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Museo Novecento
Tony Cragg
Transfer

 
Tony Cragg Tony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Foto Serge Domingie



Tony Cragg
Transfer
a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispoli

La mostra monografica TONY CRAGG. Transfer, a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispol presenta una selezione di sculture e opere su carta dell'artista inglese.
Conosciuto soprattutto per aver contribuito ad un rinnovamento del linguaggio plastico grazie all’introduzione di nuovi materiali e nuove tecniche, tra le più sperimentali e innovative del nostro tempo. Il progetto, assolutamente inedito, è pensato come uno strumento di mediazione volto a presentare non solo le opere (sculture e disegni) ma anche il processo creativo dell’artista.

Tutta la ricerca artistica di Tony Cragg può essere letta come un omaggio alle infinite possibilità della forma e a quell’illimitata varietà di soluzioni che solo l’arte, insieme alla natura, può evocare.
I suoi primi lavori, risalenti alla fine degli anni Settanta – epoca del Minimalismo, dell’Arte concettuale, della Land Art e dell’Arte Povera - nascono dall’assemblaggio di oggetti comuni (come utensili, mobili, piccoli manufatti e materiali di scarto) e risentono della tradizione del ready made duchampiano e dell’object trouvè surrealista. Successivamente studi filosofici e ricerche scientifiche iniziano ad influenzare la sua pratica portandolo a sperimentare con i materiali (dal bronzo alle resine, dall’acciaio alla plastica, al gesso, al legno, al vetro, dagli oggetti domestici a quelli industriali, da quelli organici a quelli sintetici) e a creare sculture che combinano ancora oggi la maestria artigianale alla tecnologia, avvalendosi spesso della robotica.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Foto Serge Domingie


La mostra Transfer è un omaggio alla scultura, quella magnifica ossessione che accompagna Cragg fin dagli esordi. Le sale espositive ospitano infatti una selezione di opere di piccole e medie dimensioni insieme a disegni e acquerelli che vogliono restituire un’idea della sua prolifica e poliedrica attività.  Arrangiate secondo criteri stilistici e formali, gli oltre cento lavori rivelano una coerenza e un’organicità intrinseca a tutta l’opera di Cragg, mostrando un linguaggio espressivo costruito meticolosamente negli anni basato sull’idea che il processo creativo sia anche un percorso di scoperta. L’artista procede sempre nello stesso modo – dal disegno alla scelta dei materiali, alla sperimentazione della tecnica, alla selezione del colore – lavorando la materia e imparando da essa e dalle sue reazioni. In questo modo l’opera si dispiega solo passo dopo passo nel suo farsi, rivelando le infinte possibilità della forma.

Ai lavori dislocati tra il piano terra e il primo piano del Museo Novecento si affiancano per la prima la prima tre sculture monumentali esposte nel chiostro del museo (Versus, Masks, Spring) e una nel Cortile degli Uomini dell’Istituto degli Innocenti (Stack), che dialogano con l’architettura dei luoghi concepiti nel Rinascimento come ambienti dedicati al ritiro e alla meditazione.
La mostra è pensata come uno strumento di mediazione oltre che di esposizione, volto a raccontare il processo di elaborazione creativa dell’artista. In questo senso le sale al secondo piano presentano numerosi disegni concepiti come strumenti essenziali e propedeutici all’elaborazione plastica, mentre quelle al piano terra ricreano, attraverso l’allestimento, lo studio dell’artista, luogo di creazione ma anche di vita centrale nel suo lavoro.

A Wuppertal in Germania, dove si è trasferito sul finire degli anni Settanta, Cragg ha creato infatti uno luogo di progettazione concepito come una vera e propria cittadella dell’arte, un laboratorio scientifico con tecnici e artigiani che lavorano contemporaneamente a più opere, testando nei workshop limiti e capacità di tecniche e materiali. Poco distante da lì nel 2008 ha fondato lo Skulpturenpark Waldfrieden, un parco di sculture all'aperto che espone opere di molti artisti contemporanei, tra cui le sue, testimoniando la sua continua dedizione alla scultura in senso lato.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Foto Serge Domingie


Un'Intervista a Tony Cragg

D - Tony, quando si pensa agli inizi della tua carriera, sembra che tu fossi interessato alla ricerca di nuovi materiali, mentre oggi piuttosto a nuovi usi dei materiali tradizionali.
Questo contrasto ha un senso per te?

