Uffe Isolotto
We Walked the Earth
Il Padiglione della Danimarca della 59esima Mostra d’Arte Internazionale – La Biennale di Venezia- è entusiasta di presentare l’installazione We Walked the Earth ideata da Uffe Isolotto e a cura di Jacob Lillemose. I visitatori entrano in un mondo iperrealistico in cui gli elementi di un'idilliaca vita contadina danese del passato si fondono con strani fenomeni di fantascienza per creare un'immagine inquietante di un presente incerto.
Occupando l’intero padiglione, We Walked the Earth presenta un inaspettato dramma di vita e morte che ruota attorno ad una famiglia di tre centauri. Cercando di affrontare le sfide di un mondo in continuo cambiamento, la famiglia incarna uno stato d’animo di disagio tra la disperazione e la speranza, che parla delle profonde ambiguità del nostro tempo.
Uffe Isolotto racconta: “Ho trasformato l'intero Padiglione. Quando i visitatori entreranno, incontreranno un'apparentemente idilliaca fattoria danese, dove troveranno un inquietante dramma di vita e di morte. C'è una profonda incertezza nel capire cosa sia successo ai centauri e al mondo in cui vivono. È una situazione tragica o di speranza, o forse entrambe le cose? Anche se i centauri potrebbero non essere reali, percepiamo la loro lotta. Il tempo presente in cui viviamo sta diventando sempre più complesso e imprevedibile nel modo in cui affrontiamo molte realtà impegnative, siano esse ecologiche, politiche o esistenziali. C'è al tempo stesso molta speranza e disperazione nell'aria, e voglio rendere questa percezione in una realtà fisica attraverso questa installazione.
We Walked the Earth attinge anche dalle esperienze della mia vita personale che in senso metaforico risuonano nei sentimenti e pensieri più universali sulla vita e la morte, che sento presenti nel mondo di oggi.“
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
Il curatore Jacob Lillemose afferma: “Sempre più persone in Danimarca si trasferiscono in campagna per vivere una vita più semplice e autosufficiente. Allo stesso tempo, i media, i politici e le imprese capitalistiche celebrano quotidianamente le promesse delle nuove tecnologie. In questo contesto, We Walked the Earth ci interroga se dobbiamo guardare indietro o avanti per trovare soluzioni ai problemi del mondo. Inoltre, si rivolge a un mondo che si trova ad un bivio, dove qualcosa di familiare scompare e qualcosa di sconosciuto emerge. In questo senso, presenta un'immagine del cerchio della vita e della morte. Il modo in cui navighiamo in questo intimo e complesso intreccio di finali e inizi è fondamentale per il futuro che creeremo per noi stessi qui sulla Terra".
Come in una complessa produzione cinematografica, Isolotto e Lillemose hanno collaborato con un collettivo di specialisti, tra cui 10 Tons (per il modello dei centauri), Fyns Naturværksted- il Laboratorio Naturalistico del Funen (per la tassidermia), Thomas Foldberg Studio (per le parti umanoidi), Anne Sofie Madsen (per l’abbigliamento e gli accessori), Soft Barocco (per le strutture in alluminio), Maria Koshenkova (per i lavori in vetro), Ida Hy (per i lavori in resina e silicone), Christine Bechameil e Marie Søegaard Tarpø (per la pittura scenica) e Line-Gry Hørup (per la grafica).
L'installazione è accompagnata da un racconto intitolato And Then We Became Water, ideato da Isolotto e Lillemose, e scritto dallo stesso Lillemose. Come un racconto di fantascienza, espande la narrazione dell'installazione, immaginando come potrebbe essere, in un futuro artificiale, vagare sui fondali di una Venezia allagata dove si incontrano il corpo di un centauro e un altro essere liquido.
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
And Then We Became Water
ideato da Isolotto e Lillemose
C’è acqua ovunque. Ovunque siamo mai stati, dove ci troviamo adesso. L’acqua è la nostra vita. Siamo fatti per vivere
in acqua.
Siamo fatti di acqua. Non della stessa acqua che cinge il nostro corpo, sebbene sia facilmente confondibile con essa.
