Il Padiglione francese presenta la mostra multidisciplinare di Zineb Sedira, un'installazione immersiva che comprende film, sculture, fotografie, suono e collage. Nella continuità della sua pratica artistica, Sedira impiega la narrativa autobiografica, la finzione e il documentario per evidenziare la solidarietà internazionale, passata e presente, legata alle lotte storiche di liberazione. Il suo approccio ha anche valore di avvertimento, il fallimento di una promessa di emancipazione che, per molti rimane un sogno irrealizzato, persino irraggiungibile.
In
Les rêves n'ont pas de titre, l'artista affronta un'importante punto di svolta nella storia della produzione culturale, intellettuale d'avanguardia degli anni '60, '70 e oltre, in particolare in Francia, Italia e Algeria. Si concentra su un corpus di co-produzioni e realizzazioni cinematografiche, in particolare a carattere militante, che hanno avuto un impatto sui movimenti postcoloniali.
Attraverso la frequentazione degli archivi della Cineteca di Algeri, ha potuto esplorare il ricchissimo patrimonio cinematografico del paese, trascurato dalla storia delle avanguardie della settima arte. Aderendo ai cosiddetti valori ed estetiche del Terzo-Mondo, il cinema post-indipendenza di Francia, Italia e Algeria ha costituito una vera rivoluzione sul grande schermo. Per tutta la sua vita, Zineb Sedira si è sentita vicina a questo movimento militante e anticoloniale ispirato al modello cubano. Questo movimento ha fatto prova di coraggio politico che lei considera esemplare in termini di solidarietà per l'epoca, e che spera di far rivivere oggi.
Zineb Sedira, Les rêves n’ont pas de titre, Photo by Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia
Nel corso del suo vasto lavoro di ricerca in vari archivi cinematografici internazionali, Sedira ha scoperta all'AAMOD (Archivi audiovisivi del Movimento Lavoratori e Democratici) a Roma, il documentario Les Mains libres, del regista italiano Ennio Lorenzini risalente al 1964. Il primo saggio cinematografico prodotto in Algeria all'indomani della sua indipendenza, questo lavoro era da allora scomparso dagli schermi e dai ricordi.
Inoltre, in
Les rêves n'ont pas de titre il suo film per il Padiglione francese, l'artista ha inserito dei remake di scene di film e sequenze di montaggio dai sui film. Ha anche ricostruito dei veri set cinematografici, utilizzati per il suo film, e ha conservato i giornalieri delle riprese.
"
Metto in relazione la nozione di remake con quella di 'mise en abyme', che affiora spesso nel mio lavoro. Sono un artista-regista che crea un film nel film. Sulla base della mia storia personale, uso diverse strategie per 'mettre en abyme' la storia del cinema e creare una finzione di realtà", spiega Zineb Sedira. Dalla scena iniziale del suo film, mette in discussione la nozione di appropriazione facendo riferimento al film di Orson Welles
F for Fake e la frase del regista secondo il quale “
This film is about trickery.”
Zineb Sedira, Les rêves n’ont pas de titre, Photo by Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia
Zineb Sedira attinge anche alla storia della propria vita, a quella della sua famiglia e della sua comunità, per arricchire sia la critica dell'eredità coloniale che i dibattiti attuali su integrazione, vulnerabilità e resilienza, ma anche di mettere in discussione la nostra capacità di sognare. Mettendo in discussione le nozioni di autorialità e autenticità, Sedira si vede come una specie di attrice, una famosa regista, usurpatrice suo malgrado, alla ricerca della verità ultima. Continuano a sorgere due domande: chi sta scrivendo la S/storia e per chi?
L'artista usa la musica, il film, la letteratura, tra gli altri media, per affrontare la questione della libertà, le lotte di liberazione e altre forme di resistenza, così come per combattere la discriminazione, la colonizzazione e il razzismo. Evidenziando le reti esistenti di solidarietà Nord-Sud, Sedira intende andare oltre la divisione bipolare Est-Ovest del periodo della guerra fredda e il tradizionale approccio al terzo-mondismo, e non esita ad attingere alla sua esperienza personale, a cui lei associa la sua famiglia e la sua comunità artistica e intellettuale.
La mostra di Zineb Sedira riflette come una "Sfera" che invita lo spettatore a danzare - ballare per resistere, danzare per rinascere, danzare per sognare... Et ses rêves n’ont pas de titre.
Zineb Sedira, Les rêves n’ont pas de titre Photo by Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia
Conversazione:
Zineb Sedira / Yasmina Reggad
Yasmina Reggad: Abbiamo creato 'aria' (residenza d'artista ad Algeri) nel 2011. È stata la prima delle nostre collaborazioni e si è rivelato un terreno fertile di apprendimento, di scoperta e di scambio di saperi che ha dato vita a una singolare complicità tra noi, portata al suo culmine dieci anni dopo con il Padiglione francese. Il tuo lavoro va avanti e indietro tra Regno Unito, la Francia e l'Algeria da due decenni. Come si inserisce 'aria' in tutto questo?
Zineb Sedira : Considero 'aria' come un'estensione della mia pratica artistica. Questa residenza d'artista dà un ancoraggio permanente al mio lavoro in Algeria. È anche il quartier generale della mia estesa famiglia artistica algerina.
Posso includere il progetto di un artista associato ad 'aria' in alcune delle mie mostre, o di collaborare più direttamente sullo sviluppo o la realizzazione delle opere. Vedremo alcuni di questi collaboratori apparire nel mio progetto per il Padiglione francese.
Zineb Sedira, Les rêves n’ont pas de titre ©Thierry Bal et © Zineb Sedira
Yasmina Reggad: Ricollocare la città di Algeri nella cartografia dei centri di produzione artistica internazionale, non sarebbe un tentativo di ricreare le condizioni e proporre una traduzione attuale dell'Algeri degli anni 70, "la Mecca di rivoluzionari"?
È infatti in questo contesto di effervescenza intellettuale e politica degli anni '60 e '70 che il vostro nuovo lavoro è situato. Un tempo in cui gli attivisti di tutto il mondo si sono incontrati in Algeria per discutere, per estendere i fronti di lotta e inventare nuovi futuri.
In questo spirito, il tuo nuovo lavoro riunisce i tuoi collaboratori, la famiglia affettiva e intellettuale che ti ha accompagnato e sostenuto durante tutta la tua carriera e che incarna le diverse fasi dalla ricerca alla produzione e all'esposizione del lavoro finale.
Zineb Sedira: Il mio apprendistato nella collaborazione è stato prima con mia madre, mio padre e mia figlia, e si è materializzato nelle mie prime opere video. Questo fino a quando nel 2006 ho iniziato a girare e viaggiare con una troupe professionale, e a condividere momenti indimenticabili di scambio creativo e discussioni politiche, in particolare in Algeria e Mauritania. Il mio piccolo gruppo è rimasto lo stesso per molti anni, e queste amicizie sincere resistono.
La condivisione di esperienze singolari, di scoperte e idee uniche mi sono necessarie per compensare la solitudine dell'Atelier e per andare avanti. Queste collaborazioni e questa seconda famiglia sono la forza motrice del mio sviluppo artistico. È quindi naturale che il mio progetto fa eco a questa genealogia ed approfitto dell'opportunità di questa avventura veneziana per circondarmi ancora una volta di collaboratori di lunga data e più recenti.
Pavillon français Biennale de Venise - Zineb Sedira et Yasmina Reggad - Les rêves n'ont pas de titre - ©Thierry Bal-24
Yasmina Reggad: La tua passione e il tuo desiderio di cinema diventano disponibili solo dopo la tua mostra personale A Brief Moment al Jeu de Paume di Parigi nel 2019. Per il Padiglione francese, avete scelto di affrontare un'importante tema della storia mondiale dal punto di vista della produzione culturale, intellettuale e d'avanguardia, concentrandosi sulla 7a arte con collaborazioni inaspettate tra Francia e Italia con l'Algeria, un repertorio da cui tu attingi nel tuo progetto. Da dove viene questa passione per il cinema - soprattutto quello militante - e per le camere oscure?
Zineb Sedira : Quando parlo del cinema di questo periodo, parlo del cinema della mia infanzia negli anni 60 e di mio padre.
Fu infatti con lui che andai al cinema Les Variétés a Gennevilliers (ora sparito). Vi ho visto dei
film egiziani, ma erano i classici italiani e gli spaghetti western che mi hanno fatto più effetto. Gennevilliers è una tappa importante nella realizzazione di questo progetto, ed è nel cinema Jean Vigo che ho recentemente filmato i miei genitori.
Più tardi, quando ho visitato gli archivi della Cneteca Algerina per la prima volta nel 2017, ho scoperto il ricco patrimonio cinematografico di questo paese, troppo poco (ri)conosciuto nella storia dell'avanguardia del medium.
Il cinema sviluppato dopo l'indipendenza ha aderito ai valori e all'estetica del Terzo-Mondo, una vera rivoluzione sul grande schermo.
Mi sono sentita vicina a questa corrente militante e anticoloniale ispirata al modello cubano che testimonia il coraggio politico di alcuni direttori. Nel mio nuovo progetto, è stato importante ricordare alla gente che in Francia e soprattutto in Italia, i registi hanno (co)prodotto film che hanno sostenuto le idee sviluppate poi nel Terzo-Mondo.
Perciò considero queste co-produzioni come una delle manifestazioni più importanti della solidarietà sostenuta in quell'epoca, che sto cercando di riattivare oggi.
Zineb Sedira, Les rêves n’ont pas de titre Photo by Marco Cappelletti Courtesy: La Biennale di Venezia
Les texts n'ont pas de titre
di Sam Bardaouil e Till Fellrath
Per più di due decenni, Zineb Sedira ha utilizzato la fotografia e il cinema in tutte le loro forme per esplorare le tracce di una serie di storie controverse che ancora inquietano il nostro presente. Abbiamo scoperto il lavoro di Zineb nel 2008, in circostanze che sono meno importanti del lavoro che abbiamo visto. Questo pezzo iconico,
The Lovers (2008), è un'immagine ossessionante di due relitti di barche ancora a galla, appoggiati l'uno all'altro come due esseri umani : una coppia spezzata dal passare del tempo e dalla forza erosiva di un mare implacabile. Zineb ha scattato questa fotografia durante una spedizione sulla costa della Mauritania, una zona geografica segnata da partenze quotidiane, ma anche dal macabro ritorno dei corpi di giovani africani partiti per l'Europa. Attraverso la rappresentazione di una storia dolorosa, quest'opera ci costringe a prendere atto delle realtà urgenti in una crisi in corso.
L'urgenza e l'incrollabile umanità con cui Zineb Sedira ha affrontato il suo tema ci è apparso subito come un segno che, prima o poi, le nostre strade si sarebbero incrociate e avremmo lavorato insieme. Questo è quello che è accaduto due anni dopo con
The End of the Road (2010), un pezzo originariamente commissionato per
Told - Untold - Retold, la mostra inaugurale di arte contemporanea al Mathaf, il museo arabo di arte moderna di Doha. Immagini fotografiche di vecchie auto distrutte, incorniciate in light-box a diverse dimensioni - un tipico dispositivo di Zineb - accompagnano un dittico in video che ci mostra la distruzione di automobili, inghiottite inesorabilmente da una macchina che le frantuma. La voce narrante fuori campo, prodotta dall'artista, evoca i detriti della globalizzazione, combinando il personale e l'universale in un lavoro che è sia politico che visivo.
Pavillon français Biennale de Venise - Zineb Sedira - Les rêves n'ont pas de titre - ©Thierry Bal-22
Da allora, le nostre collaborazioni con Zineb hanno preso diverse forme, con il film che assume un posto sempre più importante nella sua pratica poliedrica.
La sovrapposizione di storie, luoghi e oggetti in lunghi periodi di archiviazione e di ricerca archivistica e di riflessione creativa è il cuore del suo lavoro. Con la precisione di un archeologo e la curiosità di un detective, scopre i residui di molte lotte storiche per determinare i contorni del nostro presente.
Sostenuta nell'esperienza della sua famiglia emigrata dall'Algeria in Francia, la sua infanzia a Parigi e il suo trasferimento in Inghilterra nel 1986, unisce il personale e il collettivo, azione e immobilità, finzione e realtà, attraverso una lettura critica degli annali della storia. Affronta una serie di questioni scottanti, dall'eredità coloniale ai dibattiti attuali su integrazione, mobilità e globalizzazione, Zineb non ha paura di confrontarsi con le tensioni di un mondo eminentemente politico, anche se il suo sguardo è rivolto verso un futuro di possibilità infinite.
Nella continuità degli aspetti principali sviluppati nella sua pratica, Zineb ha immaginato un'installazione immersiva che trasformerà l'intero spazio del Padiglione francese. Utilizzerà le modalità e gli strumenti del cinema per creare un'ambiente in cui le linee di faglia che distinguono il passato dal presente si confondono.
Attingendo a film significativi dell'eclettico repertorio del cinema degli anni '60, in particolare il filone attivista in cui la produzione cinematografica in Algeria ha giocato un ruolo centrale, Zineb rivisita varie sequenze per riformulare una moltitudine di narrazioni che sono state a lungo associate al discorso sulla decolonizzazione e le sue varie strategie. In questo universo in scena, Zineb concepisce l'architettura del Padiglione come un'estensione dell'immagine proiettata. Lei confronta l'affidabilità spesso contestata degli archivi con le risorse illimitate della narrazione per esaminare l'intreccio tra cinema e politica.
Mentre le società di tutto il mondo soffrono le ripercussioni delle lotte politiche e storiche, spesso all'indomani di eredità contestate, Zineb vede il suo progetto per il Padiglione francese come tributo agli individui e alle comunità che hanno utilizzato il potenziale del film per mettere in evidenza il giogo della colonizzazione. La sua mostra è un invito a riconoscere queste pietre miliari del cinema, alcune delle quali sono rimaste nell'ombra per diversi decenni. Ma è anche un avvertimento alla promessa di emancipazione che è rimasta per molti un sogno irrealizzato. È in questo fluttuare nel mezzo, tra guadagni e perdite, realizzazioni e sconfitte, che il Padiglione immaginato da Zineb esiste, scompare e resiste...
Yasmina Reggad, Zineb Sedira, Sam Bardaouil, Till Fellrath, ©Thierry Bal et © Zineb Sedira
Padiglione della Francia alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia