Tu fai parte dell’ombra di qualcun altro.
Sverre Fehn a colloquio con Per Olaf Fjeld (1)
Una delle finalità centrali di questa esposizione è la presa d’atto della presenza dei “fantasmi” dell’architettura scandinava: architetti, teorici ed educatori, I più famosi dei quali vengono spesso indicate come I “moderni maestri”, che continuano ad esercitare la loro influenza sulla prassi e sulla pedagogia contemporanee. Il Padiglione dei Paesi Nordici è stato progettato da una delle più importanti di queste figure, il norvegese Sverre Fehn. L’esposizione raccoglie una sfida comune che finlandesi, norvegesi e svedesi si trovano oggi a dover affontare: come può esistere un edificio (o, nello specifico, un’esposizione) in rapporto all’ambiente in cui si trova quando quest’ultimo è tanto oberato? Per noi, questo aspetto si ricollega ad un quesito pià ampio: come può l’architettura rispettare la tradizione senza rinunciare al progetto?
Nel rispetto delle intenzioni originarie di Fehn di avere un edificio completamente aperto, In Therapy considera il padiglione un’estensione dello spazio pubblico dei Giardini. L’installazione centrale dell’esposizione – una piramide a gradini realizzata con tecniche di costruzione tradizionali in pino svedese – rispecchia esattamente gli scalini e le alzate della scala esistente per realizzare una sorta di anfiteatro che susciti un dibattito ed una riflessione critici. Sotto altri punti di vista, tuttavia, esso prende le distanze dal peso dello spazio, per dare ai visitatori un’idea, anche se fugace, di quello che è lo stato dell’architettura scandinava contemporanea. A questo proposito ci si possono porre alcune questioni fondamentali, senza lasciarsi condizionare dallo storicismo: come si è sviluppata l’architettura negli ultimi nove anni, che cosa è che la tiene insieme e in che direzione unitaria sta eventualmente andando, che cosa comporta essere all’avanguardia, cercando di conquistare nuovi orizzonti, e quello che più importa, che cosa accadrà dopo? Per prendere le distanze, l’esposizione non pretende in realtà di essere realmente tale. Non richiede la massima attenzione del visitatore, né cerca in alcun modo di veicolare un messaggio, ma intende spezzare la monotonia delle classiche esposizioni del tipo “fermati e guarda” realizzando “un’oasi di calma nella congestione”, che si rispecchia nel materiale raccolto e nella coralità delle voci. L’installazione centrale – la piramide – non è solo un manufatto urbano, ma anche una vetrina, un’installazione abitabile da indagare ed esplorare. L’architettura almeno nella forma e nelle dimensioni qui rappresentate, potrebbe benissimo essere goduta anche in uno stato di distrazione. (2)
La piramide stessa funge da contenitore, presentando le risposte ad una “Open Call” rivolta agli studi di tutto il mondo a presentare progetti da essi realizzati nei paesi nordici tra il 2008 e il 2016. I singoli studi dovevano autoclassificare i loro progetti come Foundational (ovvero, un’architettura che tiene conto delle esigenze fondamentali della società) o Belonging (una architettura che porta avanti programmi di carattere pubblico e crea spazi pubblici, consentendo alle persone di diventare cittadini), oppure in uno stato di Recognition (un’architettura che apprezza e rispecchia i valori della società scandinava). Ognuno di essi ha indicato in che modo il suo progetto aveva – o non aveva – contribuito alla condizione attuale della società finlandese, norvegese o svedese. Questa triplice classificazione – qui rappresentata da bande tricolori – è una interpretazione che si rifà alla struttura Hierarchy of Need del 1954, di Abraham Maslow, una teoria che propone “esigenze” (3) basilari e motivazionali complesse che rappresentano il progresso dell’individuo. Maslow ha descritto il culmine della sua gerarchia, rappresentato graficamente sotto forma di piramide, come auto-attualizzazione (ovvero la realizzazione di tutte le potenzialità di una persona), conseguibile solamente dopo che tutte le esigenze che stanno alla base sono state soddisfatte. In altre parole, ogni livello costituisce un prerequisito di quello successivo. Se in questo caso la piramide rappresenta lo sviluppo della società, l’architettura può essere interpretata alla stregua dei suoi elementi costituenti.
Questa esposizione ha pertanto “messo in terapia” i paesi nordici. Anche se – a prima vista – potrebbe sembrare che Finlandia, Norvegia e Svezia siano “al culmine della piramide”, avendo raggiunto un equilibrio a livello statale – universalmente riconosciuto – tra società capitalistica e welfare, esse si trovano in realtà a dover affrontare sfide complesse. Dalle preoccupazioni collegate alla domanda di immigrazione e integrazione sociale, o imminente, economia post-industriale, In Therapy ha riunito elementi inconsci e consci (rispettivamente rappresentati dalla piramide dei progetti e da una raccolta di riflessioni) allo scopo di indagare i collegamenti ed i conflitti tra architettura e società scandinava in senso lato. Noi riteniamo che l’architettura – nel suo ruolo più ampio di prassi spaziale, sociale e culturale – si collochi al centro di questo discorso.
In Therapy è uno specchio, una raccolta di installazioni che presentano l’architettura scandinava contemporanea nel suo complesso, riunita sotto un unico tetto per mettere a disposizione un contesto informato di discussione e proposta per metter a confronto Finlandia, Norvegia e Svezia – tre paesi con storia, cultura e approccio alla progettazione diversi – nella realtà del mondo compresso dei giardini, interrogandosi sulle percezioni e sui preconcetti dell’architettura scandinava ed affrontandone in modo aperto e diretto quelle che sono le sue realizzazioni pratiche.
David Basulto, James Taylor-Foster
Venezia 2016