Albanian Trilogy è una sorta di macchina museale del passato, con strani cimeli e trofei, che presenta contemporaneamente fiction e materiale documentario. Unendo evocazione e documentazione, il progetto si concentra su una fase storico-politica tanto importante per la costruzione dell’identità non solo albanese, ma internazionale: in mostra tre video, materiale d’archivio, oltre a un enorme scheletro di balena, contemporaneamente protagonista e testimone silente – incarnazione del gigante Leviatano, l’Hobbesiano principio di sovranità. Albanian Trilogy rappresenta per Armando Lulaj (Tirana, 1980) la conclusione di molti anni di ricerca sul periodo della Guerra Fredda in Albania e, in particolare, sui relativi temi della memoria collettiva e della esperienza storica, raccolti in una trilogia filmica. Il primo lavoro di questa serie è It Wears as It Grows (2011), la seconda opera della trilogia è il noto progetto NEVER (2012), mentre il terzo video, Recapitulation (2015) è stato realizzato appositamente per la Biennale Arte 2015.
Il lavoro di Lulaj gioca soprattutto sulle lacune della storia: come racconta il curatore Marco Scotini “mostra terreni friabili lì dove ci si aspetta di trova"Open Sans",sans-serif;re potenti rappresentazioni non scalfibili”. In Albanian Trilogy la ricerca artistica di Lulaj sugli spettri del socialismo e quella curatoriale di Scotini sulle politiche della memoria raggiungono un importante esito comune. Il progetto è stato selezionato attraverso una open call con una giuria internazionale presieduta da Boris Groys e composta da Kathrin Rhomberg, Adrian Paci, Alberto Heta e un rappresentante del Ministero della Cultura. La giuria, il cui giudizio è stato unanime, ha così motivato la propria scelta: “Con Albanian Trilogy, Armando Lulaj segue l’indagine delle interpretazioni disponibili della storia albanese dalla Guerra Fredda a oggi, reintroducendo immagini una volta altamente rappresentative, politicamente intense e narrazioni ancora radicate nella memoria visiva del popolo, in un modo che va ben oltre la soggettiva discussione di una storia nazionale per spingere a un’analisi generale delle rovine e dei fallimenti della modernità”. La pubblicazione sotto la forma di un atlante storico, edita da Sternberg Press, è concepita come un’estensione della mostra e include, tra gli altri, contributi di Hou Hanru, Boris Groys, Marco Scotini.