione, quanto di restituire un’istantanea di un ‘movimento’ – ancora inconsapevole in Italia – che registriamo,
del quale facciamo parte, che sta maturando i primi frutti e che forse diventerà qualcosa, o forse la montagna partorirà un
topolino (3). In ogni caso, questa del Paglione Italia sarà stata l’occasione per trasformare in azione tutte le energie chiamate a
raccolta.
Rappresentiamo una generazione cresciuta in un contesto di permacrisi (4). Il neologismo, eletto nel 2022 parola dell’anno dal
dizionario Collins, esprime una dimensione ricorrente di eventi catastrofici che descrive perfettamente il quadro congiunturale
del ventennio passato. Dopo il rischio scampato del
Millennium bug, il secolo è iniziato con l’attentato dell’11 settembre 2001 alle
torri gemelle: la crisi dell’Occidente in diretta televisiva. Ci siamo iscritti all’università a cavallo della crisi finanziaria del 2007–2008 e, una volta laureati, abbiamo cercato lavoro tra le rovine del mercato. Negli ultimi due anni, come tutti, siamo rimasti
confinati in casa. Oggi la crisi energetica, domani quella ambientale; e questa è solo una parziale rappresentazione della realtà. Al
disagio occidentale dobbiamo sommare la crisi umanitaria che ci circonda, quella geopolitica che bussa alle porte e tutti quei
disastri che ci colgono costantemente impreparati.
La Terra Delle Sirene, Padiglione Italia, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Courtesy of © Fosbury Architecture
I risvolti globali hanno prodotto degli evidenti contraccolpi sulla nostra professione e, se la stagione dell’esuberanza
architettonica è terminata con la crisi del 2008 (5), la pandemia ha esacerbato la coscienza diffusa dell’esaurimento totale di
risorse (6). Queste mutate condizioni al contorno, anziché aiutarci a serrare i ranghi, hanno prodotto una ritirata strategica. Come ci
suggerisce Rory Hyde in
Future Practice: “Tutte le crisi hanno conseguenze spaziali che gli architetti sono ben preparati ad
affrontare, eppure, invece di tuffarcisi, sembra che stiamo vivendo la nostra crisi: una crisi di rilevanza (7)”. Il rischio evidente è che
l’ennesimo discorso interno alla disciplina ci faccia perdere di vista come l’architettura, anziché soluzione, sia spesso parte del
problema.
I dati non producono empatia, ma anche quelli più banali, quando interpolati, restituiscono un quadro singolare dello stato
dell’arte. Da un lato, il settore delle costruzioni è responsabile a livello mondiale del 39% della quantità di anidride carbonica
dispersa nell’aria, del 36% del consumo di energia elettrica, del 50% dell’estrazione di materie prime e del 33% del consumo di
acqua potabile (8); dall’altro (specialmente nel nostro paese), all’aumentare del consumo di suolo (9) corrispondono una contrazione del mercato potenziale intercettato (10) e un’insoddisfazione cronica degli addetti ai lavori (11) . Una relazione inversamente
proporzionale tra crescita e sviluppo che pone le basi per un’inedita alleanza tra ambiente e operatori del settore. L’occasione per
l’architettura di evolvere, anche solo opportunisticamente, per non soccombere.
Padiglione Italia, General View, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Ph. Delfino Sisto Legnani
Esiste una generazione di nativi sostenibili che a nostro avviso ha già accettato la sfida e tenta quotidianamente di sviluppare
anticorpi alla disillusione. Quelli che definiremo ‘
Spazialisti’ – mediatori creativi tra pragmatismo ed emozione (12) –, sono coloro
che sfruttano gli strumenti codificati della progettazione per mettere in discussione le condizioni sociali dei luoghi in cui
intervengono. Abituate per formazione a operare in un regime di scarsità, queste pratiche coltivano la transdisciplinarità come
mezzo per espandere i limiti dell’architettura a campi finora poco esplorati. Spazialisti, oltre le particelle catastali; oltre la ricerca dell’invenzione, della novità, per riscoprire lo
spazio come luogo fisico e simbolico, sistema di riferimenti conosciuti e territorio delle possibilità.
Numerosi esempi del presente e del recente passato (13) , la stessa nomina di Lesley Lokko (14) come curatrice della Biennale
Architettura 2023 e i riconoscimenti ricevuti dai progettisti invitati (15) a
Spaziale confermano che la ‘tendenza’, poco più che una
nicchia nel vasto panorama disciplinare, è già realtà. Questo fenomeno, rilevabile a tutte le latitudini, in Italia affonda le radici
nell’architettura radicale degli anni Settanta, ispirandosi spesso esplicitamente a esperienze collettive come quella di Global
Tools (16): un incredibile momento di democratizzazione della creatività. In un contesto di trasformazioni per molti versi simili a
quelle che stiamo vivendo oggi, l’alleanza tra architetti, attivisti politici e intellettuali ha giocato un ruolo fondamentale nella
rivoluzione culturale che per gli anni a venire ha contribuito ad accrescere la percezione del design italiano come eccellenza
assoluta.
Padiglione Italia, General View, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Ph. Delfino Sisto Legnani
Le similitudini con il passato però finiscono qui. Gli anni Settanta, pur segnati dalla crisi petrolifera, sono stati seguiti dalla rapida ripresa del mercato neoliberale – offrendo così nuovi ambiti in cui tradurre in pratica le teorie e gli approcci emersi–, mentre il decennio successivo alla crisi finanziaria del 2008 non ha certo beneficiato di un simile rimbalzo. Anche quelli che poi sono
diventati archistar all’inizio della loro attività hanno prodotto in gran parte ricerca; ma la centralità della ricerca per la generazione post-2008 non ha coinciso con la costruzione di manufatti, quanto piuttosto con la produzione di pensiero e azioni per
fronteggiare le contingenze della contemporaneità. La definizione stessa della forma di collaborazione professionale, per gli
Spazialisti, è diventata un progetto in sé. Una contro-tattica alle strutture piramidali, come sostiene Charlotte Malterre-Barthes,
che promuove un approccio femminista, intersezionale e orizzontale. Perché: “In definitiva, è solo ripensando le strutture
operative interne ai nostri studi professionali malridotti che l’ambiente complessivo potrà essere risanato (17)”.
Sebbene il termine ‘curatore’ abbia etimologicamente la sua base nella teologia, riferendosi alla funzione ecclesiastica di
prendersi cura delle anime, oggi questa missione sembra essersi fortunatamente ridimensionata. Allontanandosi da una
posizione autoriale, il curatore è piuttosto un intermediario tra istituzioni e pubblico, ma anche una figura in grado di assorbire e
metabolizzare le questioni urgenti, e di intervenire quando necessario. Fleur Watson in
The New Curator18 sostiene che nell’ultimo
decennio si sia assistito a un tale assorbimento del verbo ‘curare’ nel lessico comune da far sì che venga utilizzato per descrivere
anche le azioni più quotidiane: un
détournement (19) che Mary Anne Staniszewski, cogliendo lo spirito del tempo, descrive come ‘euforia curatoriale’. Parallelamente possiamo osservare come la curatela sia oggi largamente diffusa e praticata da professionisti
dai background più diversi. Per noi, nel tempo, la pratica curatoriale si è dimostrata un potente strumento per passare
dall’archiviazione all’azione. Riconoscendole una dimensione necessariamente etica, abbiamo deciso di utilizzare il Padiglione
Italia come pretesto per attivare progetti pionieri, azioni concrete che vadano oltre la durata semestrale della Biennale. In questo
processo complesso e lirico, il nostro ruolo è stato quello di facilitatori tra diverse costellazioni di agenti e promotori di una rete
di migrazioni delle intelligenze al servizio di un progetto condiviso.
Concrete Jungle, Melania Dalle Grave, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Courtesy of © Fosbury Architecture
L’etica è al centro del discorso anche quando ci si interroga sul senso e l’impatto degli eventi temporanei di questa portata: siano
essi mostre, sfilate, concerti, eventi sportivi o fiere; processi estrattivi che dissipano una grande quantità di energie e risorse. Per
continuare a celebrare momenti di confronto e contaminazione in maniera sostenibile, è ormai urgente ripensarne drasticamente formati, flussi e temporalità.
Per convertire il consumo in investimento e il fine in un inizio (20),
Spaziale si articola in tre momenti. Il primo è ‘Spaziale presenta’:
nel periodo precedente l’apertura della 18. Mostra Internazionale di Architettura, l’osservatorio ha monitorato l’attivazione di nove
interventi site-specific in nove luoghi scelti del territorio italiano. Il secondo è ‘Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri’: la
mostra incarna, all’interno del padiglione, la sintesi formale e teorica dei processi innescati altrove. Il terzo è ‘Spaziale’: la
piattaforma verrà lanciata dopo l’inaugurazione come laboratorio incrementale con una prospettiva a lungo termine.
Parallelamente all’espansione del programma, si è scelto di operare una contrazione dell’allestimento e un dislocamento delle
risorse. Per questo, oltre a definire il ciclo di vita di tutti i materiali utilizzati, abbiamo deciso di lasciare la prima metà del padiglione completamente vuota. Un’operazione che ci permette di utilizzare solo la superficie strettamente necessaria e magnificare le
qualità intrinseche di uno spazio che viene sistematicamente saturato dai contenuti che ospita. Per la prima volta, e grazie al
supporto della Direzione Generale Creatività Contemporanea, la mostra svolge un ruolo attivo nella produzione dei progetti locali,
permettendoci di dire che a Venezia il Padiglione Italia si ridimensiona, ma si diffonde in tutto il paese.
Sea Changes Padiglione Italia, 18. Mostra Internazionale di Architettura, Photo by: Marco Zorzanello, Courtesy: La Biennale di Venezia
Spazialisti, il termine utilizzato fino a qui per descrivere gli architetti invitati, è una pessima traduzione della definizione coniata
da Jane Rendell di ‘
critical spatial practices’, ovvero: “agenti che operano alla triplice intersezione tra teoria e pratica, pubblico e
privato, arte e architettura (21)”. Il semplice fatto che non esista ancora una traduzione ufficiale in italiano ci restituisce un quadro di scollamento tra il nostro paese e il resto del mondo. In questo volume, anche grazie al contributo di dpr-barcelona (22) in dialogo
con Markus Miessen e Anna Puigjaner, emerge chiaramente che per codificare nuovi approcci si debbano impiegare nuovi
linguaggi. Non utilizzare strumenti classici per un architetto può risultare tanto destabilizzante quanto non usare le parole per
esprimersi ma, come sempre, è proprio nello smarrimento che cambiano i paradigmi (23). Non vedere l’Architettura in un progetto
non significa che questo ne sia sprovvisto, ma semplicemente che non ci sono ancora gli strumenti, nel nostro caso nemmeno
quelli normativi, per riconoscerla e descriverla.
Ecco perché i progetti selezionati interpretano con una leggerezza calviniana (24) un’agenda di temi di ricerca urgenti per il contesto
nazionale e per la disciplina: domande aperte, riconducibili allo scenario di transizione – non solo ecologica – che ci troviamo ad
affrontare in questi anni. Per ciascun intervento l’invito è stato quello di concentrarsi su uno dei seguenti punti: convivenza con il
disastro, riconciliazione con l’ambiente, coesistenza multiculturale, recupero del patrimonio incompiuto, inclusione sociale,
transizione alimentare, rigenerazione delle periferie, superamento del divario digitale e tutela del paesaggio. Un elenco
incompleto di sfide ‘impossibili’ presenti nel dibattito da decenni, iperoggetti (25) o meglio elefanti nella stanza da far tremare i polsi, ma che – alla scala delle microstorie dei contesti locali – sono in grado di produrre dei riscontri tangibili.
La Casa Tappeto, Ph. Piercarlo Quecchia, Padiglione Italia, 18. Mostra Internazionale di Architettura, Courtesy of © Fosbury Architecture
La definizione dei temi ha guidato la selezione di altrettanti progettisti under 40, che nella pratica quotidiana sviluppano ricerche
indipendenti e attinenti alla nostra proposta curatoriale. Individuati in base all’attitudine con la quale operano, ai territori nei quali intervengono, ai mezzi che utilizzano, alle questioni che sollevano e alle risposte che suggeriscono, sono stati chiamati a
sviluppare per il Padiglione Italia delle azioni site-specific. Ovvero le opere in mostra sono un’astrazione dei progetti collaborativi
avviati nelle nove Stazioni locali. A ciascuna pratica è stato associato un Advisor: nove professionisti a supporto dei progettisti,
provenienti da diversi campi delle industrie creative, capaci di informare e potenziare i progetti in corso, rendendoli un evidente
prodotto transdisciplinare. Le installazioni sono state realizzate in siti rappresentativi di condizioni di fragilità o trasformazione
del nostro paese: nove Stazioni di un’inedita geografia italiana, mete simboliche di un rinnovato Viaggio in Italia. Ogni
collaborazione è stata supportata da uno o più interlocutori locali: istituzioni pubbliche o private come musei, festival musicali,
festival di cinema e associazioni culturali, che in veste di Incubatori hanno contribuito a radicare i progetti nelle Stazioni selezionate.
Padiglione Italia, General View, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Ph. Delfino Sisto Legnani
Nel 1932 Aldous Huxley pubblica la prima edizione de
Il mondo nuovo (26). Il libro descrive un futuro distopico nel quale ogni aspetto
della vita è pianificato in funzione della stabilità. L’umanità, riprodotta in provetta, ha ceduto ogni forma di libertà in favore del
benessere, e viene controllata tramite la somministrazione di droghe e l’appagamento dei piaceri. Alcuni gruppi di uomini ‘liberi’
sopravvivono in riserve naturali e sono utilizzati come attrazione turistica.
Il protagonista è uno di loro: un ‘selvaggio’ cresciuto leggendo Shakespeare (27). La lettura critica delle storture della nostra società
è evidente, come anche l’empatia che provocano i bons sauvages, e ci si ritrova alla fine del romanzo a chiedersi a quale delle due
realtà si vorrebbe appartenere. Si instilla un’ambiguità nella preferenza che ci porta addirittura a dubitare di quale realmente sia
il ‘nuovo mondo’. Il dubbio è il protagonista di un’altra opera, questa volta un quadro del 1791, che casualmente porta lo stesso
titolo:
Il mondo novo (28) di Giandomenico Tiepolo.
Il pittore opera un capovolgimento della rappresentazione, e la calca che si affolla in primo piano ci impedisce di vedere cosa c’è
dietro. Nella frenesia dei personaggi è racchiusa una sensazione di profonda inquietudine e di fine imminente di un’epoca. Con la
stessa trepidazione e le stesse incertezze contempliamo l’orizzonte in cerca di qualche indizio che ci aiuti a decifrarne il futuro,
nella speranza che sia uno spazio in cui “Ognuno appartiene a tutti gli altri” (29).
Padiglione Italia, General View, 18. Mostra Internazionale di Architettura, La Biennale di Venezia Ph. Delfino Sisto Legnani
Note
2 Coscienti dell’argomento e delle sue implicazioni sociolinguistiche, il titolo che proponiamo è scritto usando lo schwa o scevà, nome che indica una ‘e’ ruotata di 180°, ossia ‘ə’; un simbolo adottato come nuova vocale per declinare le parole in modo inclusivo, cioè non connotato per genere. Ogni autore invitato a scrivere nella pubblicazione è stato libero di introdurre lo schwa al singolare ‘ə’ o al plurale ‘3’ come desinenza o di seguire l’uso convenzionale della lingua italiana, dotata di due generi grammaticali, dove si usa il maschile per nominare una collettività di persone di generi misti.
3 L’espressione deriva dalla locuzione latina parturient montes, nascetur ridiculus mus che, tradotta letteralmente, significa: ‘I monti avranno le doglie del parto, nascerà un ridicolo topo’ (Orazio, Ars poetica, verso 139, 13 a.C.).
4 Permacrisi, dall’inglese permacrisis; con questa parola, come riporta la medesima voce nella sezione ‘Neologismi’ di Treccani.it, si fa riferimento “a una condizione di crisi permanente, caratterizzata dal susseguirsi e sovrapporsi di situazioni d’emergenza”.
5 Sul ruolo delle crisi rispetto alla disciplina architettonica, si veda l’intervista con Mirko Zardini intitolata ‘Despair is useless’, a p. 316 di questo volume, in riferimento alla pubblicazione Federica Doglio, Mirko Zardini, Dopo le crisi: 1973, 2001, 2008, 2020, LetteraVentidue Edizioni, Siracusa 2021, p. 20.
6 Claudia Durastanti, ‘Tutto esaurito’, in Sotto il Vulcano, no. 4, agosto 2022, pp. 34–39.
7 Rory Hyde, Future Practice: Conversations from the Edge of Architecture, Routledge, New York 2013, p. 17.
8 ‘2020 Global Status Report for Building and Construction’, Global Alliance for Buildings and Construction, UN Environment Programme.
9 Dai dati del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente del 2021 emerge come nei due anni di pandemia, nonostante il rallentamento del settore delle costruzioni, in Italia si siano consumati 2,2 metri quadri di suolo al secondo.
10 Cfr. Fabrizia Ippolito, Paesaggi frantumati. Atlante d’Italia in numeri, Skira, Milano 2019, pp. 698, 702: “Secondo il CENSIS gli studi di architettura si aggiudicano solo il 16% del mercato della progettazione architettonica in Italia, secondo l’ANCE il 14%”. Un dato apparentemente esiguo, ma tra i più alti in Europa se si pensa che: “Tra i paesi che assorbono la quota maggiore del mercato potenziale dei servizi di progettazione, dopo la Germania e l’Italia si trova la Danimarca con il 13,4%, seguita dall’Olanda con il 10,6%. Turchia, Portogallo, Belgio, Svizzera e Grecia assorbono tra l’8% e il 7%. Il Regno Unito assorbe il 6,5%, la Repubblica Ceca e l’Austria assorbono intorno al 5%, la Lettonia il 4,2%, mentre la Finlandia e la Francia assorbono poco più del 3%”.
11 Ibid.: “In Italia la soddisfazione degli architetti riguardo al proprio lavoro è inferiore alla media europea”. Soprattutto perché: “In Italia gli architetti hanno un reddito medio annuo di meno di 20.000€, in Europa di circa 29.000€”.
12 Cfr. Harriet Harriss, Rory Hyde, Roberta Marcaccio (eds.), Architects After Architecture, Alternative Pathways for Practice: “in questa versione l’architetto assume il ruolo di mediatore creativo, facendo da ponte tra le diverse forme di conoscenza […] costruendo e combinando il potere emotivo con il potenziale pragmatico”.
13 Limitandoci alle esperienze europee più significative, possiamo citare: il prestigioso Turner Prize assegnato ad Assemble (Londra) nel 2015; il Swiss Art Award a studio TEN (Zurigo) nel 2018; il Leone d’Oro a Raumlabor (Berlino) nel 2021; e la vittoria del W Award per la ricerca al collettivo Part W (Londra) nel 2023.
14 Progettista, educatrice, giornalista e scrittrice di successo; per una biografia estesa: www. africanfuturesinstitute. com/ lesleylokko.
15 Tra i riconoscimenti ricevuti dagli Spazialisti menzioniamo: Parasite 2.0, vincitori del premio YAP MAXXI nel 2016; Orizzontale, Premio Giovane talento dell’Architettura italiana, bandito dal CNAPPC (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) nel 2018; Studio Ossidiana, primo premio concorso Kunstpaviljoen Flevoland 2020, Almere; Post Disaster, vincitori della terza edizione di Creative Living Lab del 2021 con il progetto PDR Ep03.
16 Valerio Borgonuovo, Silvia Franceschini (eds.), Global Tools 1973–1975: When Education Coincides with Life, NERO Editions, Roma 2019.
17 La citazione si riferisce al contributo dell’autrice a p. 324 di questo volume intitolato ‘Kill Your Darlings: perché occorre ripensare lo studio professionale per ripensare l’architettura’, sviluppato nell’ambito dell’iniziativa A Moratorium on New Construction (in uscita per i tipi di Sternberg Press nell’autunno del 2023), dove il punto no. 6 del manifesto è ‘Fix the Office’.
18 Fleur Watson, The New Curator: Exhibiting Architecture and Design, Routledge, Oxon-New York 2021, p. 13.
19 Ibid.
20 Sul tema della fine come inizio e della fine dei tempi, si veda il riferimento a François Hartog nel contributo di Nina Bassoli ‘Fate presto!’, in questo volume a p. 349.
21 Jane Rendell, ‘A Place Between Art, Architecture and Critical Theory’, in Place and Location, Proceedings of the Estonian Academy of Arts, Tallinn 2003, pp. 221–233.
22 Si veda la conversazione tra gli autori a p. 334 di questo volume.
23 In La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) Thomas S. Kuhn ci ricorda, citando a sua volta Max Planck, che: “Una nuova verità scientifica non trionfa
quando convince e illumina i suoi avversari, ma piuttosto quando essi muoiono e arriva una nuova generazione, familiare con essa”.
24 Come ci ha ricordato Sabrina Ferilli al Festival di Sanremo 2022: “Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose
dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Si veda: Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (1988), Mondadori, Milano 2002.
25 Timothy Morton, Iperoggetti (2013), NERO Editions, Roma 2018.
26 Aldous Huxley, Brave New World, Chatto & Windus, London 1932.
27 Il titolo originale del libro, Brave New World, viene dal celebre passaggio della Tempesta di Shakespeare: “O wonder! How beauteous mankind is! O brave new world that has such people in’t!” (Oh meraviglia! Com’è bello il genere umano! Oh mirabile e ignoto mondo che possiedi abitanti così piacevoli!).
28 Giandomenico Tiepolo, Il mondo novo, 1791, affresco, Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento veneziano, Venezia.
29 Nel Mondo nuovo di Huxley il motto “Ognuno appartiene a tutti gli altri” descrive una società dove i rapporti parentali sono stati aboliti grazie alla fecondazione automatizzata. A nostro avviso il motto rafforza un senso di comunità globale cosciente che le azioni di alcuni comportano reazioni su tutti.