L’acqua che compone il nostro corpo é la nuova acqua. Un’acqua ricca di minuscule particelle che ci permettono di trasformare i nostri corpi in qualsiasi cosa. Se per un istante possiamo essere morbidi, un attimo dopo possiamo diventare compatti e filiformi. Gelidi a una estremitá, bollenti all’altra.
Al tempo stesso spirale o sfera. Possiamo assumere infinite colorazioni quando ci muoviamo verso la luce, o diventare translucidi e incolori quando sprofondiamo nell’oscurità. Le possibilità dell’acqua sono infinite, e il nostro corpo liquido non possiede né forme né dimensioni fisse. Il suo unico limite è la nostra immaginazione.
Non sappiamo se in acqua siano esistite forme di vita prima della nostra, ma quando ci addentriamo nell’esplorazione, spesso incontriamo altri corpi – corpi enormi e corpi sottili – talvolta parzialmente o completamente sotterrati dalla melma del fondale. Provengono forse da un tempo che precede l’acqua? Da un luogo al di fuori dell’acqua? Immaginiamo di sì, perché questi corpi non assomigliano affatto al nostro, in nessun modo. Per prima cosa, non sono fatti della stessa
nuova acqua di cui noi siamo composti, ma di altri materiali che non possono mutare la forma del corpo. Almeno, non per quanto ne sappiamo. Non l’abbiamo mai visto accadere. In effetti, non li abbiamo mai visti muoversi. Forse non sono più vivi. Forse non sono mai stati vivi. Forse non sono neppure dei corpi. Forse sono qualcos’altro. Ma se non sono corpi, che cosa sono? Quante domande.
Li esaminiamo con il nostro corpo per provare a conoscerli. Li tocchiamo, modelliamo i nostri corpi seguendo le loro forme. Ci immedesimiamo in essi per capire meglio cosa siano. Ma tutti questi corpi immobili rimangono sconosciuti.
Qui, ci sono dei tipi di corpi che, in acqua, non abbiamo mai incontrato da nessun’altra parte.
Sono oblunghi e cavi, aperti da un lato, con due estremità che si innalzano in cime appuntite. Quando ne tiriamo le estremitá aguzze, questi corpi si sollevano dalla melma sottostante e fluttuano verso la luce, dove si soffermano per riposare sulla superficie dell’acqua con la parte aperta e le estremità che guardano verso l’alto. Quando galleggiano in superficie, possiamo spingerli da sotto. La loro forma gli permette di penetrare l’acqua, in modo che possiamo muoverli piuttosto velocemente. È qualcosa che ci diverte.
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
Ci sono anche corpi piccoli a sei lati, duri e spigolosi, che troviamo impilati ovunque ci spostiamo. Non galleggiano in superficie. Al contrario, se li dissotteriamo dal fondo, rimangono lì. E se li raccogliamo per poi lasciarli andare, cadono di nuovo verso il basso. Tuttavia, possiamo impilarli uno
sopra l’altro e comporre forme nuove e interessanti. Forme alte. Forme rotonde. Forme appuntite.
Forme bucherellate. Dipende dall’umore in cui siamo. Ma se siamo troppo bruschi nell’impilarli, questi corpi si possono facilmente spezzare e
dobbiamo usarne di nuovi.
Ma qui, i nostri corpi preferiti sono senza dubbio quelli numerosi, alti e rotondi, che si ergono dal fondo. Neppure questi li abbiamo ancora incrociati da altre parti. Sono tutti più o meno della stessa misura, ma nessuno di essi raggiunge la luce. Ce ne sono molti, e stanno così vicini che quasi sempre perdiamo traccia di dove siamo quando ci muoviamo tra di essi, o dimentichiamo se ci siamo già passati prima. Talvolta saltiamo da uno all’altro o ci giriamo in tondo tutt’attorno. Altre volte ci infiliamo solamente tra di essi per sentirne i corpi a contatto con il nostro. Questa sensazione non ha nulla a che vedere con il muoversi nell’acqua. La maggior parte di essi sono estremamente lisci al tatto, ma quasi tutti hanno piccole crepe e buchi che ci stupiscono ogni volta che li tocchiamo.
