Summer Love – Welcome Home
Mohsen Baghernejad Moghanjooghi, Lori Lako, Erika Pellicci
a cura di Serena Becagli
Nessuno dei tre artisti protagonisti di questa mostra in questo momento sta vivendo nella città in
cui è nato, a dir la verità nemmeno nel paese di origine. Mohsen Baghernejad è iraniano ma vive
e lavora a Torino, Lori Lako è albanese ma vive e lavora Firenze, Erika Pellicci proviene dalla
provincia di Lucca ma vive e lavora attualmente a Berlino.
Si può dire che è una mostra che parla di spostamenti per trovare stanza altrove.
Prendere stanza 1. [andare ad abitare in un luogo] ≈ domiciliarsi, prendere alloggio, sistemarsi,
stabilirsi. 2. [trovare temporaneamente dimora in un luogo] ≈ alloggiare, dimorare, installarsi,
prendere alloggio.
Summer Love – Welcome Home ha il sapore di un amore estivo, temporaneo, leggero, precario,
misterioso, nuovo. Ha l’aspirazione a fare casa ovunque, di essere a casa altrove.
Fare case è faticoso, dispendioso, è un luogo di relazione con gli altri.
Il filosofo Emanuele Coccia nel suo saggio
Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità (1)
parla della casa come un insieme di cose che hai bisogno di portare con te.
“Abitare non significa essere circondato da qualcosa né occupare una certa porzione dello spazio
terrestre. Significa intrecciare una relazione talmente intensa con certe cose e certe persone da
rendere la felicità e il nostro respiro inseparabili”.
“Abbiamo bisogno di pensare la casa: viviamo nell’urgenza di fare di questo pianeta una vera e
propria dimora, o meglio di fare della nostra abitazione un vero pianeta, uno spazio capace di
accogliere tutte e tutti. Al progetto moderno di globalizzare la città si è sostituito quello di aprire i
nostri appartamenti per farli coincidere con la Terra.”
Siamo tutti stranieri, eppure ogni volta riusciamo a farci casa.
Mohsen Baghernejad Moghanjooghi, Rising Sun, 2023, stoffe, cemento, ferro, legno, dimensione ambiente. Foto Ernesto Mangone.
Un’installazione composta da veli bianchi semi-trasparenti ricrea un ambiente separato all’interno
della galleria; è l’opera
Rising Sun di Mohsen Baghernejad che ricostruisce l’interno di una
stanza, un luogo mentale in connessione con lo spazio circostante ma pronto a immergerci in
un’atmosfera surreale, dove da un letto spunta una pianta con foglie in cemento, la coperta è a sua
volta una stampa realizzata dall’artista con la scritta Overture che avverte dell’inizio di uno stato di sogno.
Dello stesso artista la riproduzione fotografica di una stanza simile realizzata a Torino in
occasione della personale
Per Piruz a Villa Rey, qui lo spazio era abitato da personaggi con
indosso una maschera di cane.
Mohsen Baghernejad (Tehran, Iran,1988) da sempre porta all’interno della propria opera un
ricordo di quando a Tehran lavorava come assistente nello studio di architettura del fratello,
recuperando un materiale come il cemento per costruire piante e elementi organici di cui prenderci
cura e in continua trasformazione. Un’altra pratica del suo lavoro sta nell’intaccare pareti con delle
frasi incise e scavate in diverse lingue, tra cui la sua lingua madre, il persiano.
Questo suo scavare sembra scalfire la superficie, quasi per studiare le storie e le stratificazioni di
quelle mura, oltre a lasciare un segno del suo passaggio, dire qualcosa.
In occasione della sua recente personale
Per Piruz ha riempito tutte la pareti di una stanza di Villa
Rey a Torino con il testo della canzone
Baraye (in italiano “Per”), l’inno della protesta iraniana in
nome di Mahsa Amini che il musicista iraniano Shervin Hajiapour ha composto cucendo insieme i messaggi della protesta.
Allo stesso tempo porta avanti una serie di lavori con il tessuto, passando quindi dalla pesantezza
del cemento alle superfici leggere come veli che l’artista disegna e fa stampare.
E proprio con una stoffa trasparente ricrea in questa mostra un ambiente separato, una sorta di
luogo mentale in cui alcune sculture vanno a ricostruire metaforicamente l’interno di una stanza, un
interno che è anche una presenza fisica, una stanza che è a sua volta pronta ad ospitarci in una
dimensione autonoma ma in connessione con lo spazio circostante.
Pareti che si fanno leggere, trasparenti, che rendono sempre più labile il confine tra dentro e fuori.
Summer Love – Welcome Home, veduta della mostra. Foto Ernesto Mangone
Nell'opera
Zoo – un tappeto dallo sfondo bianco e popolato da sagome di animali fantastici – Lori
Lako riflette sui nazionalismi e le divisioni scucendo l’aquila bifronte dalla bandiera albanese e,
insieme ad essa, alcuni animali presenti nelle bandiere di altre nazioni liberandoli da tutti quei
confini che li limitano.
Nella serie fotografica
Imperfect Lullaby, l’artista recupera alcune fotografie da una serie di scatti in
bianco e nero realizzati nei primi anni Novanta da un reporter in Albania. Le foto vengono riportate
a colori attraverso un’applicazione, operando una sorta di eliminazione della distanza temporale
alla quale si accompagnano delle scritte, come fossero sottotitoli che raccontano ai non udenti
quello che si sente nella scena. Le immagini diventano per Lori Lako un pretesto per parlare del
proprio Paese e della reale possibilità di spostarsi, varcare i confini, fare casa altrove.
Lori Lako (Pogradec, Albania, 1991) è chiamata a fare quasi un lavoro di cucitura e ritrovare
origini e punti di contatto con la comunità albanese di Pistoia, a seguito di una doppia residenza a
Pistoia e Biella per uno scambio con la Città dell’Arte - Fondazione Pistoletto.
Nell'installazione
Zoo Lori Lako riflette sui nazionalismi e le bandiere. L’aquila della bandiera
albanese è stata cucita da una delle poche donne che appaiono sui libri di storia dell’Albania,
Marigo Posio. Lori Lako compie il gesto opposto, scuce l’aquila bifronte e insieme ad essa alcuni
animali presenti nelle bandiere di altre nazioni, liberandoli da tutti quei confini che li limitano.
Nella serie fotografica
Lullaby, l’artista procede, come spesso fa nel suo percorso, recuperando
immagini dall’archivio e dai ricordi delle persone con le quali entra in contatto. In questo caso
sceglie alcune fotografie da una serie di scatti fatti nei primi anni Novanta dall’illustratore
Francesco Fagnani, allora inviato del settimanale
Cuore in Albania.
Per Lori Lako lavorare con materiali che precedono o coincidono con il suo anno di nascita diventa
sempre un confronto e una riscrittura della sua storia: la statua del dittatore Enver Hoxha viene
abbattuta a Tirana il 20 febbraio 1991, tre giorni prima della nascita dell’artista.
In
Lullaby le foto in bianco e nero vengono riportate a colori attraverso una app, un processo
tecnologico meccanico, che però in alcuni punti sbaglia e sbava i colori. Questo processo opera
una sorta di eliminazione della distanza temporale, come se queste storie ci parlassero ancora.
L’artista se le immagina come frame di un film, pezzi di vita inseriti dentro una nuova storia, una
nuova narrazione. Ecco che in basso appaiono delle scritte, come fossero sottotitoli che
raccontano ai non udenti quello che si sente nella scena.
Le immagini di un viaggio, ipoteticamente il ricordo di una vacanza estiva in Albania, diventano
ancora una volta per Lori Lako un pretesto per parlare del proprio Paese e della reale possibilità di
spostarsi, varcare i confini, fare casa altrove, come ha fatto anni fa la folta comunità albanese che
si è ricostituita a Pistoia.
Erika Pellicci, Flowing state, 2023, still da video, 3’,07’’
Il suono del video
Flowing state di Erika Pellicci accompagna il percorso della mostra, quasi a
dare un unico respiro. Nel video il corpo danzante dell’artista diventa un disegno: se ne vedono i
contorni che evidenziano i movimenti.
Le linee marcano anche i contorni di una stanza vuota. Il
corpo si fa piccolo, si muove in modo fluido e si sovrappone a un altro autoritratto dai lineamenti
accennati. Un corpo che temporaneamente occupa una stanza, che appare e scompare a intermittenza, è
anche quello delle tre grandi stampe su pvc di
My Home, tre autoritratti dell’artista mentre il
computer sembra incepparsi e pixelare l’immagine.
È un trittico fotografico anche
Fragrance dell’artista lucchese: uno scatto realizzato a bordo di una barca sul lago di Costanza, ai confini tra Svizzera, Austria e Germania; un autoscatto alla finestra della casa di Berlino; il ritratto di Herma, la chiocciola arrivata in Germania tra le foglie di insalata giunte tramite corriere dall’orto della casa toscana.
Erika Pellicci (Barga, Lucca, 1992) occupa temporaneamente una stanza a Berlino, un anno fa si
è trasferita per lavoro e da subito ha iniziato ad avere difficoltà nel trovare casa.
Erika lavora con la fotografia e con il suo corpo e sente da sempre il legame con il suo
Luogo di
origine (questo il titolo di un suo video del 2021 che parlava dell’essere nella sua casa in provincia
di Lucca e altrove contemporaneamente).
Nella sua stanza Erika ama esercitarsi in passi di danza, a volte indossando delle cuffie. Si muove
e si riprende con il telefonino o la videocamera.
Una lotta continua con la tecnologia: il corpo si muove in modo più o meno fluido, perlustra il
pavimento e guarda nella telecamera che meccanicamente e passivamente riprende. Ecco che per
un attimo il meccanismo si inceppa e sullo schermo il corpo appare pixelato, sgranato. Un errore.
Erika esegue subito uno screenshot della sua immagine che sullo schermo sta per sparire. Un
corpo che temporaneamente occupa quella stanza, che appare e scompare a intermittenza.
“Se prima cercavo una definizione per la parola casa o cercavo un luogo fisico, mi sono ritrovata a
concentrarmi sulla mia presenza materica nello spazio, il luogo che occupo o che occuperò si
muoverà con me, non sarà statico.”
Quando Erika è arrivata a Berlino era appena scoppiata la guerra in Ucraina, e proprio nella città
tedesca ha incontrato molte persone fuggite dalla guerra, persone che al ritorno – chissà quando –
troveranno soltanto macerie della propria casa.
Direttamente dall’orto di casa, attraverso un corriere, i suoi fanno arrivare ad Erika ogni tanto cose
buone da mangiare e in mezzo a un cesto di insalata tempo fa è arrivata anche una chiocciola.
Una chiocciola lucchese e Berlino.
Erika si chiede se il mollusco sia maschio o femmina e la chiama Herma, un piccolo essere alla
ricerca di identità e di casa, che in fondo la casa se la porta dietro, si ambienta, si attacca.
Herma inizia a diventare protagonista delle immagini di Erika, e infine anche dei suoi lavori: la
fotografa, ci fa un video ma poi la chiocciola sparisce, forse è scappata, forse è andata in letargo.
Di nuovo la necessità di prendersi un tempo, trovare uno spazio per gesti lenti, per una meritata pace.
Summer Love – Welcome Home, veduta della mostra. Foto Ernesto Mangone
Summer Love è il nome del caicco turco con a bordo 180 migranti che è naufragato nelle acque
calabresi di Cutro il 26 febbraio 2023. Mentre riflettevamo sul tema della casa, sullo stare, sul
cercare, sullo spostarsi, sul trovare riparo, sul fare casa, anche lontano dal proprio luogo di origine, è accaduto questo naufragio sulle coste italiane.
Note -
1 - Emanuele Coccia, Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità, Einaudi, 2021.