La galleria Lia Rumma è lieta di presentare la personale di Marzia Migliora “Forza lavoro” con inaugurazione il 18 Febbraio 2016 alle ore 19 presso la sede di Milano, accompagnata da un testo critico di Matteo Lucchetti. Il progetto espositivo prende le mosse dalla storia del Palazzo del Lavoro di Torino, realizzato da Pier Luigi Nervi nel 1961 in occasione del primo centenario dell’Unità d’Italia e della relativa esposizione internazionale dedicata al lavoro, dal titolo “L’uomo al lavoro, 100 anni di sviluppo tecnico e sociale: conquiste e prospettive” a cura di Gio Ponti con interventi di Lucio Fontana e Bruno Munari, tra gli altri. A tale glorioso inizio sono seguiti anni di decadenza e incuria che hanno portato all’abbandono dei 47.000 metri quadrati della struttura. La
“Forza lavoro” è tanto quella impiegata dall’artista nel compiere un percorso concreto e simbolico nella materia inerme dell’edificio, del quale ha tentato di riportare in vita lo spirito che l’ha reso possibile, quanto una riflessione sul potenziale lavorativo di una collettività cosciente del proprio passato.
In un periodo di transizione dello stabile, tra un importante incendio avvenuto nell’Agosto 2015 e l’imminente trasformazione in centro commerciale di lusso, Marzia Migliora ha scelto di frequentare il Palazzo attraverso una molteplicità di approcci che vanno dalla costruzione di macchine stenopeiche con i residui trovati, alla creazione di suoni attraverso la percussione della struttura. La mostra è una restituzione di questi diversi sguardi e si sviluppa organicamente rispetto alle narrazioni di cui l’edificio torinese è stato protagonista nei suoi quasi cinquantacinque
anni di vita. Una biografia sintomatica dei tempi trascorsi, che comincia dalla celebrazione della modernizzazione del Paese attraverso il progresso dell’industria e percorre l’insostenibilità di tale modello di sviluppo, basato sullo sfruttamento cieco delle risorse soprattutto umane. Nella volontà di leggere l’opera architettonica come un corpo caduto si rivela infatti l’intenzione di leggere l’attività lavorativa, che questa celebrava, come un processo biologico nel quale crescita, metabolismo e decadimento — parafrasando la Hannah Arendt di Vita Activa — sono aspetti propri della condizione umana e quindi imprescindibili in qualsiasi concezione di produzione. L’edificio nato per celebrare il lavoro industrializzato e le sue applicazioni è divenuto, con la sua lenta decadenza, una metafora dei fallimenti di intere classi politiche, incapaci di salvaguardare il
plusvalore generato dal lavoro della propria popolazione attiva. Marzia Migliora ha dato corpo e parola al Palazzo, trasformandolo in un testimone privilegiato di un’epoca e lo ha collegato attraverso le singole opere realizzate a molte delle tematiche ricorrenti nella propria ricerca: la
memoria come strumento di articolazione del presente o l’analisi dell’occupazione lavorativa come affermazione di partecipazione alla sfera sociale.
I tre piani della galleria ospitano esclusivamente nuove produzioni dell’artista, che ha concentrato per ogni livello un aspetto specifico della ricerca sul Palazzo. All’ingresso, l’installazione L’ideazione di un sistema resistente è atto creativo introduce l’accezione più fisica della definizione di forza lavoro. La grande struttura di mattonelle in carbone pressato disegna, infatti, sul pavimento il modulo in scala 1:1 del solaio a nervature isostatiche concepito da Nervi, che intendeva così dare
forma a ciò che avviene staticamente nella materia, attraverso la distribuzione delle linee di forza sulla superficie; il titolo dell’opera è tratto da una sua frase, che trova eco nel modus operandi di Marzia Migliora. La scelta del carbone è un riferimento alle risorse fossili ancora indispensabili alla produzione di energia e conseguentemente responsabili della morte di più di due persone all’ora in Europa (secondo uno studio dell’Università di Stoccarda del 2010, che valuta il danno nella perdita di 117.000 giornate lavorative su base annua solo in Italia). Salendo al piano superiore troviamo una serie fotografica intitolata In the Country of Last Things che presenta cinque immagini ottenute da dispositivi a foro stenopeico costruiti dall’artista assemblando frammenti vari delle vite passate del Palazzo e lasciate a impressionare per lungo tempo negli spazi dismessi. Le immagini ottenute sono portatrici di una sospensione densa di significati, come nature morte involontarie, che evocano le composizioni di cose semplici su una linea d’orizzonte sempre uguale di Giorgio Morandi. A fianco delle stampe e delle macchine stenopeiche, una serie di monocromi
neri ottenuti dalla lavorazione dei residui di combustione rimasti dopo il recente incendio e da altre polveri scure ottenute come scarto della lavorazione di metalli. Il gesto di impastarle in maniera pittorica ne dà una visualizzazione e rende tangibile la loro presenza nelle nostre vite: i
cosiddetti composti organici volatili di origine antropica, dannosi per la salute, sono tanto impercettibili quanto onnipresenti nella nostra quotidianità, così dipendente dai derivati del petrolio e dalle loro infinite lavorazioni.
Chiude il percorso all’ultimo piano il video Vita Activa. Pier Luigi Nervi, Palazzo del Lavoro, Torino, 1961-2016, nel quale l’artista chiede al musicista Francesco Dillon di produrre dei suoni a partire dall’interazione con gli ambienti e i detriti dell’edificio, per integrarli poi alla sua esecuzione a violoncello di alcuni estratti dal Requiem in Re minore k626 di Mozart. La lotta che si instaura tra l’osservanza funebre che il brano produce e i tentativi di ascoltare lo spazio nell’espressione delle
sue ultime potenzialità di produzione di senso, si risolve in una tensione visiva che manifesta la parabola tra vita e morte sulla quale “Forza lavoro” si sviluppa.
Testo critico Matteo Lucchetti