In questo momento, stiamo andando nella loro direzione. Verso gli alti corpi che si innalzano dal fondo. È un bene che l’acqua sia totalmente limpida, così possiamo vedere i corpi nei loro dettagli. Come i piccoli fori nei lunghi corpi tra i quali passiamo attraverso. È una sensazione del tutto unica.
Siamo impazienti. Ci sentiamo sempre così quando scorgiamo i corpi alti. Prima ancora di raggiungerli, allunghiamo parte del nostro corpo, lo arrotoliamo attorno a uno dei corpi alti e lo estendiamo fino a che non lo abbiamo avvolto completamente. Stiamo qui per un po’ prima di decidere dove continuare a esplorare. Poi ci dirigiamo verso il luogo dove i corpi alti non sono così vicini.
Lo vediamo subito. Qualcosa si protende dalla melma, proprio lì, dove affonda uno dei corpi alti. La sua forma non assomiglia a niente di mai visto fino ad ora: un ovale che si apre su un lato. Non ci è chiaro perchè non lo abbiamo mai notato prima. È proprio lì, di fronte a noi, eppure siamo stati qui un’infinità di volte.
Da quanto tempo è qui?
Da vicino possiamo vedere che l’ovale aperto è connesso a qualcosa. Con molta cautela, lo afferriamo per vedere se possiamo tirarlo fuori dalla melma. Ci riusciamo, e il piccolo ovale risulta connesso a un corpo che non assomiglia a nulla di ciò che abbiamo trovato fino ad ora. Dalla melma fuoriesce prima una forma lunga e sottile che è collegata a una forma notevolmente più grande. Ci sono quattro di queste forme lunghe e slanciate su questo grande corpo: due a ciascuna delle estremità. In fondo a ciascuna si trova uno dei piccoli ovali dai lati aperti. Attaccata a un’estremità del grande corpo c’è una massa aggrovigliata di materiale sottile e fibroso.
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
L’altra parte del corpo sembra completamente diversa. Qui si trovano altre due forme lunghe e sottili, collegate ai lati di una forma allungata, piatta e irregolare. Ma queste non sono le stesse delle prime quattro che abbiamo tirato fuori dalla melma. Sono più sottili, e alla fine di ciascuna c’è un’altra forma, che si muove lentamente nell’acqua quando giriamo il corpo per guardarle. Sono piatte e oblunghe, con linee e pieghe che corrono lungo un lato. A prima vista, queste forme lineari sembrano essere le stesse da entrambi i lati del corpo, ma, quando le confrontiamo presentano delle differenze.
Da queste forme piatte si protendono tre piccole forme allungate, e all’estremità di ciascuna c’è un materiale duro, simile agli ovali aperti ma molto più sottile, più simile a un guscio. Qui si protende una quarta forma, più grande delle altre, come se due di esse fossero cresciute insieme per creare un ammasso simile all’ovale. Se non altro, sembra avere la stessa consistenza dura dell’ovale. All’estremitá di questa parte del corpo, tra le forme lunghe e sottili, c’è una sfera irregolare, parzialmente coperta da un materiale che ricorda la massa aggrovigliata all’altra estremità del corpo, ma meno spessa e meno lunga. Dove il materiale fibroso non ricopre interamente la sfera ci sono una serie di fori: uno grande e sei piccoli. Sono posizionati simmetricamente: quattro davanti, con il foro più grande al centro e due ai lati.
Lo tiriamo completamente fuori dalla melma per esaminarlo nella sua interezza. Lo facciamo volteggiare creando bolle d’aria dal basso e, dopo averlo ripulito, iniziamo a esplorarne la superficie.
Le quattro forme lunghe e sottili sono morbide. O, per lo meno, sembra esserlo lo strato piú esterno.
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
Sotto di esso, possiamo percepire qualcosa di più duro. Vogliamo capire cosa sia, ma per prima cosa non possiamo fare a meno di inserire il loro corpo nel nostro. Ne adottiamo la forma, rivestendola interamente con il nostro
corpo liquido. Rimaniamo così per un po’, cercando di immaginare cosa possa essere, provando a essere noi stessi questo corpo mentre ne percepiamo la consistenza.
