en: art of nexus
Nel Giappone contemporaneo dove la disoccupazione in particolare quella giovanile si è fatta drammatica e disparità e indigenza crescono di giorno in giorno, l'economia ad alto tasso di crescita del dopoguerra e ormai un evento storico appartenente a un passato distante.
A ciò si aggiunga il senso di smarrimento causato dal grande Terremoto del Giappone orientale, 11 marzo 2011; ne risulta un Giappone al culmine di un importante punto di svolta. Come è cambiata la nostra architettura per adeguarsi alla nuova era? Dove è diretta esattamente?
Che si tratti di un rifacimento ornamentale o della modifica drastica di una cornice preesistente, molti dei temi affrontati non sono visibili a livello superficiale nei lavori presentati. L'effetto è dovuto all'enfasi dedicata ai legami - en in giapponese - tra persone, cose, e persone e cose: in altri termini il tema primario di questa mostra è l'importanza di creare e mutare en.
La mostra non intende formulare un mezzo, come quelli visti nel Modernismo, che risolva traverso storia e slogan. Si vogliono piuttosto esaminare i diversi conflitti individuali nella lotta contro le circostanze e i temi di attualità. Attraverso tali conflitti condotti in prima linea per assicurarci la sopravvivenza a difficoltà anche embrionali, il gruppo delle opere presenti incentrate su una molteplicità di en, possiedono il potenziale latente di fare da base eventuale per il cambiamento sociale.
Yoshiyuki Yamana
House for Seven People. Sadao Hotta
L'en delle persone
Nel dopoguerra l'edilizia residenziale urbana giapponese, rappresentata dalla tipologia delle case unifamiliari e dei blocchi di appartamenti, è stata quasi esclusivamente concepita a misura di famiglia nucleare: la casa come spazio autosufficiente per la vita prospera e serena della singola famiglia. Ognuno può soddisfare i suoi bisogni all'interno della casa e vivere senza tessere complicate relazioni con gli altri, evitando tensioni e frizioni. Questa tendenza trova ulteriore conferma negli anni 1980 con la diffusione dei monolocali per single. Lo spazio che isola il singolo significa libertà dai vincoli comunitari o familiari che genera anche problemi, quali isolamento sociale, violenza domestica, rarefazione della vita comunitaria, assenza di occasioni informali di incontro tra persone.
La tendenza a creare spazi aperti nelle case che si manifesta dalla seconda metà degli anni 2000 si può considerare una risposta ai problemi generati dalla segregazione abitativa degli individui. In varie regioni del Giappone cominciano a fiorire iniziative che puntano ad aprire le case creando al loro interno luoghi dove le persone possono incontrarsi per cenare insieme, organizzare riunioni di lettura, assistere a proiezioni di film. È la prova che sempre più persone non accontentandosi di una dimensione esclusivamente individuale o familiare cercano forme leggere di convivenza con vicini e amici.
Gli architetti sensibile a queste tematiche inseriscono spazi di incontro negli edifici dove abitano più persone e traslano all'interno luoghi tradizionalmente considerati esterni come vicoli, verande caffè e piazze. Pensati nel rispetto della vita privata dei residenti e concepiti in modo che la dimensione comunitaria non possa degenerare in attriti, questi spazi interstiziali sono i catalizzatori di incontri inaspettati.
La creazione di luoghi di incontro tra persone e diventa anche tentativo di connessione tra cose. Negli Appartments with a Small Restaurant al primo piano troviamo la cucina comune mentre nel dialetto tridimensionale che attraversa tutte e tre i piani sono collocate cose come lavatrici e panchine il cui utilizzo diventa occasione di incontro. L'architetto è consapevole che le abitudini e gli ambienti che permettono l'incontro tra persone sono definiti dalle relazioni tra le cose. Da questo punto di vista lo spazio dell'en delle persone si può considerare come lo spazio dell'incontro tra le cose con le cose.
House at Komazawa Park. Koichi Torimura
L'en delle cose
Il dibattito sulla società dei consumi aveva relegato le cose nel territorio del significato; sì riconosceva un senso alle cose solo quando la loro distribuzione e il loro consumo avveniva nella dimensione, autonoma rispetto a quella materiale, degli effetti semantici. In tale contesto il valore era creato dalla novità. Giochi otteneva l'attenzione delle masse era considerato valido e poteva entrare nel circuito mediatico.
Tuttavia dagli anni 2010 gli architetti cominciarono a riscoprire nelle cose la dimensione che non ricade nel territorio del significato: la materialità. Si svolgono l'attenzione alle caratteristiche materiche, ai fattori temporali, alla relazione con il corpo, alla percezione dei luoghi dove avviene l'interazione con le cose. L'interesse per la materialità delle cose porta gli architetti a esplorare anche la propria corporeità. L'architetto esce dal mondo astratto degli elaborati progettuali e si confronta senza preconcetti con la realtà del luogo scelto per il suo lavoro, si impegna comprendere lo spirito del luogo, le caratteristiche materiche dell'edificio su cui interviene, le sensazioni tattili dei materiali, la vita reale dei futuri abitanti passando attraverso un processo cognitivo squisitamente fisico: osservare parlare ascoltare vedere annusare.
