Liu Xiaodong
Lo scorso settembre, la Fondazione Palazzo Strozzi mi ha invitato ad andare a Prato. Parte della città è quasi interamente popolata da cinesi, che vi abitano e vi procreano da ormai due o tre generazioni. La pelletteria e i capi d’abbigliamento prodotti nelle loro fabbriche di Prato sono venduti in tutto il mondo.
Dopo Prato ho anche tentato di seguire il tragitto che i rifugiati siriani stavano compiendo in quel periodo per entrare in Europa. Dalla penisola di Akyarlar, nel sud della Turchia, all’isola di Kos, e poi alla ferrovia che collega il confine ungherese a quello austriaco, fino ad arrivare alla stazione centrale di Vienna. Lungo il percorso, oltre ai rifugiati siriani c’erano anche molti afghani, pachistani, iraniani e africani.
La migrazione è sempre stata e sempre sarà un fenomeno ineludibile del genere umano, dal passato più remoto sino al futuro. Il desiderio di trovare un posto migliore, una vita più perfetta, è intrinseco nell’uomo. Le migrazioni sono colme di speranze ed energie e gravate da ansie e perdite.
Credo che il problema e l’angoscia che affliggono l’Europa siano legati alla necessità di trovare un modo per preservare le tradizioni della sua società e insieme gestire le difficoltà scaturite dalla convivenza nel continente di una moltitudine di persone delle culture più disparate. È qualcosa di analogo alla mia curiosità e apprensione verso il cambiamento, quando so che potrebbe essere un bene ma al contempo ho paura che minaccerà il mio vecchio stile di vita.
I miei genitori invecchiano e muoiono, mia figlia cresce e affronterà problemi e pericoli di ogni sorta. Sono molto angosciato. Non posso fare altro che dipingerli. Dipingere ciò che vedo. Ma in una società in mutamento non vi è un’unica soluzione, un’unica risposta per placare quest’angoscia. L'Europa ed io siamo entrambi legati alle nostre angosce.