La maggior parte di esso risulta essere morbido e ruvido, ma solo quando facciamo scorrere il nostro corpo in una direzione. Se lo facciamo scorrere nell’altra direzione, verso la massa fibrosa e aggrovigliata, è completamente liscio. È diverso da qualsiasi cosa abbiamo mai provato. Liscio. Ruvido. Liscio. Ruvido. Liscio. Ruvido. Lasciamo che il nostro corpo scivoli avanti e indietro sulla sua superficie. Liscio. Ruvido. Liscio. Ruvido. Liscio. Ruvido.
La parte del corpo con una sfera alla fine ha una superficie diversa. È morbida e uniforme, ma di nuovo, possiamo sentire qualcosa di più duro al di sotto della superficie. Ci incuriosisce e al tempo stesso ci confonde. La sfera non è morbida dappertutto come il resto del corpo. Difatti, è per lo più dura. Esploriamo i buchi della sfera con il nostro corpo. Il buco più largo è circondato da un bordo soffice, ma quando ci addentriamo al suo interno incontriamo immediatamente due file ricurve di piccole forme dure. Sono lisce, ma irregolari su un lato. Stanno attaccate all’interno di una piccola cavità dai lati duri e con una grande forma morbida nel mezzo. Ci addentriamo nella cavità, più a fondo, e improvvisamente ne usciamo attraverso uno
dei due buchi sopra di essa. Lasciamo che il nostro corpo passi attraverso la cavità e fuoriesca dal buco. Dentro la cavità, fuori dal buco. Sempre più veloce. Il passaggio non pone alcuna resistenza.
Scopriamo che quando passiamo attraverso la cavità, possiamo anche emergerne fuori attraverso due altri fori se ci stringiamo attorno alle due sfere lisce e morbide che li bloccano. Dentro la cavità, fuori dai quattro fori. In un modo e nell’altro. A tratti scivolando, a tratti spingendo. È una forma di movimento che ci è nuova. Ci lascia solo più confusi. E più curiosi. I due fori su entrambi i lati della sfera sono circondati da una forma sinuosa. Quando proviamo a entrare, incontriamo subito resistenza e non possiamo andare oltre.
Lasciamo andare quel corpo e lo guardiamo ancora una volta mentre galleggia davanti a noi, nell’acqua. Ci è veramente estraneo. Creiamo più bolle per far roteare il corpo nell’acqua: lo facciamo cadere un po’ verso il fondo prima di farlo levitare di nuovo. Cade e risale. Cade e risale. È come se questo corpo sapesse qualcosa dell’acqua che noi non sappiamo.
Siamo sopraffatti dalla curiosità.
Rendiamo il nostro corpo appuntito e ne perforiamo la superficie per aprirlo, dalla massa aggrovigliata a un’estremità fino alla sfera collocata
all’altra. All’interno del corpo c’è una miriade di forme morbide tutte intrecciate. È impossibile vedere dove una forma finisce e un’altra comincia. Cosí, vediamo che la durezza percepita sotto la superficie del corpo è in realtà composta da forme adiacenti di varie dimensioni. Alcune di esse sono molto piccole.
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
Sembrano costituire una struttura interconnessa, piena di dettagli. Su entrambi i lati del corpo c’è una fila di forme, vicine tra loro, che racchiudono al loro interno materiale morbido, come se lo contenessero. Sono collegate a una forma lunga e ricurva composta da molte parti piccolissime. Lungo le forme dure corrono forme tonde e oblunghe che risultano sia morbide che dure. Si allungano un po’ quando le tiriamo, ma sono saldamente attaccate, ed è come se tenessero insieme tutte le forme dure. Ma non riusciamo a capire come.
Scandagliamo la serie di forme morbide. Ci perdiamo dentro di esse, ma ciò non ci preoccupa. La sensazione di morbidezza che percepiamo sul nostro corpo mentre ci muoviamo tra queste forme è eccitante. Liscie e morbide, leggere e pesanti. All’interno delle forme, ci muoviamo ovunque ci è possibile. Dentro e fuori, tutto attorno. Prima lentamente, poi velocemente, poi ancora lentamente.
All’improvviso sentiamo qualcosa tirare. Una serie di brevi e ritmici strattoni. Ci fermiamo. Gli strattoni si ripetono con lo stesso ritmo. Che cosa ci sta tirando? Cerchiamo di afferrarlo, ma ci risulta difficile. Sembra che sfugga alla nostra presa. Quando finalmente riusciamo ad afferrarlo, possiamo sentire che è saldamente attaccato alle forme morbide e alle forme lunghe e dure. Lo tiriamo, ma non è facile districarlo. Tiriamo più forte finché non lo sentiamo cedere e con qualche strattone in più riusciamo a liberarlo.
Ci tiriamo fuori dal materiale morbido per vedere cosa ci ha strattonato. È una piccola sfera perfetta di materiale morbido. Come riesca a tirare, ci è difficile constatarlo. Accerchiamo l’orbita con il nostro corpo e di nuovo sentiamo i suoi brevi e ritmici colpi. Trac-Trac-Trac-Trac-Trac. Trac-Trac-Trac-Trac-Trac. Rimaniamo così per un po’ finché non ci rendiamo conto che qualcosa all’interno
della sfera si muove. Controlliamo di nuovo. Sì, qualcosa si sta muovendo lì dentro, e mentre si muove è come se stesse entrando dentro di noi. Sembra addirittura che si muova attraverso. Non ci è mai successo niente del genere prima d’ora.
Lasciamo andare la sfera, e per un momento essa galleggia immobile nell’acqua, quasi come se ci stesse guardando. Poi ritorna verso il corpo con un rapido sussulto, scomparendo alla vista mentre viene inghiottita dalle forme morbide.
Di nuovo, ci fermiamo, immobili, e guardiamo il corpo che fluttua. Sembra ancora più sorprendente di quando, inizialmente, lo abbiamo tirato fuori dalla melma.
Alla fine, la tentazione diventa irresistibile.
Smettiamo di fare bolle per mantenere il cor-po sospeso nell’acqua. Ci contraiamo e scivoliamo all’interno del corpo, chiudendo una delle aperture dall’interno. Sentiamo il corpo cadere nell’acqua e toccare il fondo. Il tonfo emana una scossa che percorre il nostro corpo, e ci vuole un po’ prima di tornare nuovamente immobili. Dentro il corpo. Circondati da forme a noi sconosciute.
Quando ci muoviamo, le forme morbide premono contro il nostro corpo, ma cedono la presa quando spingiamo contro di esse. È una sensazione che non abbiamo mai provato in acqua. Con le forme dure e sottili è diverso.
Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Pavilion of Denmark, Biennale Arte, 2022. Credit Ugo Carmine.
Non cedono, anzi, quando spingiamo contro di loro, sentiamo come uno scatto, un rumore acuto.
La piccola sfera comincia di nuovo a tirarci. Trac-Trac-Trac-Trac-Trac. Trac. Invece di cercare di sfuggire alla sua presa, tiriamo anche noi con lo stesso ritmo. Trac-Trac-Trac-Trac-Trac. Dopo un po’, non capiamo più chi stia tirando e chi sia tirato. È come se il nostro corpo fosse diventato un tutt’uno con la sfera. Oppure è la sfera che è diventata tutt’uno con il nostro corpo. Siamo lo stesso corpo.
Defluiamo lungo le forme lunghe e sottili, nella sfera irregolare con la morbida forma contorta all’interno. Sentiamo ogni dettaglio del corpo. Lo abitiamo nella sua interezza.
Giaciamo completamente immobili sul fondo assieme alle sei forme lunghe e sottili che puntano verso la luce. Poi, iniziamo a muoverle. Avanti e indietro. Tutto attorno. Velocemente e lentamente. Tutte le forme. Le sei lunghe e le otto corte.
La sfera a un’estremità e la massa aggrovigliata all’altra.
Infine, giriamo il corpo in modo che gli ovali aperti da un lato stiano dritti sul fondo. È difficile non cadercisi sopra. Le forme lunghe e sottili si piegano facilmente. Eppure riusciamo a stare così per un po’, sentendo l’acqua che tocca il nostro corpo. Poi, ondeggianti, iniziamo a muoverci sul fondo, tra gli alti corpi che si ergono nell’acqua.
Padiglione della Danimarca alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia