The big “Q”: the Question - and its asking - as driving force and life motivation was one of the seeds of the genesis of James Lee Byars’ art, his performances and installations. In an audio work recorded for Maurizio Nannucci, the artist spoke a single, forceful, demanding word: "What?"
To this approach, which called for reflection on what was visible and observable around him, James Lee Byars (1932/1997) later added his art concept "The Perfect".
Sense of time, of transience and duration, a longing for perfection and sublime "aesthetics" fueled his art practices. He had no truck with any mainstream trends or contemporary art movements, but rather created his own cosmos of art, conceiving and inventing his very own anti-traditional artistic vocabulary.
James Lee Byars’ art-making was driven by his desire to raise awareness, to trigger “aha” moments via exceptional ceremonial acts staged in public spaces. His body of art was also influenced by his profound knowledge of Japanese culture, including his admiration for the poetics of Matsuo Bashō.
Maurizio Nannucci met James Lee Byars in person for the first time in 1972 in Kassel, and saw him again three years later, in 1975, in Bern, where the American artist was living and working at the time. Those first personal encounters between Maurizio Nannucci and James Lee Byars were marked by an atmosphere of great shared sensibility and welcome that opened the door for a friendship that lasted until Byars’ death in Cairo, in 1997.
Alla fine degli anni sessanta acquisto ad Anversa il libro di James Lee Byars “The Pink Book / 100.000 Minutes / or The Big Sample of Byars / an Autobiography”, completamente stampato su carta rosa ed edito in occasione della sua prima mostra in Europa. Trovo inoltre una copia di The Black Book, un libro di un’unica pagina contenente cento domande stampate in oro. Mi interessa da subito la lievitazione psicologica attorno ai concetti di “Beauty” e di “Perfect” che James Lee Byars, perseguendo la sua personalissima riflessione legata ai valori transitori di purezza e bellezza, porta instancabilmente avanti nel tentativo di costruire un’identità che gli dia la possibilità di creare un’opera perfetta in un mondo imperfetto.
Nell’estate del 1972 ci incontriamo brevemente a Kassel, in occasione della sua performance per la vernice di Documenta “The Introduction To Documenta 5 / Calling German Names”, durante la quale, vestito di seta rossa, recita i nomi degli artisti tedeschi da un megafono dorato, sul cornicione del museo Fridericianum.
Nel 1975, mentre è in corso a Berna la mia mostra “Sessanta verdi naturali” alla galleria di Lydia Megert, quest’ultima mi telefona dicendo che “uno strano artista americano” è passato di lì e mi ha lasciato in regalo un suo lavoro: un grande cerchio di carta velina bianca increspata con un testo scritto a matita nera. Indovino che si tratta di James e, poco tempo dopo, recandomi nella capitale svizzera, avviene il nostro primo vero incontro, a cui è presente anche la sua compagna Birgit Grögel (BB). Con i due, facciamo grandi chiacchierate, piene di reciproca curiosità, ci raccontiamo del nostro lavoro, di progetti e di viaggi e facendo lunghe passeggiate lungo le rive dell’ Aare o ascoltando musica tibetana nella loro piccola stanza di Werdtweg 10.
Sempre a Berna, in quei giorni assisto alla performance “The Perfect Epitaph”, in cui James rotola una grande sfera di lava per le strade della città. In questa occasione conosco con Toni Gerber, Markus
Raetz, Lucius e Annemarie Burckhardt , anche Gerhard Lischka che non molto tempo dopo inizierà la pubblicazione della rivista “Der Löwe” alla quale parteciperemo entrambi.
Con James Lee Byars ci rivediamo nello stesso anno a Venezia per la sua performance “The Holy Ghost: Opening of the Celibatarian Machine” in Piazza San Marco; e nell’aprile del 1976, James e BB vengono a Firenze. A Zona, lo spazio no-profit in Via San Niccolò che avevo creato nel 1974 insieme ad altri artisti, musicisti ed architetti fiorentini, James sarà presente per tre giorni consecutivi con delle apparizioni di tre minuti ciascuna, proponendo una versione di TH FI TO IN PH (“The First Totally Interrogative Philosophy”). In seguito James parteciperà ad altre mostre di Zona.
Così si consolida la nostra amicizia e da allora inizia un intenso scambio epistolare, nel corso del quale riceverò oltre cento messaggi: lettere diverse per carte, formato, e materiali, lunghe anche alcuni metri ed estremamente fragili; scritte quasi sempre con la sua inconfondibile calligrafia criptica puntata di stelle, contenenti progetti, sensazioni e riflessioni sul lavoro; alcune di quelle lettere, ancora oggi, non sono in grado di decodificarle completamente. E poi cartoline provenienti da ogni parte del mondo: da città dove esponeva o da altre tappe dei suoi innumerevoli viaggi.
Nel 1976, a Marciana, sull’isola d’Elba, inizio la pubblicazione della rivista Mèla, al cui primo numero James Lee Byars contribuisce con “The First Totally Interrogative Philosophy”. Successivamente, nel 1981, James parteciperà al numero speciale della rivista “Mèla post card book / A collection of artists postcards” con una cartolina recante l’immagine “Autobiography”.
Nel 1979 James si presenta inatteso ad Anversa per il finissage della mia mostra al ICC (International Cultureel Center) durante il quale realizza una performance fuori programma: pochi minuti prima della chiusura, appare vestito con il suo abito d’oro e resta in silenzio per pochi attimi sulla porta d’ingresso dell’istituzione belga, fino a quando non verrà chiusa.
James Lee Byars came to Florence numerous times to visit his friend, and to present performances - for example, a simple and impressive 1975 action in which Byars locked himself inside the collective artist-run space Zona. This artist-run venue for avant-garde art practices and meeting place for internationally-renowned artists was co-founded by Maurizio Nannucci in 1974.
“What?” What was the binding force underlying this long friendship? James Lee Byars called his friend Maurizio Nannucci a "Poet". Indeed. A single word, a brief incantation, a short phrase addressed to the audience - these are tools that the two artists have in common, as well as a passion for rigorous perfection in making and presenting works of art. James Lee Byars worked with classic materials - marble, gold, fine tissue papers -, but also with fragile glass. Colored glass is likewise one of the materials from which Maurizio Nannucci creates glowing word / text installations. By means of language and colored neon light, Nannucci turns spaces into atmospherically dense and responsive zones of meaning and thought.
The artists’ friendship encompassed many aspects. Maurizio Nannucci recalls Byars’ stays in Florence in the 1970s.
In questo periodo James Lee Byars, che ha preso a risiedere con continuità a Venezia, viene sempre più spesso a Firenze e in Toscana. Qui lavora a numerosi progetti, elabora prototipi e realizza alcune opere usando differenti materiali quali la patinatura con foglia d’oro zecchino per le sfere “Self-Portrait”, il marmo bianco di Carrara e la pietra Azul Bahia, il vetro e crea voluminosi libri con pagine di carta velina nera rilegati con velluto nero, operando anche ad Arezzo, Pietrasanta ed Empoli, attivando così una rete di rapporti con vari artigiani locali.
Nel 1984 sono a Düsseldorf per la mostra “Von hier aus” e una sera, ritrovandoci con Robert Filliou, George Brecht e Marcel Broodthaers, parliamo, tra le altre cose, dell’attività di Zona, di archivi e di artists’ books, ed elaboriamo alcuni progetti editoriali. Di questi realizzerò solo quelli ideati con James Lee Byars e Robert Filliou.
Nel 1987, per sostenere la mia attività editoriale, James mi offre di pubblicare un suo libro composto da una sola pagina: un foglio di carta velina nera perforato soltanto dalle due lettere “TH”, custodito in una cartella rivestita di seta nera. “TH” apparirà per le edizioni “Exempla” con una tiratura di cinquanta copie.
Dopo la chiusura di Zona avvenuta nel 1985, progetto a Firenze il ciclo di interventi “Secret Events”, per il quale nell’arco di un paio di anni, con una programmazione occasionale, verranno realizzati lavori in situ, installazioni, performances, affissioni di Sol Lewitt, General Idea, Jenny Holzer, Daniel Buren, Terry Fox, Barbara Kruger, Ian Hamilton Finlay, Lawrence Weiner, presentati sempre in luoghi differenti della città, e informando non più di una decina di persone per volta, solo poche ore prima dell’inizio dell’evento.
Performances were James Lee Byars’ gift to Nannucci as well as to Florence, his friend’s hometown, and performances Byars staged in others cities were often further signs of their extraordinary friendship. At the conclusions of Nannucci’s exhibitions, wherever they may have been, Byars presented his friend with a very special present: a performance, often out of the blue. This happened, for example, at the end of Nannucci’s exhibition "You can imagine the opposite" (1991) at the Städtische Galerie im Lenbachhaus in Munich. Byars, dressed as a magician and master of ceremonies, turned up in the Lenbachhaus garden and exclaimed "The perfect moment!". At that time, Byars was staying in Munich for several weeks at Nannucci’s studio in Zehntnerstrasse.
Byars had made another remarkable appearance in Florence the year before, in 1990, to celebrate an intervention co-organized by Nannucci. Dressed in gold-lamé clothes, the eccentric artist staged a performance - “Perfect Is In The Louvre” - on the exterior staircase of the Italian National Library. This performance was connected with an edition of an artist’s book by Byars.
Nel 1990, James Lee Byars, di passaggio a Firenze, mi propone di pubblicare un altro suo libro d’artista “P.I.I.T.L.” (Perfect Is In The Louvre), che stamperò nel giro di pochi giorni per le edizioni Exempla & Exit & Zona Archives; la grafica della copertina è un riferimento diretto ed esplicito alla collana NRF dell’editore francese Gallimard, cosa che sarà fonte di non pochi problemi. Di lì a poco James realizza due performance alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, uno dei suoi luoghi preferiti in città. La prima si svolge nel novembre di quello stesso anno al piano terreno nel grande vano scale della Biblioteca, alla quale partecipa anche Pier Luigi Tazzi, con la presentazione del libro “P.I.I.T.L.”, che sarà dato in omaggio al pubblico intervenuto. Alla seconda performance “Tribute to the New Generation / Invitation to Documenta 9”, che avviene nel 1992 sulla scalinata esterna della Biblioteca Nazionale, alla quale partecipo anch’io insieme a sua moglie Gwendolyn Dunaway. In questa occasione James, in abito di lamé d’oro, con cilindro nero e faccia completamente avvolta in un velo di seta nera, in silenzio offrirà al pubblico un piccolo cerchio di cartoncino dorato impresso con una spirale in rilievo, quale invito a partecipare all’imminente Documenta di Kassel.
Tra il 1991 e il 1992 James viene a trovare più volte me e Gabriele Detterer nello studio in Zehnterstrasse a Monaco di Baviera, rimanendo con noi anche per alcune settimane. Ricordo giornate di lavoro intense per entrambi, ma anche ricche di riflessioni e di confronto di idee attorno ai concetti che
più ci coinvolgono e ci accomunano in quel periodo. Tra l’altro mettiamo a fuoco numerosi progetti, che non vedranno mai la luce, come “The Drop of Black Parfume” che James avrebbe voluto realizzare nel Piazzale degli Uffizi; o il mio intervento per gli “Champs Elisèes Bleu” che prevedeva una linea continua di luce blu; o il progetto di una mia mostra da fare a Los Angeles con solo opere scelte da lui. In quello stesso periodo al Lenbachhaus Museum di Monaco è in corso la mia mostra “You can imagine the opposite” e, come aveva già fatto ad Anversa, James interviene a sorpresa l’ultimo giorno di apertura, manifestandosi nel giardino del museo e pronunciando una sola volta la frase “The Perfect Moment”.
Nel 1992 presento a Villa Arson a Nizza e poi al Palazzo delle Papesse di Siena, la mia Fonoteca, una raccolta di artists’ audioworks iniziata a Zona nel 1977, per la quale James mi aveva inviato un’audiocassetta con le registrazioni di due suoi lavori sonori, “What” e “Pronounce Perfect Until It Appears”, che credo siano gli unici, oltre al suo contributo ad “Art by Telephone” del 1969, che lui abbia realizzato. Entrambi erano parte di un progetto per un suo disco in vinile.
Siamo rimasti in stretto contatto anche negli anni successivi, vedendoci spesso sia da me in Via Marsala a Firenze, che da lui a Casa Stefani a Venezia o a New York al 33 piano della sua casa nell’east side di Manhattan. Numerose sono state anche altre occasioni d’incontro, e non solo legate alla nostra attività, a Bruxelles, Stoccarda, Roma, Torino, Parigi, Colonia… fino, alle ultime, indimenticabili, sue telefonate della primavera del 1997 dall’Hotel Mena House di Giza
Venice was by far James Lee Byars’ favorite city. He loved being there on the lagoon, breathing beauty, the uniqueness and the “perfect-ness” of Venice – he interacted with the image as well with the historical physical presence of the city, and celebrated the “perfect” in it, in the sense of its irrevocable glorious past and inimitable nature. The big “Q” – the Question – the driving force of James Lee Byars’ early artistic career - had found an answer in Venice.