Il critico d’arte Clement Greenberg (1909-1994), sostenitore della tendenza Color Field, a partire dal
1959 formulò un nuovo astrattismo che denominò Post-painterly abstraction, fatto essenzialmente
di colore steso su ampie campiture, aderente al supporto e con minime variazioni cromatiche. La
forma diventa protagonista, soggetto e contenuto gradualmente scompaiono. Ars est artem demonstrare
è, secondo Greenberg, il principio che ispira gli artisti, dall’Impressionismo in poi, a eleggere
il loro medium a unico contenuto dell’arte con una rafforzata attenzione alla bidimensionalità
del dipinto. Per di più, egli fu molto attratto dagli scritti di Benedetto Croce (1866-1952) del quale
cita più volte l’Estetica (1902), testo in cui il neoidealista italiano considera l’intuizione come prima
forma di vita dello spirito. L’arte viene definita come intuizione-espressione, due termini inscindibili
secondo cui non sarebbe possibile intuire senza esprimere e viceversa. Questa dialettica fa sì che
ciò che l’artista intuisce sia la stessa immagine che egli per ispirazione crea da una considerazione
del reale, nel senso che l’opera d’arte è l’unità indifferenziata della percezione del reale e della
semplice immagine del possibile.
Affezionata a quel concetto di inscindibilità, That Feeling può essere considerata come una nuova
e provocatoria condizione di apertura nei confronti delle più diverse forme di espressione, la cui
bellezza non sarebbe altro che ‘l’adeguatezza dell’espressione’ nelle forme, nei segni e nei colori,
i.e.: gli spazi pittorici aperti, nudi e astratti di Tamina Amadyar; il colore, la consistenza e il volume
immersi in una dimensione di mondanità emotiva per Alice Browne; le superfici incontaminate e
magicamente digitalizzate di Joshua Citarella; gli spazi per visioni alternative di Michael Debatty; le
linee arrotondate, i colori tenui e le forme estremamente semplificate per Stephen Felton; gli spazi
astratti e i caratteri, prima inventati poi narrati, per Heather Guertin; le curve e le tracce che emergono
fluidamente dalle tele di Hanna Hur, mediante l’utilizzo di strumenti di disegno e materiali tradizionali; i segni e gli impulsi legati alla grafologia e alla psicometria che si esibiscono in coreografie
improvvisate nei dipinti di Sofia Leiby; le gesta emotive e interrotte nei quadri astratti di Alexander
Lieck; l’interesse di Matthew Musgrave nel pensare attraverso la pittura, considerandone la natura
mutevole ed espansiva; un alfabeto inventato, algoritmi e figure ibride nei dipinti geometrici di
Hayal Pozanti; le meditazioni intime e le distorsioni sensuali, tagliate, sbiadite, sottolineate e fantasticate
sulle tele di Zoé de Soumagnat.