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Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey
Il mondo magico
Padiglione Italia

 

Il mondo magico
a cura di Cecilia Alemani


Il mondo magico, a cura di Cecilia Alemani, presenta le opere e la ricerca di tre artisti italiani – Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey – il cui lavoro propone una rinnovata fiducia nel potere trasformativo dell’immaginazione e un interesse nei confronti del magico. Attraverso molteplici riferimenti all’immaginario, al fantastico e al favolistico, questi artisti cercano nell’arte uno strumento attraverso il quale abitare il mondo in tutta la sua ricchezza e molteplicità.

Il titolo della mostra è preso a prestito dall’omonimo libro dell’antropologo napoletano Ernesto de Martino (1908-65), uno dei pensatori chiave nello studio della funzione antropologica del magico, da lui indagato per decenni individuando nei suoi rituali i dispositivi attraverso i quali l’individuo tenta di padroneggiare una situazione storica incerta e di riaffermare la propria presenza nel mondo. Il libro Il mondo magico, scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, inaugurava una serie di riflessioni e studi su quel complesso di credenze, riti e mitologie che avrebbero continuato a interessare de Martino nei decenni seguenti, come testimoniano sia la cosiddetta trilogia meridionale (Morte e pianto rituale, Sud e Magia, La terra del rimorso) sia gli scritti postumi raccolti nel volume La fine del mondo..

Nel panorama dell’arte contemporanea italiana, Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey si appropriano del magico come mezzo cognitivo ed espressivo per ricostruire la realtà, dando forma a complesse cosmologie personali. I tre artisti vedono il proprio ruolo non solo come artefici di opere d’arte, ma come attivi interpreti e creatori del mondo che rileggono attraverso la magia e l’immaginazione. Andreotta Calò, Cuoghi e Husni-Bey non cercano nel magico una via di fuga nell’irrazionale, quanto piuttosto una nuova esperienza della realtà. Ad accomunarli è il desiderio di creare universi estetici complessi che rifuggono dalla narrazione documentaristica tipica di molta produzione artistica recente, per affidarsi invece a un racconto intessuto di miti, rituali, credenze e fiabe. Pertanto l’esposizione Il mondo magico guarda all’artista non solo come produttore di opere e oggetti, ma soprattutto come guida, interprete e creatore di nuovi mondi possibili.

Come nei riti descritti da de Martino, nelle opere di Andreotta Calò, Cuoghi e Husni- Bey si mettono in scena situazioni di crisi che sono risolte attraverso processi di trasfigurazione estetica ed estatica. Osservate in controluce, da queste opere emerge l’immagine di un paese – reale e fantastico allo stesso tempo – in cui tradizioni antiche coesistono con nuovi linguaggi globali e dialetti vernacolari e in cui realtà e immaginazione si fondono in un nuovo mondo magico.

Giorgio-Andreotta-Calò

Giorgio Andreotta Calò, Untitled (La fine del mondo), 2017  Courtesy: La Biennale di Venezia


Giorgio Andreotta Calò
Senza titolo (La fine del mondo), 2017

Le opere di Giorgio Andreotta Calò spaziano da installazioni ambientali di larga scala a impercettibili interventi architettonici che trasformano frammenti di edifici o interi paesaggi attraverso l’uso di forze naturali e agenti atmosferici, in particolare acqua e fuoco, elementi carichi di simbolismi arcaici e primari. Uno dei temi che contraddistinguono tutta la pratica artistica di Andreotta Calò è la ricerca sul paesaggio lagunare di Venezia, sua città natale. L’acqua, nelle sue molteplici forme e funzioni, è un elemento ricorrente nel vocabolario dell’artista: concepita sia come sostanza generativa sia come forza distruttiva, nelle sue installazioni l’acqua è spesso utilizzata come materiale riflettente, opaco e viscoso, oppure appare solida e oscura, una sostanza dalle proprietà misteriose e mutevoli.

Il progetto di Andreotta Calò per il Padiglione Italia, Senza titolo (La fine del mondo), consiste in una grande installazione che divide il monumentale spazio dell’ambiente architettonico in due livelli, creando due mondi separati, complementari e opposti. Il visitatore accede all’opera dal livello inferiore, costituito da una foresta di tubi da ponteggio che sorregge una piattaforma di legno e che ricorda l’architettura di una chiesa a cinque navate; ad alcuni pali sono aggrappate una serie di sculture in bronzo bianco raffiguranti grandi conchiglie (Pinna nobilis), che evocano un mondo marino, oscuro e profondo. Alla fine dello spazio inferiore una scalinata conduce i visitatori al livello superiore, dove una vastissima distesa d’acqua si estende in corrispondenza di tutto lo spazio sotto cui si è appena passati. Il soffitto del padiglione si riflette e si ribalta nell’acqua, generando una visione vertiginosa e straniante, di cui lo spettatore entra a far parte riflettendosi a sua volta in un grande specchio posto all’estremità dello spazio. La superficie d’acqua amplifica illusoriamente le dimensioni e i volumi del padiglione, ribaltandone l’architettura e generando un effetto simile a quello di un miraggio: un’immagine che è al contempo cristallina, vivida e volatile.

