Ferzan Ozpetek
Venetika
MAXXI Museo Nazionale dell’Arte del XXI secolo
piazza del Museo
a cura di Giovanna Zabotti
Una singolare scatola magica, un cubo rosso di legno e specchi che racchiude un universo parallelo, unico e indimenticabile. È Venezia, è una donna, bellissima ed eterna.
Venezia crocevia di popoli, Venezia multiculturale, Venezia porta da e verso il mondo. Ferzan Ozpetek si è immerso nella città, è diventato parte di essa, ha scelto di viverla con occhi diversi e ne ha fatto un ritratto unico: Kasia Smutniak in apnea, ripresa tra le proiezioni delle più famose rappresentazioni pittoriche della città, dei suoi inconfondibili scorci. Venetika è un percorso immersivo dove il video si specchia su una vasca d’acqua, mentre in diffusione si percepisce il profumo della laguna, accompagnato dalla musica di Sezen Aksu.
Una scatola magica racchiude in sé la Venezia visionaria di Ferzan Ozpetek, un progetto nato per la 58ma Biennale d’Arte. Venezia è una donna immersa nell’acqua. La superficie mobile liquida e opaca, del mare sembra farle da schermo e sul suo volto e sul suo corpo passano le immagini, filtrate dall’acqua, dei Materiali in cui si è concretizzata la città quando il liquido si è fatto solido ed è divenuto improvvisamente marmo, legno, corda e metallo.
Ferzan Ozpetek, Venetika, 2022, MAXXI, installation view © foto Daniel Richard Passfiume, courtesy Fondazione MAXXI
Valentina Galeotti
Su Venetika
Venetika è il nome dell’ultima istallazione allestita al MAXXI Museo Nazionale dell’Arte del XXI secolo, ad opera del regista Ferzan Özpetek ed esposto per la prima volta al Padiglione Venezia dell’Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia 2019, curato da Giovanna Zabotti.
L’installazione si presenta come una scatola quadrata con pareti specchianti all’interno delle quali è proiettato un video in cui la protagonista, Kasia Smutniak, si immerge e ri-emerge dall’acqua. In sottofondo le note di Sezen Aksu.
Il regista afferma che nell’opera la donna è Venezia, misteriosa, enigmatica, irriducibile, sdraiata sotto l’acqua perché lei “da tutto è posseduta e tutto però nello stesso tempo possiede”.
Da qui, diverse le questioni che verrebbero da porsi. Tra queste una. Ossia di quale ordine sono la splendida immersione ed emersione cui si assiste?
La scena sembra evocare un primo elemento ossia l’inafferrabilità dell’opera d’arte. Per dirla con Adorno la forza dell’opera, quando si può definire tale, sta nel potersi dire
mai del tutto, nella sua
costitutiva insufficienza1, nella sua non definizione, nel suo mantenere, ripetutamente, una quota di enigma tale da renderla mai del tutto presente a se stessa. In altre parole, quando lo spettatore pensa “sì, vuol dire
questo”, in quel momento
questo sfugge.
L’attrice/Venezia che incarna l’opera tutta, si vede apparire e scomparire, nella presenza e nell'assenza, non si ferma mai. E’ letteralmente in-arrestabile.
Il visitatore rimane disorientato e in modo fatalmente ineluttabile, mancante di qualcosa. Lo si potrebbe immaginare dire: ancora.. ancora. Ogni volta che Kasia ri-emerge, torna al mondo. E’ un’altra pur rimanendo sempre la stessa.
Lo psicoanalista francese Jacques Lacan negli anni tra il 1972 e il 1973 terrà un Seminario che prenderà il nome di
Encore2,
Ancora in lingua italiana.
Perché evocare nuovamente questa parola? In questo seminario Lacan si sofferma sull’amore lasciando intendere che i due della coppia non faranno mai una sola cosa, l’incontro non sarà mai possibile, rimarrà sempre uno scarto incolmabile tra l’uno e l’altra e solo questo elemento di perpetuo incontro sfiorato, come Kasia con l’acqua, fa si che l'uno cerchi l’altra e viceversa, ancora e ancora.
L’opera
Venetika sembra inscenare questo non-incontro, questo eccedente che rimane tale e che non sfama lo spettatore ma lo lascia desideroso e desiderante. Nello stordimento.
Un altro elemento, alla presenza di tanti altri, s'illumina. L’oggetto sguardo. Lo sguardo dell’attrice evoca, specie in un fotogramma di qualche secondo, il terrore, lo spavento, lo sgomento.
Il perturbante entra in scena. Entrano in scena la
Donna in camicia di Derain, la
Maya desnuda di Goya, entra in scena, per un istante, la vita che sfiora la morte.
Per quell’istante, e qui la straordinaria bellezza di questa opera d’arte, la vita e la morte si toccano.
Che sia questa la forza inaudita di quest’opera? Al cospetto di essa si ha la sensazione non di essere di fronte ad una delle molte installazioni a carattere immersivo in cui sono l’evento, l’esperienza, l’
happening, la vicinanza a farla da padrone.
L’opera
Venetika non sembra rincorrere l’idolatria del nuovo, dello spettacolare, dell’originale di cui molta arte contemporanea sembra a tratti, essere vittima, ma al contrario custodisce il segreto, l’antico che si annoda al qui e ora, pur con un mezzo contemporaneo come il video.
In quest'opera non vi è padrone, essa presenta la sua autonomia, il suo circolo che avanza, retrocede, ritorna a prescindere dallo spettatore.
La Venezia/Kasia è imprendibile, inafferrabile, invalicabile, austera e per questo dotata, potremmo dire con Benjamin3, dell’aura
propria delle opere dell’arte con un requisito in più: la piena rinuncia alla mimesi, in questo dunque profondamente contemporanea.
Un terzo elemento estremamente interessante: il luogo in cui sorge l’istallazione. Essa sorge in una piazza, la piazza di un museo, il MAXXI, museo che ancora una volta testimonia scelte curatoriali audaci che non temono di essere portatrici di un dire contemporaneo e allo stesso di un portato evocativo di passato e di memoria, che alcune belle opere, come
Venetika, recano con sé.
Ferzan Ozpetek, Venetika, 2022, MAXXI, installation view © foto Daniel Richard Passfiume, courtesy Fondazione MAXXI
Note
1. Adorno T., Teoria estetica, Ed. it. Einaudi, Torino, 2009, p.172.
2. Lacan J., Il Seminario. Ancora., Ed. it. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2011.
3. Benjamin W., L’opera d’arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica, Ed. it Giulio Einaudi Editore, Torino, 2011.