Gli architetti delle cose si interessano anche al processo di realizzazione dell'opera: "L'Architettura è un mettere insieme le cose, è un attività collaborativa dove si uniscono tante cose generate separatamente con la divisione del lavoro che data ogni singolo oggetto di storie e processi particolari. Si forma così una rete che mette relazione una pluralità di attori, cose e persone". L'architettura è un assemblaggio di cose che prende vita grazie alle persone che le raccolgono, le uniscono e lei modellano: un organismo collettivo attivo che ha come elementi costitutivi persone e cose. L'architettura è la forma che si materializza quando cose persone si riuniscono generando una rete di relazioni reciproche. Di fronte alle variazioni d'uso o ai cambiamenti nella composizione familiare gli architetti delle cose intervengono riducendo le superfici o eliminando elementi architettonici: un architettura per sottrazione che genera luoghi con nuove qualità spaziali.
Le cose sono considerate nella loro pluralità. In House in Chofu ogni singola cosa è un elemento distinto intriso di una temporalità molteplice. Che sia nuova o antica, a ogni cosa si assegna pari dignità: e la sua individualità materica che genera valore e la rende valida come elemento architettonico. La personalità del singolo oggetto si manifesta nella qualità materica e nell'atmosfera che promana: confrontandosi con la specifica temporalità dei singoli oggetti e con il sentimento di nostalgia generato da essi, gli architetti reagiscono creando architetture permeate di una nuova temporalità rivolta al futuro. L'architettura si ridefinisce come ciò che mette in relazione le cose intessendo una struttura reticolare.
Umaki Camp. Yoshiro Masuda
L'en del territorio
La Provincia giapponese e in declino. Gli investimenti provenienti dal centro scarseggiano e la popolazione diminuisce. Nelle zone commerciali un tempo fiorenti arrivano sempre meno clienti e aumentano le serrande abbassate: le città di provincia sono avvolti da un'atmosfera di stagnazione.
Dagli anni 2010 si cominciano a notare alcuni timidi tentativi di scuotere l'inerzia. Le iniziative di Kamiyama e Shodoshima, presentate nella mostra, sono esenti particolarmente interessanti. Elemento comune è l'arte: progetti di residenze artistiche forniscono l'occasione per invitare persone da altre regioni e il contatto con gli artisti stimola gli abitanti a intraprendere nuove iniziative. Si mettono in luce personalità che cercano di mantenere vivo lo slancio: non solo invitano nuove persone e presentano loro opportunità di lavoro ma creano anche momenti di incontro con gli abitanti tessendo relazioni che generano nuovi luoghi di comunicazione.
Inoltre aiutano a costruire spazi semplici e genuini dove si svolgono le azioni basilari della vita quotidiana: lavorare, mangiare, conversare. Queste località attirano le professionalità più disparati dal esperto informatico (web design, gestione dei dati) all'artigiano del mobile o delle scarpe, dell'agricoltore al product designer. Gli abitanti di Kamiyama hanno coniato l'espressione spopolamento creativo: un modo per affrontare il declino con atteggiamento propositivo. Gli edifici che si fondano sull'en del territorio sono semplici e discreti. Si fondono con compostezza del paesaggio fatto di fiumi e alberi o nel contesto urbano esistente. Ma l'armonia con l'ambiente non è tutto. Ogni singolo edificio realizza spazi che permettono di stimolare, consolidare e sostenere i movimenti basilari dell'agire umano: incontrarsi, lavorare, mangiare. L'architetto si immerge in prima persona all'interno dei nessi che compongono la quotidianità del territorio e sviluppando una personale sensibilità corporea trasforma in architettura gli spazi potenziali di incontro.
Queste architetture dimostrano che le persone vivono all'interno di una rete di relazioni spaziali. Una pluralità di spazi che è piuttosto che consolidarsi in un tutto unico, si mettono in relazione, incrociandosi maniera fluida. Gli spazi dell'agire quotidiano non sono elementi di un teorico spazio totalizzante: ogni singolo spazio è stato concepito e realizzato con una propria ragione d'essere, mantiene il suo carattere e la sua profondità. Questo non significa che ogni spazio sia separato e autosufficiente: è distinto dagli altri spazi ma rimane sempre in relazione con essi. Il carattere lo spirito di un luogo di vita non nasce dalla sommatoria degli elementi individuali ma dalla inter relazione che si stabilisce tra essi. Qui entra in gioco l'architettura come fattore della vita delle persone. Architettura non è solo costruire edifici: l'architettura e ciò che permette di generare i luoghi del vivere.
Boundary Window. Shingo Masuda+Katsuhisa Otsubo Architects
Padiglione del Giappone alla 15. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia