Tendo a Esistere
Una conversazione
Artext | Valeria D´Ambrosio
Artext - Nella relazione tra Arte e Scienza si può individuare un tema specifico: il tema Futuro Remoto rappresenta una riflessione sul rapporto millenario con lo spazio e le stelle. In che modo attraverso una mostra d’arte è possibile tracciare una rotta tra le scienze umane e le cosiddette scienze esatte? C’è una schisi tra Arte e Scienza, una separazione e una distanza tra le due?
Valeria d'Ambrosio -
Credo che GRASPING THE COSMOS, il progetto culturale che sto curando in questi mesi per Villa Galileo a Firenze, possa essere un tentativo di rispondere alla tua domanda. L’obiettivo è infatti quello di attingere dalle più recenti scoperte scientifiche in ambito di fisica particellare e astrofisica, contenuti che permettano uno sviluppo della ricerca artista contemporanea, per stimolare una riflessione su tutto ciò che noi, più o meno consciamente, esperiamo nella vita. È certa la separazione tra le due discipline, com’è certa la distanza che le separa, eppure è proprio in quella riflessione sull’esistenza del tutto intorno a noi che la distanza si riduce e la separazione si fa, potenzialmente, unione.
Quando ho cominciato a ragionare su modalità e contenuti di questo progetto all’interno di un contesto complesso come quello di Arcetri, conosciuto come il “Colle delle scienze” di Firenze, un luogo a suo modo magico caratterizzato dalla presenza e co-abitazione di importanti centri di ricerca nazionali (Istituto Nazionale di Ottica, Istituto Nazionale di Astrofisica con annesso Osservatorio astronomico, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Galileo Galilei Institute for Theorethical Physics), sono esattamente queste le domande che mi sono posta, domande che dopo tutto mi ossessionano da almeno un decennio.
Tuttavia credo che la chiave di volta sia trovare una o più risposte alla seguente questione:
Cosa stimola la scoperta scientifica in una mente creativa? Lo spirito umano è naturalmente attratto da ciò che (ancora) non conosce ed è molto spesso disposto a spingersi ben oltre i limiti imposti dalla natura per raggiungere questa conoscenza. Prima ancora di oltrepassare i confini geografici e quelli corporei, è l’immaginazione che ci permette di sconfinare e di elevarci dalla limitatezza della nostra condizione naturale.
Federica Di Carlo, FLOW#2 (2016-23), Foto di Jacopo Nocentini
A dimostrazione dell’inestricabile legame tra questi due reami dell’ingegno umano, ogni giorno possiamo constatare che quello che uomini e donne hanno immaginato in passato è stato poi realizzato nel (loro) futuro, che quello che uomini e donne hanno sognato di realizzare fin dagli stadi più primitivi della loro esistenza si è poi trasformato in realtà.
Facciamo qualche esempio: i Maya, antica civiltà di astronomi sempre col naso all’insù, costruivano templi altissimi per allontanare la linea dell’orizzonte e studiare la Luna, Venere e le stelle. L’importanza che quest’antica civiltà dava ai corpi celesti e al loro movimento era tale che da essi dipendevano le guerre, la produzione agricola, la salita al trono dei sovrani così come la produzione artistica.
Nel 1972, il collettivo fiorentino di architetti radicali Superstudio concepì un nuovo modello di architettura sfruttando l’evento mediatico dello sbarco sulla Luna come catalizzatore delle frustrazioni prodotte dall’architettura terrestre. La loro
Architettura interplanetaria, che mirava a collegare la Terra con la Luna e a creare interrelazioni planetarie, nasceva dalla convinzione che nessun modo di essere oggi può essere parte di un sistema naturale libero dalla logica razionale e dalla sovra-produzione di beni. Poco più di un anno fa, il Jet Propulsion Laboratory della Nasa ha inviato un messaggio radio chiamato
Beacon in the Galaxy contente informazioni sull’umanità (la struttura del DNA, una mappa della superficie terrestre, concetti di base di fisica, ecc.) destinato ad entrare in contatto con presunte civiltà extraterrestri in un denso ammasso di stelle della Via Lattea a una distanza compresa tra 6mila e 20mila anni luce.
Federica Di Carlo, FLOW#2 (2016-23), Foto di Jacopo Nocentini
Ebbene, quando mi sono chiesta cosa hanno in comune i protagonisti di queste tre storie in tre momenti storici così distanti, mi è sembrato di trovare una risposta proprio nei miei primi giorni di ricerca a Villa Galileo. Ciò che accomuna questi aneddoti è senza dubbio la voglia di sognare, il bisogno di scoprire, il desiderio di creare. In altre parole, Galileo Galilei. Padre del metodo scientifico, sostenitore della teoria eliocentrica, inventore ma anche filosofo, uomo di lettere e di sonetti per cui la fantasia fu sempre una grande alleata, anche nel campo delle scienze. Ponendo le “sensate esperienze” e le “certe dimostrazioni”, ossia i sensi e la ragione, sullo stesso piano, Galileo contrappose al principio dell’autorità, quello dell’esperienza, dimostrando come il linguaggio matematico, non separato dalla geometria e dalla fisica, fosse il solo in grado di comprendere il “libro della natura”.
Eppure è nell’espressione letteraria che trova massima definizione il suo pensiero. L’uso della lingua volgare contro il latino, lingua scientifica per eccellenza, insieme al ricorso al dialogo, alla maschera e ai personaggi metaforici che si muovono all’interno del suo teatro delle idee, confermano l’efficacia e la potenza della creatività come strumento espressivo privilegiato per affermare la veridicità dei suoi studi sulla natura. È così che dal metodo galileiano nasce la diffusione della conoscenza scientifica che si esplicita per l’appunto attraverso linguaggi altri ed espedienti creativi che permisero a Galileo, nonostante l’interdizione del Santo Uffizio, di continuare a diffondere le sue teorie e la sua irrefrenabile sete di conoscenza proprio dalla sua ultima dimora in Arcetri.
Federica Di Carlo, Tendo a Esistere 2023, Foto di Jacopo Nocentini
AT - Qual è la narrazione in questa residenza e mostra “Tendo a Esistere” dell’artista Federica Di Carlo, nella villa dove Galileo Galilei trascorse i suoi ultimi anni definendo nel trattato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) le basi del metodo scientifico?
VD -
Tendo a esistere è la mostra di restituzione della prima residenza d’artista che si è svolta a marzo 2023 a Villa Galileo, grazie alla collaborazione tra il Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze (SMA) e il Galileo Galilei Institute for Theoretical Physics (GGI). Inserita all’interno de
Il senso delle stelle, prima fase del progetto
GRASPING THE COSMOS che aspira ad avvicinare il pubblico ai complessi meccanismi che regolano l’esistenza del cosmo, la residenza ha visto la partecipazione dell’artista Federica Di Carlo, che ha partecipato alla scuola
Theoretical Aspects of Astroparticle Physics, Cosmology and Gravitation promossa dal GGI, per approfondire concetti teorici di base nel campo delle onde gravitazionali di origine astrofisica e cosmologica, della fisica e dell’astronomia dei neutrini, della materia oscura, dei raggi cosmici galattici ed extragalattici e dei raggi gamma. L’esposizione nasceva dunque dal dialogo con i fisici teorici che hanno frequentato la scuola e con alcune delle più affascinanti storie di scienza che nel tempo hanno contribuito a creare il genius loci galileano.
Galileo visse a
Villa Il Gioiello i suoi ultimi undici anni di vita agli arresti domiciliari dopo la condanna del Santo Uffizio (1631-42) e qui scrisse, tra le altre cose, il trattato che menzioni, fondamentale appunto per lo sviluppo della fisica moderna.
Federica Di Carlo, BURST 2023, Foto di Jacopo Nocentini
Non è dunque un caso che gli enti di ricerca che citavo prima si siano concentrati proprio su questo colle dove, oltre alla posizione geografica privilegiata per l’osservazione del cielo, hanno potuto cogliere l’eredità di Galileo divenendone, in qualche modo, i depositari. Proprio in un’ottica di valorizzazione di questo luogo così storicamente denso, il progetto di Federica Di Carlo partiva da alcune delle scoperte che hanno visto la luce in questa dimora seicentesca, per riportare il discorso alle più appassionanti rivelazioni degli ultimi decenni. La mostra si articolava, infatti, in una serie di installazioni concepite o rielaborate per adattarsi alle stanze e ai giardini di Villa Galileo, creando un percorso immaginifico nell’evoluzione della fisica astro-particellare. Filo conduttore era il movimento continuo e incessante di informazioni che viaggiano dentro e oltre l’atmosfera terrestre attraverso la luce e le radiazioni cosmiche.
Si tratta dei cosiddetti
messaggeri celesti, particelle fantasma, silenziose, inafferrabili e spesso invisibili, che provengono da fonti più o meno remote, come il Sole, le stelle lontane, i buchi neri fino all’espansione primordiale che ha dato origine all’universo. Nell’epoca dell’astrofisica multi-messaggera,
Tendo a esistere voleva essere un tentativo di tracciare l’invisibile, l’assenza, l’attesa, l’incertezza. Quella stessa incertezza su cui si fonda la sperimentazione, sia essa scientifica o artistica.
Federica Di Carlo, I close my eyes (2023), Foto di Jacopo Nocentini
AT - Qual è il soggetto sul quale opera l’Arte in quanto correlato della scienza moderna?
VD - Se guardiamo alla mostra allestita a Villa Galileo, un aspetto evidente che accomunava molti dei lavori di Federica Di Carlo era l’opportunità di vivere un’esperienza realmente unica, come unico è ogni istante del nostro infinitesimo passaggio in questo universo. L’unicità dei messaggeri cosmici e della loro interazione con la materia terrestre era, infatti, resa percettibile grazie all’appropriazione di strumenti scientifici che l’artista rielabora in maniera poetica e mai banale, capace di afferrare concetti elementari nella maniera più sintetica e incisiva. Queste particelle, per loro natura uniche eppure innumerabili, ci circondano e ci trapassano costantemente, al punto che risulta difficile afferrarle tutte, distinguerle e isolarle.
Questo è ciò che, per esempio, riesce a fare
FLOW (2016-23), un’installazione concepita per la Triennale di Milano e riadattata per l’occasione all’interno della camera da letto di Galileo. Attraverso un device tecnologico, l’opera rivela il flusso di muoni provenienti dai raggi cosmici sprigionati dall’esplosione delle stelle, per farci vivere un’esperienza in diretta e sempre diversa della nostra interazione con queste particelle. Un’esperienza che, nella sua irripetibilità, ci rende partecipi del costante (seppur invisibile) flusso di radiazioni che ci circonda, creando una connessione smaterializzata con il ciclo della vita.
Elemento aggiuntivo dell’installazione era poi il calco della mano di uno scienziato che sembra accogliere un ammasso di stelle e le informazioni di cui sono portatrici. A ben guardare, però, la mano è carbonizzata e ricoperta di escrescenze di un nero così intenso, vellutato e profondo che sembra quasi essere monito a non spingersi troppo oltre i limiti imposti alla nostra natura.
Federica Di Carlo, Tendo a Esistere#1,2 - 2023, Foto di Jacopo Nocentini
Nell’oscurità fenomenologica in cui la mostra immergeva Villa Galileo, ogni installazione si poneva come saggio multisensoriale sulla complessità intrinseca della ricerca scientifica applicata all’ignoto. Una ricerca che ragiona su scale dai confini quasi inintelligibili nella speranza di trovare somiglianze o dissonanze che aiutino a intuire una modalità per mettere insieme i pochi elementi noti e così trovarne di altri. La scala è un ingrediente essenziale anche nel lavoro di Di Carlo che richiede al fruitore di muovere il proprio corpo e di cercare la sua dimensione fisica e spirituale nell’esperienza offerta dall’arte.
Questo movimento incarnato, che spinge a cercare informazioni nascoste oltre il visibile apparente, mostra come il medium artistico diventi secondario rispetto alle esperienze relazionali che prefigura. Ne era un esempio in mostra la delicatissima incisione sul retro opaco di una lente di un celostata recuperato in un laboratorio dismesso di Arcetri e generalmente utilizzato per le osservazioni solari. Quello specchio un tempo perfettissimo e ora difettato, dunque non più utilizzabile, può oggi raccontarci soltanto del fugace passaggio di un raggio di sole.
Anche se il sole scompare (2023) è un’opera che misura l’impossibilità di trattenere qualcosa per sempre, qualcosa che passa e che continua a esistere anche oltre la nostra percezione visiva. Il recupero di oggetti di scarto ritorna come gesto quasi ritualistico nella produzione dell’artista che, puntualmente, prova a liberarli del peso dato dalla loro impossibilità di funzionare per diventare parte integrante di quel movimento che tiene in vita l’universo.
Il diventare coscienti del posto che occupiamo a livello eco-sistematico è l’obiettivo ultimo che ci poniamo con questo progetto e opere come quelle citate ci aiutano a trovare il modo di essere presenti a noi stessi qui e ora, qualunque sia la durata dell’esperienza che stiamo vivendo.
L’opera
BURST (2023) ne è altro esempio, in quella sensazione di sospensione in cui colloca l’osservatore.
Quando ci troviamo di fronte all’opera, restiamo infatti in attesa di una notifica rara (e per questo preziosissima) proveniente dall’universo, un messaggio che ci comunichi che, in poche frazioni di secondi, un’onda gravitazionale sta attraversando il nostro pianeta. L’artista utilizza il sistema di rivelazione dell’interferometro Virgo che informa gli scienziati di fenomeni transienti impredicibili da cui provengono queste minuscole perturbazioni dello spazio-tempo, affidando così l’espressione artistica alla speranza rapidamente evanescente di una notifica di Telegram.
E lo fa, attraverso il “messaggero” per eccellenza del nostro quotidiano, uno smartphone incastrato in un meteorite che sembra essere precipitato nello studiolo di Galileo per portarci informazioni cosmiche.
Federica Di Carlo, Tienimi in orbita 2021,
AT - Gli attuali studi culturali, la Scienza delle Culture, cercano di capire come venga generato il significato e come esso sia legato – secondo l’impostazione teorica più corrente – ai sistemi attuali di potere.
La vita in connessione con l’estetica ha esercitato un fascino ineludibile già dalla metà del secolo scorso, si tratta ancora oggi di aprire liberi spazi di ricerca rispetto alle estetiche dottrinarie e filosofiche?
Quali nuove prospettive può aprire uno Scienziato della Cultura sul tema e la questione degli effetti di risonanza che il Contemporaneo pone? Che la Scienza possa ancora esplorare la relazione interno esterno e riconsiderare l’antica bellezza universale?
VD - Onestamente spero che GRASPING THE COSMOS possa essere un’occasione di creare a Villa Galileo uno spazio culturale vivo e in costante evoluzione capace di avere un impatto sulla società. Mai come in questo momento storico, le persone sono sensibili all’importanza dello sviluppo scientifico, della formazione culturale e del bisogno di fare comunità per affrontare insieme le conseguenze e le responsabilità della nostra ingombrante presenza su questo pianeta.
Non è un caso che nella società contemporanea, lo Spazio stia acquisendo una centralità sempre maggiore negli equilibri geopolitici mondiali. Se un tempo la Terra si controllava dominando il mare, oggi bisogna presidiare lo spazio, in quanto le nostre attività quotidiane più abitudinarie sono legate a doppio filo a ciò che accade oltre l’atmosfera terrestre.
Tra la
new space economy fondata sulla digitalizzazione planetaria e la
space weaponization, la militarizzazione delle orbite, la vita dell’umanità è diventata attraverso i secoli sempre più “spaziale”. Negli ultimi anni, i ventidue paesi della European Space Agency si sono riuniti per discutere di
green economy, di lotta ai cambiamenti climatici e del futuro dello spazio.
È questa l’era della vulnerabilità, di una ribellione storica della Terra contro il mondo, in cui ripensare a concetti quali collettività, connettività, trasversalità, multidisciplinarietà, isolamento ed estinzione. Un’epoca di intensa trasformazione esistenziale, favorita dall’espansione ipertecnologica, dalla trasformazione urbana, da politiche di confine territoriale, dalle migrazioni forzate e dai disastri ecologici che caratterizzano l’Antropocene.
Villa Galilei, Firenze Foto di Saulo Bambi
Oltre agli scienziati, è chiaro che anche gli artisti, le menti creative, i visionari devono affrontare l’attuale stato del mondo perché la risposta alla minaccia della crisi climatica richiede nuove forme di creatività e immaginazione umana. La filosofa spagnola Marina Garcés parla di una “conditio posthuma”, di un’epoca in cui tutto sta finendo incluso il futuro come tempo di promessa, sviluppo e crescita. Così come è finita la modernità, le ideologie e le rivoluzioni, assistiamo ora al consumo delle risorse e all’estinzione degli ecosistemi e della loro biodiversità. Dopo venti anni di gestazione, il James Webb Space Telescope indagherà la materia oscura per fornirci maggiori informazioni sulle origini dell’Universo, rivoluzionando probabilmente l’intera conoscenza che abbiamo di noi stessi e imponendoci un nuovo modo di immaginare.
C’è dunque da chiedersi se la creatività umana potrà mai finire o, forse ancor più urgente, è chiedersi se potrà mai esistere una creatività presente e futura che sia supportata dalla scienza, che non venga sprecata ma che, soprattutto, non sprechi niente, che richieda la massima economia. In altre parole una creatività che abbia uno scopo specifico: quello di immaginare una nuova vita delle cose del mondo e che risvegli la gente dalla rassegnazione nei confronti di una presunta inevitabilità della fine.
Questo è un momento in cui dovremmo dedicarci a realizzare il più grande cambiamento nella coscienza umana e nel modo di vivere. È il momento in cui dobbiamo immaginare qualcosa di nuovo. Forse così quello che immaginiamo oggi, potrà diventare realtà domani.