Lo sdoppiamento dello spazio riflesso nonché la configurazione dell’installazione in due livelli suggeriscono una riflessione sulla simbologia del doppio, che è un tema ricorrente in altre opere dell’artista, ma questi concetti si riallacciano anche ad alcune atmosfere esplorate da Ernesto de Martino in La fine del mondo, libro nel quale Andreotta Calò ha ritrovato molte corrispondenze con il proprio lavoro. In La fine del mondo l’antropologo descrive l’antico mito romano del mundus Cereris, secondo il quale nei pressi di Roma si trovava una fossa che fungeva da soglia tra due mondi, quello inferiore connesso agli inferi e quello superiore connesso alla realtà terrena e alla volta celeste. Tre volte l’anno, in un rito cerimoniale chiamato mundus patet, la fossa si apriva e si mettevano in comunicazione il mondo dei vivi e quello dei morti.

Tracey Moffatt

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017  Courtesy: La Biennale di Venezia


Roberto Cuoghi
Imitazione di Cristo, 2017

Questo progetto continua una poetica complessa che indaga le proprietà trasformative dei materiali e la fluidità di qualsiasi definizione di identità.

L’artista trasforma gli spazi basilicali dell’Arsenale in una fabbrica di figure devozionali ispirate al testo medievale ascetico Imitatio Christi, che l’artista interpreta alla luce di quello che definisce un “nuovo materialismo tecnologico”. Cuoghi ci introduce a un processo sperimentale di modellazione della materia, riflettendo al contempo sul potere magico delle immagini, sulla forza della ripetizione e sulla memoria iconografica della storia dell’arte.

L’opera – un’officina predisposta per la realizzazione integrale delle sculture, dal colaggio di materiale organico in un unico stampo fino alla fase di consolidamento – non si esaurisce con l’apertura della mostra e perdura secondo una logica di decomposizione e composizione, morte e rigenerazione. L’intero processo è concepito per non ottenere mai lo stesso risultato, producendo una dissociazione che sembra riguardare il nostro presente.

Tracey Moffatt

Adelita Husni-Bey The Reading / La Seduta, 2017 Courtesy: La Biennale di Venezia

Adelita Husni-Bey
The Reading / La Seduta, 2017

Con Gus Moran, Nia Nottage, Farhan Islam, Nudrat Mahajabin, Katya Dokurova, Charlotte Lewis, Sandra Wazaz, Shao Lei, Amir Akram, Amanata Williams e Tina Zavitsanos

Il lavoro di Adelita Husni-Bey affronta questioni complesse come quelle di razza, genere e classe, spesso traendo ispirazione da teorie educative anarchiche e pratiche di insegnamento innovative. I suoi progetti si fondano su processi creativi collettivi come giochi di ruolo, laboratori e lavori di gruppo, ai quali in passato hanno preso parte studenti, atleti, giuristi e attivisti. Il compito di un artista, per Husni-Bey, è quello di creare situazioni ed esperimenti dove i diversi soggetti coinvolti, e di conseguenza gli spettatori, possano comprendere a fondo la propria connessione con i rapporti di potere economici e sociali dell’età contemporanea.

Il lavoro per il Padiglione Italia si intitola The Reading / La Seduta ed è stato sviluppato attraverso un laboratorio collettivo organizzato a Mannahatta (territorio Lenape, oggi Manhattan, New York) con un gruppo di ragazzi selezionati grazie a un’open call tra i dipartimenti didattici dei molti musei cittadini. Il workshop si è tenuto nel febbraio 2017 con una serie di incontri, discussioni ed esercizi performativi sperimentali. Lavorando con l’artista e altri relatori, i ragazzi hanno riflettuto su ciò che li vincola all’ambiente e allo sfruttamento della terra, sollevando così una serie di interrogativi complessi legati alle nozioni di estrazione, minaccia, tecnologia, sfruttamento, valore e vulnerabilità. Queste tematiche appaiono nel film sotto forma di tarocchi disegnati dall’artista stessa durante le recenti proteste della tribù di nativi americani Lakota contro la costruzione di un oleodotto nella riserva indigena di Standing Rock.

Nel video i giovani partecipanti sono seduti attorno a un tavolo e, a partire dalla lettura dei tarocchi, discutono del proprio legame spirituale, coloniale e tecnologico con la terra e con il mondo. L’utilizzo dei tarocchi è per l’artista una metodologia sia magica sia pedagogica: i ragazzi – che nel film vedono le carte per la prima volta – contrappongono un approccio efficientista e capitalista, che considera la terra come fonte di profitto da sfruttare, a una sua visione come materia contigua agli esseri umani, da proteggere e salvaguardare. Alla discussione intorno al tavolo sono intervallate scene in cui i ragazzi eseguono una serie di esercizi basati sui metodi del Teatro degli Oppressi, adottati durante il laboratorio iniziale e ispirati ai temi del workshop. Accanto alla videoproiezione, una serie di sculture composte da mani di silicone illuminate sembra suggerire l’avvento di un futuro prostetico e virtuale che riecheggia la nostra personale implicazione nel consumo delle risorse e nelle nuove forme di colonizzazione.


Il mondo magico : Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey
57. Esposizione Internazionale d’Arte 2017.