La fine del mondo “nasce dalla considerazione che ciò che abbiamo conosciuto finora è obsoleto”
Fabio Cavallucci
Un ripetere e riproporre in un ridondare di chiavi artistiche e mezzi espressivi agli opposti il racconto della natura dell'origine delle diversità e delle culture umane, utilizzando visioni ed esperienze provenienti da tutte le aree geografiche, amplificando la moltiplicazione dei linguaggi artistici tra di loro profondamente distanti.
Difficile trovare un unico senso all'interno di La fine del mondo, un titolo duplice, catastrofista e glamour, generalista e altisonante. L'imponente mostra per la quantità e importanza di opere e artisti, proposta per l'attesa riapertura del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, ci accoglie all'ingresso, ponendo al saluto dello spettatore la riproduzione in gomma siliconica della ricostruzione della coppia di australopitechi esposta al Museo di Storia Naturale di New York, in una presentazione antropologica del percorso curatoriale annunciata e ripresentata più volte durante tutta la prima parte dell'esposizione.
Un secondo ingresso sicuramente dall'aspetto spettacolare è subito percepito incontrando l'opera Break Through di Thomas Hirschhorn. L'illusione dello sfondamento della parete provoca l'invadere dello spazio di una serie di cascami di materiale che aprono violentemente la strada ai reperti fossili di arredi da ufficio di Jimmie Durham, una Pompei del secolo scorso dall'aspetto fortemente influenzato dalle immagini di disastri provocati dall'uomo più che dalla natura a noi fin troppo familiari.
'La Fine Del Mondo' a cura di Fabio Cavallucci Centro Pecci Prato Foto Stefania Rinaldi
Intervalli e sequenze modulano lo spazio circolare della prima parte dell'anello di Nio, si creano sdoppiamenti di corsia ma non di senso, che procede invece univoco verso la palese volontà di accelerare la percezione attraverso l'esperienza delle opere sovrastimolando i sensi dello spettatore. Occorre quindi scegliere la strada da percorrere, lasciando al visitatore l'arbitraria decisione di prediligere un cammino piuttosto che un altro.
Le quattro mappe dall'imponente presenza e l'artigianale fattezza di Qiu Zhijie mostrano di voler guidare la nostra esplorazione ben oltre i confini dettati dalla geografia del globo, allo scopo di tracciare una cartografia delle culture dei popoli e delinearne un ritratto dell'umanità complesso e impossibile da racchiudere in un diorama. Le culture e le conseguenze spesso catastrofiche e tragiche correlate alle scelte scellerate delle popolazioni saranno tematiche saltellanti tra le sale e sempre riproposte, presentando di volta in volta la fragilità e l'instabilità geopolitica, lo sfruttamento indiscriminato di risorse e schiavitù dei popoli, la guerra e le atrocità che periodicamente si ripetono con analoghe modalità. La sentenza si ripete a più riprese segnando l'inevitabile fine, con il “bio-oggetto” La classe morta di Tadeusz Kantor o con il branco di novantanove lupi di Cai Guo-Quiang.
'La Fine Del Mondo' a cura di Fabio Cavallucci Centro Pecci Prato Foto Stefania Rinaldi
Opposta e attraente la traccia di senso che ci delinea invece la serie fotografica di Sugimoto, una vera e propria introduzione al ritmo prima alternato e poi serrato di riproposizioni e riletture del sole, simbolo idolatrato per eccellenza fin dall'origine del pensiero umano, riprodotto nella sua scansione temporale da Sunset Screen Print di Andy Warhol così come dalla sequenza fotografica di Olafur Eliasson, artista padre della più celebre riproduzione del nostro disco solare presentata alla Tate Modern di Londra. Una spinta emozionale guida il naturale rivolgersi verso l'esperienza temporale e fisica nel tunnel Transcorredor di Henrique Oliveira.
'La Fine Del Mondo' a cura di Fabio Cavallucci Centro Pecci Prato Foto Stefania Rinaldi
All'uscita appare manifesta la volontà di presentare il percorso come un concatenarsi di contaminazioni dei diversi linguaggi. Attraversando la doppia proiezione video Blake Lake di Bjork ci immergiamo nella luce riflessa e sfaccettata dei cristalli della collezione di Adalberto Giazotto, leggiamo e ci avviciniamo alle particelle atomiche e all'origine della materia e dell'uomo, trovando addossati, come mai dovrebbe essere fatto, dal principio del pensiero artistico alla modernità, in un salto temporale che forza l'accostamento dell'incredibile Venere neolitica di Savignano alla Ruota di bicicletta e Scolabottiglie di Duchamp, Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni e un taglio di Lucio Fontana. L'Opera d'Arte diventa oggetto da collezione, parte di una wunderkammer contemporanea, rielaborato e riproposto abbinando alla fisicità dei “manufatti” esposti i video di Agnieszka Polska e Luis Urcolo. E ancora percorriamo dall'alto la città dell'Avana mutata in una volta celeste da Carlos Garaicoa nuovamente perdendo una coerenza di significati a favore di un vissuto esperienziale certamente cercato e completamente ottenuto. Se dunque la mostra possa essere o no una o più rappresentazioni della fine del mondo, in qualsiasi accezione si decida di interpretarla, rimane domanda irrisolta di sicuro interesse.
'La Fine Del Mondo' a cura di Fabio Cavallucci Centro Pecci Prato Foto Stefania Rinaldi