Il museo MAGra quest'anno, invece del Letargo, celebra il risveglio.
E dopo tanti mesi di pausa, si sa, ci si risveglia affamati e assetati...
Ciao Chiara, ciao Luca.
Eccomi qua...in questi giorni ho pensato al possibile titolo per la mia opera e non ci crederete, ma ho avuto problemi. Nella sua semplicità, il mio intervento racchiude una grande quantità di significati che sento chiari in me ma assai confusi una volta che provo ad esprimerli a parole.
Chissà che non sia proprio questo il fine vero delle opere, esprimere ciò che altrimenti non sarebbe esprimibile. Questo porterebbe alla facile considerazione che ogni parola scritta o pronunciata sul significato delle opere è quantomeno inutile. Certo rimarrebbe la possibilità di continuare a parlare sul macro concetto Arte, sulle dinamiche, sul valore e sul sistema di questa. Ma non sulle singole opere ed i loro significati, andando quindi a perdere completamente la critica.
Ma ritornando a noi e rifiutando questa visione (un po' per reale convinzione e un po per convenienza immediata nel velocizzare il discorso e procedere con questa lettera), ho passato al vaglio molte possibilità di titoli. Da alcuni ovviamente molto complessi ad altri strutturati con sottotitoli esplicativi.
Ho chiesto aiuto a terminologie mediate dal pensiero filosofico. Mi ronzava in testa la contrapposizione fra immanenza e trascendenza e la reale appartenenza della scultura ad una di queste due categorie. Nell'andare a rileggermi il loro significato sono rotolato dalla Grecia all'Olanda di Spinoza, alla Germania di Kant e Nietzsche. Poi Austria, Francia passando per medioevo, positivismo, encicliche e Tommaso d'Aquino.
Ho scoperto e riscoperto nuovi concetti e parole ancora più affascinanti e curiose di cui era impossibile non innamorarsi e per un attimo non ipotizzarle usate nel titolo che stavo cercando. Impossibile almeno fino all'attimo successivo in cui approdavo ad una nuova parola, ad un nuovo concetto ancora migliore e ancora più affascinante.
Ma la lettura e la ricerca si sa... mettono sete e sono dunque sceso in cucina per bere qualcosa. Tra un sorso e l'altro mi è parso essermi allontanato troppo dal senso originario della mia opera. Mi sono chiesto adesso se potesse esser questo il valore di un'opera...quello di innesco, almeno per il suo autore, di una catena di scoperte successive senza soluzione che possano portare lontanissimo dall'opera stessa. L'infinità delle possibilità e dei percorsi generabili da un nocciolo di partenza. Un'opera può esser davvero considerata come una sorta di pila
inesauribile, un idolo atomico, che può attivare una reazione incontenibile e dirompente dagli effetti impossibili da calcolare, ne tanto meno domare, secondo un proprio terreno tornaconto? Ma com'è possibile realizzare qualcosa di tanto potente da parte di chi tale potenza non la ha? Come può un individuo creare un oggetto che stimoli lui stesso e gli altri ad avvicinare e comprendere concetti dei quali per primo egli stesso ne ignora l'esistenza? Non è strano che possano esistere opere capaci di parlare tutti i linguaggi del mondo, create da uomini che talvolta parlano a malapena un dialetto minore?
Ormai dissetato ma per niente sazio, sono tornato in studio convinto quindi che, sicuramente, per comprendere un'opera, non possiamo limitarci a ciò che mostra in maniera epidermica e neppure possiamo soffermarci solo sui significati didascalici e palesi che trasmette apparentemente. Essa infatti, deve mantenere delle zone d'ombra che possano suggerire senza spiegare, lavorando nel profondo; deve essere una sorta di vanga con cui ognuno può sentirsi capace di scavare queste profondità per ritrovarvi, in un viaggio infinito e circolare, nient'altro che l'opera iniziale. Oppure se stesso.
Questa caratteristica probabilmente deriva dalla stratificazione dei messaggi che
inconsciamente l'autore è riuscito ad inserirvi e dalle incalcolabili e innumerevoli capacità combinatorie con cui questi messaggi e segni riescono poi a fondersi tra loro generando altro, il più delle volte oscuro, in primis all'artista stesso. Una miriade di piani di lettura sovrapposti, universali, locali fino a quelli personali.
L'opera sarebbe così una specie di entità a se stante, un 'altro da tutto' capace di parlare tutti gli idiomi ed i codici del mondo.
Ma forse ora sono davvero troppo affamato per credere di credere ancora cose sensate e potrei quindi sbagliarmi. Magari sono solo superstizioni e non esiste nessuna capacità taumaturgica, neppure inconscia, in nessuna opera e tanto meno negli artisti.
Insomma...non lo so. Certamente a questo punto mi appare ridondante e più che altro poco spontaneo, caricare l'opera che ho preparato per il vostro museo di un titolo quasi sicuramente fuorviante.
Pertanto la intitolerei classicamente e semplicemente per quello che è: Natura morta con lettera.
A questo punto, senza volere, credo che questa mail potrebbe anche suggerirvi qualcosa per il testo da allegare, proponendo qualche vostra interpretazione del mio intervento che come abbiamo già detto, consiste nella copia in ceralacca di un nocciolo di pesca, appoggiato sopra una busta da lettere chiusa e ricavata dal piano di marmo di un vecchio scrittoio. Un nocciolo improduttivo dunque, su una busta non apribile. Una busta di natura oscillante tra essere anch'essa parte della scultura o solamente basamento d'appoggio. La ceralacca si usa
normalmente per sigillare le lettere e le pesche ci annunciano la bella stagione...insomma, le simbologie e le letture, a seconda di come vogliamo incrociare questi due elementi e i materiali di cui son fatti, si sprecano e sono certo che troverete qualcosa che amerò.
Spero di avervi detto tutto per il momento, vi abbraccio e se ok, ci sentiamo domani.
Buona serata e buon appetito,
Francesco