Tony Cragg - Certo. Ma ci sono due narrazioni: una è la storia della scultura degli ultimi 100 anni, poi c'è la mia esperienza. Alla fine dell'Ottocento la scultura era quasi tutta figurativa e non utilizzava molti materiali. Poi, sotto la pressione del mondo che si riempiva di ogni genere di forme e materiali industriali, Marcel Duchamp, tra gli altri, si dà la possibilità di portare nel mondo dell'arte materiali non artistici. Oggi, dopo quasi 100 anni di approcci al suo modello, possiamo usare quasi tutto. È interessante perché non si tratta solo di materiali, ma di strumenti e significati.

Ho frequentato la scuola d'arte nel 1969. Era un periodo improntato al lavoro di Duchamp. Gli artisti erano ancora alla ricerca di nuovi materiali e, come giovane artista, è stato inevitabile anche per me. Cercavo nuovi contesti spaziali. Ho iniziato a esporre alla fine degli anni '70 con molti lavori installativi tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Sono stato molto fortunato, ho avuto l'opportunità di sperimentare nuovi materiali in conseguenza di questo processo.

Negli anni '80, la strategia duchampiana si stava esaurendo. Che senso ha trovare il 150.000esimo nuovo materiale con cui fare arte? A chi importa? La mia attenzione si è allontanata dalla ricerca di nuovi materiali e nuovi oggetti, per orientarsi verso contenuti più psicologici ed espressivi. Ora che avevamo questo nuovo vocabolario di elementi, cosa si poteva ottenere da questi?

Nel 1981 ero stanco di fare arte installativa. Troppo spesso mi trovavo in difficoltà con un materiale o un oggetto e pensavo: "Cristo! Se solo avessi più tempo per lavorarci". Nell'82 o nell'83 mi sono deciso a tornare in studio. Ho preso uno studio molto più grande, all'epoca avevo due assistenti molto bravi. Abbiamo imparato a realizzare le opere.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Foto Serge Domingie


D - Dunque da allora il tuo lavoro è ispirato al "realizzare opere ". Non riesco infatti a vederti come il tipo di artista che si rivolge ad un artigiano.

TC - Non ho nulla in contrario a livello concettuale, morale o etico, ma non mi piace affatto l'idea di lasciare che l'opera sia eseguita da qualcun altro. Se fai il disegno o la maquette e poi la dai a qualcun altro per realizzare la scultura, ti ritrovi con un manufatto. È come incontrare un parente che non si è mai visto prima. Pensi: " Mmm, dovrei conoscerti, ma non direi...". Ho provato all'inizio degli anni '80 ma non ha funzionato, in realtà sono io che curo il processo di realizzazione dell'opera: di tutti gli snodi in cui vengono prese le decisioni. Questo è ciò che è veramente eccitante nel fare questo lavoro: mantenere il processo di ideazione in parallelo alla realizzazione.

Fino a 19 anni non avevo idea che la scultura potesse essere eccitante. Frequentavo la scuola d'arte a Cheltenham quando mi fu detto: "Questa settimana farete una scultura" e io pensai: "Oh mio Dio! La scultura no. Non sono venuto qui per questo". Ci hanno mostrato una stanza piena di materiale che sembrava essere riciclato dalle sculture degli anni precedenti. Non avevo alcuna voglia di farlo, ma sono andato all'armadio, ho preso questo materiale e alla fine del pomeriggio ne ero completamente assorbito. È stato strano e repentino, come osservare le espressioni mutevoli sul volto di una persona mentre le parli. Ogni mio movimento lo trasformava in qualcosa sempre diversa. Le idee fluivano ed era davvero eccitante.

Questo entusiasmo è autentico nella mia vita. C'è l'idea che la scultura sia statica, o forse addirittura morta, ma io la penso in modo differente. Non sono una persona religiosa, sono un materialista assoluto e per me la materia è eccitante e in definitiva sublime. Quando mi occupo di scultura, cerco un sistema di regole e di valori. Voglio che il materiale abbia una dinamica e che risponda, raccolga il movimento e lo accresca.

Voglio anche che questo accada nel corso della realizzazione delle opere, di modo che non appena una generazione di sculture è stata realizzata, ne arrivi un'altra e le cose continuino a svilupparsi intorno a me. Così com'è che accade.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Foto Serge Domingie


D - Permettimi di approfondire l'argomento. Hai descritto la scultura come "il tentativo di proiettare l'intelligenza nella materia". Che cosa significa?

TC - La materia è intelligente solo finché la usiamo. La materia che non conosciamo non è intelligente nei nostri parametri. L'intelligenza è qualcosa che possiamo descrivere solo nei termini di facoltà che possediamo. Quindi stiamo proiettando qualcosa nella materia.

D - Lo stesso vale al dare un significato alla materia?

TC - Il significato è più o meno lo stesso. Una cosa che non conosciamo è assolutamente priva di significato per noi. Ecco un classico esempio. Se si va in un campo e si estrae un pezzo di argilla, ciò è relativamente privo di significato. (Anche se può significare qualcosa per un geologo o un geochimico, e probabilmente significa qualcosa per il contadino, perché ora ha una buca nel suo campo). Ma quando si porta l'argilla nello studio e si inizia a guardarla e a manipolarla, questa si modella e si modifica. Se lasci la stanza e qualcuno entra e vede questo pezzo di argilla, gli vengono delle idee, prova delle emozioni. Il materiale porta via con sé un po' della nostra sensibilità. Non è più solo un pezzo di argilla con un significato chimico o geologico, ma ha molti altri significati. Quando si guarda una grande scultura, non si pensa all'argilla, ma al suo significato. A volte si dice che un lavoro è "formale". È un'idea molto stupida, perché non si può avere una forma senza un significato. È assolutamente impossibile.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Photo Alessandra Cinquemani


D - Sei è un artista che ha sempre dato importanza a parlare e a scrivere del proprio lavoro. Come valuti il rapporto tra il linguaggio verbale e quello scultoreo?

TC - Penso che ci sia lo stesso rapporto tra il vedere e l'annusare qualcosa. Il fatto che si possano annusare le cose non toglie nulla al fatto che si possano vedere, né aggiunge nulla. Sono solo due modi molto diversi di entrare nella nuvola associativa di significato che circonda l'opera.

Se devo pensare al mio lavoro, perché non dovrei avere delle frasi in testa per dire di questi pensieri? Non riesco a vederla in nessun'altra prospettiva. Il fatto è che il lavoro mi ha fornito un sacco di strumenti linguistici. Sembra banale ma è così. È fantastico: guardando il lavoro, pensando al lavoro, a tutti questi pensieri che affiorano. Che posso scriverli.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Ph credits: Serge Domingie


D - Lavori come scultore da molti anni. Ovviamente la consideri un'attività ancora oggi praticabile.

TC - Beh, il mezzo sta cambiando molto rapidamente. Quello che la scultura fa oggi rispetto a 100 anni fa è assolutamente sorprendente. Quando gli artisti hanno iniziato a fare scultura non figurativa o non rappresentativa - non voglio dire "astratta" - si usavano materiali molto rari. Molte persone ancora guardano gli oggetti in base a una scala di utilità. Pensano: "Questo è un buon oggetto perché posso usarlo. E se posso usarlo ancora meglio, allora è un oggetto ancora più interessante". È così che è nata l'idea dell'oggetto utile, ed è questo che fanno tutti i materiali del mondo. Per la scultura non è così. La scultura fa un uso radicale dei materiali, si tratta di un'attività umana radicale. È assolutamente inutile. Ma si possono fare delle scoperte e dotarsi di un linguaggio che gli oggetti utili non fanno. L'utilità nel mondo materiale è un freno alla forma.

In passato si pensava che la non-rappresentazione fosse priva di fondamento o spuria, ora ci si rende conto che offre un'enorme gamma di possibilità. Ecco perché due tipi di scultura spesso non interferiscono tra loro in modo distruttivo - sono solo distanti tra loro. Lo si può capire dall'idea di spazio che li separa. Lo spazio è dove lavoreranno gli artisti del futuro.

Penso anche che il modo in cui guardiamo la scultura sia importante, perché non si muove e te ne rendi conto di come la guardi cinesicamente: tu sei l'elemento in movimento. È una sfida per le nostre percezioni.
Forse stavi per chiedere: "Qual è il tuo materiale preferito?" Il materiale più importante è il nostro cervello, perché è lì che avviene il cambiamento. Il cambiamento rivolto all'esterno va bene, ma il vero cambiamento è nel nostro cervello.

Tony CraggTony Cragg, Museo del Novecento, Firenze. Foto Serge Domingie


 

Tony Cragg
Transfer
a cura di Sergio Risaliti e Stefania Rispoli
Site Museo Novecento Firenze 22 settembre 2022 - 15 gennaio 2023
@ 2022 Artext

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